Cattolici per il sociale

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«Da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità».[1] Sono battute di papa Francesco alla fine dell’Omelia pronunciata il 7 luglio in Piazza Unità d’Italia, a Trieste, nel corso della quale ha pure ricordato ai delegati della Settimana sociale dei cattolici italiani che «non abbiamo bisogno di una religiosità chiusa in sé stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade».

E All’Angelus ha proseguito, correlando due bussole, Vangelo e Carta costituzionale: «Come cristiani abbiamo il Vangelo, che dà senso e speranza alla nostra vita; e come cittadini avete la Costituzione, “bussola” affidabile per il cammino della democrazia»

Lo stile di Socrate in un periodo di crisi della democrazia

Il saluto di mons. Luigi Renna, Presidente del Comitato scientifico e organizzatore, alla cerimonia di apertura della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, aveva evocato, nel solco di Romano Guardini, il Socrate “maestro di dialogo”: «La comunità ecclesiale ha bisogno di confrontarsi e di ascoltare le sue varie anime, per poter fare un discernimento comunitario e testimoniare che il Vangelo non ci rende estranei alla storia, ma fa di noi il lievito e il sale».

Un cammino, quello socio-politico dei laici cattolici, che si auto-descrive come un momento qualificante del cammino sinodale ecclesiale nella città, per cui «pone al centro dell’attenzione delle nostre Chiese la partecipazione quale cuore della democrazia».

Il vescovo di Tieste ha, a sua volta, ricordato la realizzazione, da parte degli studenti della secondaria, di una lunghissima tovaglia (lunga 90 metri e larga 180 centimetri, a cui hanno collaborato quasi 2.000 ragazzi sia di lingua italiana sia slovena), in un’esperienza estetica-operativa (ispirati dall’artista fra’ Sidival Fila), scelta per insegnare «a creare legami, a tessere legami di storie familiari. Su questi pezzi di stoffa ciascuno ha scritto qualcosa», vincendo la pur potenziale possibilità di mescolare trame e orditi della stoffa non allo scopo di unire, ma per “ordire e tramare un complotto”.

L’augurio di mons. Trevisi ha sollecitato tutti a contribuire per rilanciare l’apporto dei cattolici alla costruzione della società civile e della nostra democrazia.

Del resto, come ha osservato il Presidente della Repubblica, la democrazia non è soltanto l’«irrinunziabile espressione del proprio voto nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intreccino – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e aperture sociali, bene della libertà e bene dell’umanità condivisa».

Detto altrimenti, con le parole di mons. Adriano Bernareggi, «la democrazia non è soltanto governo di popolo, ma governo per il popolo».

Nella pluralità di lingue e cure, imparare a parlare lo stesso lessico di democrazia

Partecipazione e democrazia: ecco le due corde-chiave mediante cui rileggere il perché dei cattolici nel e per il sociale.

Mattarella, rilanciando un’espressione del card. Poletti al momento della ripresa delle Settimane sociali, ha potuto, perciò, parlare di «diaconia della Chiesa italiana al Paese».

Quasi in un ideale “componimento scritto”, intitolato appunto Democrazia, il presidente Mattarella, nel dichiarato orizzonte della «riflessione sui cardini della democrazia» e non senza constatare esplicitamente «il deficit democratico che si rischia», ne ha dato una prima efficace definizione/descrizione: «Parola di uso comune, anche nella sua declinazione come aggettivo. È ampiamente diffusa. Suggerisce un valore. Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera».

Democrazia – ecco gli attributi assegnati da Mattarella – è «base di rispetto reciproco», è un valore non opponibile alla libertà, essendo la libertà non «artatamente utilizzabile come limitazione» della democrazia; una realtà la cui anima, in Italia, si è andata configurando, dopo la stagione fascista, «nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale», ovvero poggiata sulla Costituzione come “intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini”».

Il Presidente, quasi per rendere plasticamente l’attuale situazione italiana di ricerca delle risposte “giuste” per un genuino «esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme», ha preferito degli interrogativi: «Si può pensare di contentarsi che una democrazia sia imperfetta? Di contentarsi di una democrazia a “bassa intensità”? Si può pensare di arrendersi, “pragmaticamente”, al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”? Può esistere una democrazia senza il consistente esercizio del ruolo degli elettori?».

Per porre mente alla «defezione, diserzione, rinuncia intervenuta da parte dei cittadini in recenti tornate elettorali», bisogna rammentare, come esplicita Mattarella riprendendo Egidio Tosato, che «la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e oppressiva che non la volontà di un principe».

Altro è, pertanto, «mirare al “bene comune”, che non è il “bene pubblico” nell’interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno, al tempo stesso», altro è il parteggiare, altro ancora il partecipare e, sul piano, delle interpretazioni del non-voto o del voto affievolito.

D’altra parte, la tirannia della maggioranza, adombrata già nell’Ottocento da Alexis de Tocqueville, ha una cura ben nota: la separazione dei poteri dello Stato, ciascuno affidato ad un organo diverso. Ma è ancora sufficiente, questo antidoto, nel terzo millennio, in cui si affacciano fenomeni prima sconosciuti, che recano con sé pericoli altrettanto inediti e letali?

Su questa ampia base prospettica, Mattarella si spinge a dire che «una democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione»; occorre, piuttosto, convincersi che «al di là delle idee e degli interessi molteplici c’è la percezione di un modo di stare insieme e di un bene comune»; quindi non bisogna cedere «all’ossessiva proclamazione di quel che contrappone, della rivalsa, della delegittimazione».

Conquista mai definitiva, ma sempre provvisoria e in fieri, è la democrazia in queste nostre aggregazioni sociali, che possono essere definite società del rischio, in cui non bisogna cedere alla tentazione di soluzioni tecnocratiche, anzi occorre sentirsi chiamati a confrontarsi con «nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale».

La componente ideale cattolica, incarnata da Dossetti, apre il discorso del Presidente della Repubblica alla rilevanza dei diritti economico-sociali, che oggi vanno gestiti nell’orizzonte ampio dell’Unione Europea: «Una più efficace unità europea – più forte ed efficiente di quanto fin qui siamo stati capaci di realizzare – è oggi condizione di salvaguardia e di progresso dei nostri ordinamenti di libertà e di uguaglianza, di solidarietà e di pace».

Del resto, è ormai un dato di fatto che «dalla dimensione nazionale dei problemi – e delle conseguenti sfere decisionali – siamo passati a quella europea e, per qualche aspetto, a quella globale».

Il che comporta la constatazione che «all’opposto della cooperazione fra eguali si presenta il ritorno alle sfere di influenza dei più forti o meglio armati – che si sta praticando e teorizzando, in sede internazionale, con la guerra, l’intimidazione, la prevaricazione – e, in altri ambiti, di chi dispone di forza economica che supera la dimensione e le funzioni degli Stati».

Il contributo dei Vescovi italiani al principio della “partecipazione socio-politica”

Se Mattarella attinge a piene mani dalla tradizione cattolico-sociale e dalla dottrina sociale dei pontefici, soprattutto dalla Populorum progressio di Paolo VI per tratteggiare rischi e obiettivi della democrazia partecipativa, il presidente della CEI, card. Zuppi, nel suo intervento, innanzi tutto saluta con gioia l’attivismo del cattolicesimo italiano nel corso del Novecento: esso «non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali».

Rivendicando, con De Lubac, che il cattolicesimo «presenta un carattere eminentemente sociale», Zuppi si è riferito al genius loci, insistendo sui «migranti» e su coloro, che passando per la «porta che unisce est e ovest, nord e sud, ma anche terra segnata da ferite profonde che non si sono del tutto rimarginate», «chiedono di essere considerati quello che sono: persone!».

Sul piano specifico del tema della SettimanaAl cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro –, Zuppi, in compagnia di Romano Guardini, ribadisce l’obiettivo dei cattolici, finalizzato a «costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro».

D’altra parte, se, come scriveva Tommaso d’Aquino, participare est quasi partem capere,[2] rilancia il presidente della CEI, «quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud». Perciò egli sottolinea e incoraggia le «esperienze di partecipazione» e la diffusione delle «buone pratiche», stigmatizzando il «pericolo dei populismi», soprattutto tratteggiando il «contributo» che la Chiesa può offrire all’Italia in questa peculiare stagione storica.

L’apporto qualificato del vescovo di Roma

Nel Centro Congressi “Generali Convention Center” di Trieste, papa Francesco ha concluso il 7 luglio la Settimana sociale, citando un suo ricordo personale di Trieste, avendone sentito parlare: «da mio nonno che aveva fatto il ’14 sul Piave. Lui ci insegnava tante canzoni e una era su Trieste».

Nella convinzione che «questo è il ruolo della Chiesa: coinvolgere nella speranza», il papa riflette ad alta voce, non senza citare U. Saba, nella scia di G. Toniolo (già Direttore, in Santa Sede, della Rivista internazionale di scienze sociali, di cui era Segretario il neotomista partenopeo Salvatore Talamo). Ciò non senza aver constatato che «nel mondo di oggi la democrazia, diciamo la verità, non gode di buona salute. Questo ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo».

In tale orizzonte preoccupante, il papa riconosce il contributo determinante dei cattolici del passato, augurandosi che anche oggi essi possano, non soltanto in Italia, «assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo»; la convinzione è che «l’atteggiamento della responsabilità nei confronti delle trasformazioni sociali è una chiamata rivolta a tutti i cristiani, ovunque essi si trovino a vivere e ad operare, in ogni parte del mondo».

Sviluppando la metafora del cuore, Francesco ha parlato, anzitutto, della «crisi della democrazia come un cuore ferito», al punto, talvolta, di essere infartuato.

Di qui un lungo e doloroso elenco: forme di esclusione sociale o cultura dello scarto; potere autoreferenziale; numero ridotto della gente che è andata a votare; ideologie seduttrici; caduta dei principi di solidarietà e sussidiarietà; forme di assistenzialismo che non riconoscono la dignità delle persone.

Il papa ha poi sviluppato la figura del «cuore risanato», cioè in grado di esercitare la creatività sotto il soffio dello Spirito Santo e, soprattutto, di partecipare: «Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti. Tutte queste cose non entrano in una politica senza partecipazione». Spirito di fraternità e senso di appartenenza a un popolo, sognando e operando, in quanto cattolici, per il bene comune.

Nel solco di Giorgio La Pira, il papa lancia alcuni interrogativi non retorici: «Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa?». Ritorna, insomma, il tema di questo pontificato dello «scommettere sul tempo, avviare processi, non prendere luoghi». Come «una donna, quando fa nascere un figlio, incomincia a avviare un processo e lo accompagna. Anche noi nella politica dobbiamo fare lo stesso».

Voci dalle “piazze della democrazia”

Partecipazione, cittadinanza e istituzioni: ecco i temi-cardine di relazioni e i lavori delle giornate della Settimana Sociale dei cattolici. Il sito della CEI dedicato alla ad essa,[3] consente di capire perché una delle forme prescelte a Trieste sia stata, tra l’altro, quella dei dibattiti nelle piazze, funzionali a guardare non principalmente a quello che manca, bensì a quello che c’è: cioè a vedere «con sguardo sapienziale quello che si muove nel tessuto sociale, possiamo scorgere tante energie positive ed esperienze innovative».

È, insomma, una forma di partecipazione: «più essa si fa inclusiva, complessa, onesta, più risulta, di fatto, incapace di arrivare a una sintesi condivisa. La fatica di elaborare proposte e visioni induce molti più che alla partecipazione (come l’abbiamo sempre intesa) a spendersi in azioni concrete».

Oltre alle piazze, ecco, nel corso della Settimana sociale, i Laboratori di partecipazione, strutturati in una relazione introduttiva e nel successivo confronto tra i Delegati, divisi per gruppi.

Conclusione: sogni dalla Settimana sociale

Non si contano le occasioni in cui altre volte siamo stati sollecitati, come credenti, all’impegno per la città (aspetti sociali e politici della vita del fedele laico cristiano).[4]

Le proposte di questa Settimana sociale ci fanno sognare, tra i cristiani, un sussulto simile a quello dell’inizio del secolo XX, dettato oggi dal dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, per contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle Nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali del lavoro, soprattutto a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi.

Donde il rispetto della libertà, individuale e generale (anche religiosa), in uno Stato non accentratore, ma veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali, la personalità individuale e incoraggi le iniziative private, grazie alla riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione, sulla pietra forte della Carta costituzionale.


[1] In attesa dell’edizione ufficiale, tutti i testi di papa Francesco sono reperibili in rete: https://www.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2024/documents/20240707-trieste-angelus.html; https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2024/7/7/trieste.html; https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2024/7/7/trieste-messa.html.

[2] «Omnia enim dona dantur ex amore: et ideo istam participationem attribuit spiritui sancto. Est autem participare, partem capere. Solum autem Christus spiritum sanctum habuit ad plenitudinem» (Super Heb. [rep. vulgata], cap. 6 l. 1). La nozione di partecipazione, in quanto dono che ridonda dall’amore, prima che socio-politica, è dimensione caratterizzata da un dinamismo trinitario e teologico, che si riverbera nella persona e nella comunità.

[3] Oltre ai testi integrali degli interventi principali, il sito informatico mette a disposizione le sintesi riportate dai principali mezzi d’informazione cattolici (soprattutto: Avvenire e Agensir): https://www.settimanesociali.it/ [6.7.2024].

[4] Rinvierei a V. Bertolone, Presentazione a Liberi e forti. Storia o attualità? Atti del Convegno. Venerdì 18 gennaio 2019. Auditorium San Pio X-Catanzaro, Grafiche Simone, Catanzaro 2019, pp. 125, qui 3-9. Venivano pubblicati, oltre al mio (pp. 11-22), i saggi di Sebastiano Ciancio (pp. 23-24), Lorenzo Ornaghi (pp. 25-40); Ernesto Preziosi (pp. 41-68), Angelo Panebianco (pp. 69-74), Giovanni Palladino (pp. 75-82), Marcello Furriolo (pp. 83-94), Michele Pennisi (pp. 95-106), Antonio Viscomi (pp. 107-114). Nel filone dell’impegno politico dei cristiani, rimanderei ancora a V. Bertolone, Presentazione a M. Arcuri, Aldo Moro. Spiritualità di un cristiano in politica, Book Sprint, 2018, 21-31.

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