A Raffaella Arrobbio, psicoterapeuta e studiosa di buddhismo, abbiamo chiesto di chiarire – attraverso il suo volume La meditazione tra essere e benessere (Le Lettere 2022) – le differenze tra pratica meditativa laica occidentalizzata e spirituale buddista orientale con la sua – sostenuta – affinità alla mistica cristiana. L’intervista è curata da Giordano Cavallari.
- Gentilissima Raffaella, nel volume Lei distingue tra una meditazione (mindfulness) “mondana”, priva di trascendenza – di moda in occidente e volta al benessere – e meditazione propriamente orientale, buddhista, volta all’essere, quindi all’interiorità, al trascendente. Può iniziare a spiegarci?
La moda della meditazione diffusa in occidente ha come scopo alleviare stati di stress, ansia, oppure risolvere l’insonnia, o migliorare prestazioni lavorative, o facilitare le relazioni interpersonali. Tali e altre simili motivazioni non sono appropriate alla meditazione intesa in senso stretto. Per esempio, ormai siamo tutti abituati, quando sentiamo parlare di yoga, ad associarlo ad una disciplina più che altro fisica o, al massimo, psicofisica. Tanto che – mi chiedo – quanti praticano lo yoga nel suo senso originario di unione con il Sé supremo?
La meditazione buddhista è estremamente differente dai suoi derivati in voga in occidente come la mindfulness: l’obiettivo tradizionale nel Buddhadharma è l’ottenimento di quella pace che può derivare soltanto dal trascendimento delle dinamiche egoiche. Il Buddhadharma offre una risposta alla domanda di senso riguardo l’esistenza; come anche altre Vie spirituali e tradizioni filosofiche, il Buddhadharma indica un Oltre, e ci dà indicazioni per scorgerlo e realizzarlo in noi stessi.
- Cosa si cerca nella mindfulness? Quali gli effetti attesi?
Giustamente Lei mi chiede degli ‘effetti’ attesi con la pratica della mindfulness! Il programma infatti è: ‘fai questo e ottieni quello’, con un approccio prevalentemente consumistico per cui, investendo un po’ di tempo quotidiano, si ottengono grandi risultati in termini di diminuzione dello stress o di acquisizione di migliori capacità di concentrazione, o altri risultati desiderabili per il benessere personale. Sono obiettivi, in certa misura, positivi per l’individuo che li consegue, ma è opportuno non denominarli effetti meditativi buddhisti, in quanto, semmai, rappresentano un completo rovesciamento della pratica del Buddhadharma, in vari modi.
Esiste, infatti, una grande confusione tra psicologico e spirituale: gli effetti conseguiti con la mindfulness – qualora siano davvero conseguiti in modo stabile – sono di ordine psicologico: completamente assente è la conoscenza della realtà più profonda dell’essere umano, quella che, per intenderci, definiamo spirituale.
- Mentre, quali sono gli effetti della meditazione autenticamente buddhista?
Ecco, qui non possiamo parlare di ‘effetti’, nel senso in cui ho detto prima. Il Buddhadharma, ci offre la possibilità di una completa trasformazione della coscienza, per realizzare la possibilità umana migliore: la possibilità della auto trascendenza; ci offre la possibilità di aprirci a una saggezza che conosce la realtà al di là delle illusorie proiezioni dell’ego generatrici di attaccamento e di aggressività, e di sperimentare qualità relazionali – come l’amore, l’equanimità, la compassione, la gioia – assolutamente incondizionate, cioè non dipendenti da desideri egoici.
- Serve studio, dottrina, oltre a tecnica?
Fin dal primo momento – come insegnano i maestri buddhisti – si entra nella via della pratica del Buddhadharma protetti dalla motivazione altruista: non solo per me, ma per il bene di tutti. Questa motivazione protegge il praticante dalle derive narcisistiche, egoiche, che potrebbero dar luogo pure a gravi stati di onnipotenza dell’io; e questa è una grande differenza – sostanziale – con la pratica della mindfulness o di qualunque meditazione laica interessata a conseguire benessere personale!
Dunque, il presupposto è una solida motivazione altruista; il percorso è poi costituito di molti aspetti – l’Ottuplice Sentiero insegnato dal Buddha storico (circa 560 a.C.-480 a. C) – tra loro interagenti.
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- Ci spieghi un po’ l’Ottuplice Sentiero buddhista.
Gli aspetti etici sono, appunto, fondamentali nel percorso: attenzione alle azioni e alle parole, sempre nell’ottica della attenzione al bene altrui; persino i mezzi di sussistenza fanno parte dell’Ottuplice Sentiero, nel senso che per la propria sussistenza non si può danneggiare altri: se, ad esempio, si costruiscono o si vendono armi, non è possibile considerarsi un praticante del Buddhadharma.
Poi ci sono aspetti più propriamente cognitivi, centrati sulla comprensione, lo studio e la riflessione delle basi dell’insegnamento buddhista, come ad esempio le Quattro Nobili Verità. All’importanza irrinunciabile dell’etica e alla comprensione globale dell’insegnamento si accompagnano la pratica della presenza mentale e della concentrazione meditativa, in cui piano piano poter realizzare, nell’esperienza interiore, quella trasformazione di coscienza a cui ho accennato.
Mi rendo conto della complessità. Certamente è più facile praticare la meditazione laica: sedersi mezz’ora al giorno, tranquillizzarsi un po’, senza altre pretese. Ma è della realizzazione della possibilità di autotrascendenza che stiamo parlando, non di un banale benessere psicofisico.
Un altro elemento nell’Ottuplice Sentiero è il ‘giusto sforzo’, la capacità di non essere pigri, ma nello stesso tempo di non creare tensioni per eccesso di pratica: la giusta via di mezzo che assicura di proseguire serenamente nel percorso.
- Da psicoterapeuta, Lei cosa raccomanda?
Senza dubbio, quando una persona soffre a causa di problematiche psicologiche e difficoltà emotive, la scelta opportuna consiste in una psicoterapia che aiuti a risolvere quelle sofferenze e a rinforzare la personalità, l’autostima, il senso del proprio valore quale essere umano. C’è un tempo per la psicoterapia e un tempo per le pratiche spirituali. E i due momenti non si possono invertire o sovrapporre: per entrare in un percorso spirituale (qualunque esso sia) è necessario che la personalità sia sufficientemente strutturata, matura.
Talvolta, per varie cause, l’io psicologico – che è una importante funzione della personalità – è molto debole: esso deve essere aiutato a maturare e a comprendere le cause della debolezza attuale, prima di entrare in un percorso di pratiche meditative volte all’autotrascendenza.
Nessuna pratica spirituale di meditazione può essere intesa come psicoterapia. Ancor meno la mindfulness che invece è commercializzata come mezzo per superare problemi psicologici di vario tipo.
- Ci sono effetti indesiderati nella meditazione?
Sia nella meditazione tradizionale, sia nella mindfulness, possono accadere effetti indesiderati, talvolta di breve durata, talvolta più duraturi. Nel mio libro dedico un capitolo ad esporre gli studi più recenti e autorevoli che evidenziano effetti indesiderati emergenti nella pratica di mindfulness: è curioso come chi inizia la pratica di solito non venga avvisato della possibilità che non tutto vada poi così bene come ci si aspetta.
- E la presenza mentale, cos’è?
Nella pratica tradizionale – nell’Ottuplice Sentiero – abbiamo la ‘retta presenza mentale’ – samma sati in lingua pāli -: è la facoltà mentale che viene allenata con la pratica e che permette di rendere sempre più stabile la concentrazione, diminuendo la dispersione della mente in distrazioni di qualunque tipo.
Anche mindfulness è la traduzione inglese di sati: la presenza mentale. Tuttavia, come detto, esistono differenze rilevanti tra il senso del vocabolo originario e il senso divenuto prevalente nella sua traduzione occidentale. La via moderna intende la presenza mentale come una ‘nuda consapevolezza’ non giudicante rispetto agli eventi mentali che sorgono.
Invece la via tradizionale intende la presenza mentale come un insieme di attenzione ad un oggetto specifico su cui focalizzarsi, di vigilanza continua su ciò che accade nella mente, attribuendole l’importante funzione di distinguere tra le tendenze e gli eventi mentali, quali siano utili e quali nocivi, ai fini del mantenere l’attenzione sull’oggetto di concentrazione e di introdurre opportuni antidoti.
- E perché l’attenzione è così importante?
L’attenzione chiara e lucida è l’anticamera di ogni successiva realizzazione spirituale. Nel Buddhadharma, senza una buona capacità di attenzione e presenza mentale non si produce lo stato di calma, che a sua volta è indispensabile per accedere ai livelli di assorbimento meditativo in cui poco per volta sorge l’esperienza interiore, il cui frutto è conoscenza e amore.
Anche il cristianesimo più antico, quello ad esempio dei Padri del deserto, fonda la pratica spirituale sull’attenzione, la prosoché, di origine stoica: l’attenzione istante per istante evita che la mente cada negli automatismi, nelle reazioni condizionate dai moti dell’ego, perdendo il contatto con l’Essere, che è la nostra vera natura.
Nel mio libro lascio una parte di spazio anche ad un excursus su altre Vie filosofiche e spirituali, proprio per mettere in evidenza come l’autentica ricerca interiore – la via del ‘Conosci te stesso’ – ci parli allo stesso modo sotto ogni cielo.
- È, appunto, il distacco da sé stessi il punto di sovrapposizione di mistica buddhista e cristiana?
L’abbandono dell’attaccamento a sé stessi è centrale nella pratica del Buddhadharma, perché l’attaccamento all’egoità è visto come l’origine di tutto il dolore che pervade l’esistenza. Allo stesso modo, la mistica cristiana pone al centro l’istruzione evangelica: «Chi vuole essere mio discepolo, rinunci a sé stesso» (Mt. 9,23).
Nel mio libro Fratelli Spirituali, di cui abbiamo già parlato (qui), ho raccolto molti brevi brani da testi sia buddhisti che evangelici e ne emerge proprio la loro perfetta sovrapposizione: entrambe le Vie pongono la richiesta di rinunciare alla «vanità dell’ego» (Udana, II,1) per liberare la luce della natura autentica, divina, che ci abita.
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- È possibile la critica – rivolta alla mistica in genere – di allontanare dalla vita, dalla storia?
La pratica tradizionale del Buddhadharma non è mai avulsa dalla vita ordinaria, al contrario essa mira a trasformare proprio la nostra vita quotidiana. La motivazione altruista si integra in ogni aspetto della vita di relazione; l’attenzione instancabile a ciò che sorge nella mente, affinata nella pratica meditativa, permette di scegliere di momento in momento, rispetto agli eventi che si presentano, risposte non automaticamente egoiche, bensì consapevoli dell’interdipendenza di tutto, guidate dal desiderio di essere di beneficio agli altri.
La trasformazione interiore non può, dunque, non esprimersi anche nel comportamento esteriore, influenzando positivamente pensieri, parole e azioni. Il piccolo passo di ognuno, ogni giorno, in ogni attimo, è di fondamentale importanza, perché può fare la differenza tra un atteggiamento libero o meno dal dominio dell’ego.
E questo è importante sia per l’individuo sia per la collettività che con quell’individuo è in relazione; ed anche oltre poiché tutto è interdipendente.
- Quale relazione può darsi tra meditazione orientale e preghiera cristiana?
Come ho scritto in Fratelli Spirituali, io sono convinta che esista una profonda relazione tra le due Vie, e che questa relazione dovrebbe essere approfondita, perché dalla reciproca conoscenza ognuna può non solo scoprire l’altra, ma, persino, comprendere ancor più sé stessa.
La mia esperienza personale è proprio quella di una comprensione molto più profonda del senso dell’insegnamento evangelico, grazie ad un percorso di studio e di pratica meditativa nel Buddhadharma.
Al di là delle ovvie differenze teologiche e filosofiche, al di là delle diversità terminologiche con cui si esprime l’Assoluto, entrambe le Vie ci conducono a vivere secondo la legge dell’Amore, ci chiedono di rinunciare alla volontà di appropriazione, per lasciare spazio all’Essere autentico che tutto sostiene e che è la nostra più autentica natura.
Senz’altro, ritengo che ci sia una possibile relazione tra meditazione buddhista e preghiera cristiana, laddove per preghiera si intenda una interiorizzazione della mente, in cui pregare sia un lasciar cadere l’ego e i suoi giochi: preghiera e meditazione sono così la porta per introdursi nell’esperienza del distacco, l’esperienza della libertà dello Spirito.
Articolo molto bello. La dimensione psicologica è ben distinta da quella spirituale, come è ben distinto il diffondersi di rispettabili pratiche tecniche quali la mindfulness, orientate a migliorare sì il benessere, ma con obiettivo recondito di aumentare l’integrazione e la performance sociale, quindi riportare al centro l’ego del soggetto, laddove l’altra strada, quella millenaria e spirtituale, cerca, quell’ego, di stemperarlo. Sono due vie completamente divergenti; la prima è figlia del mondo individualista, materiale, superficiale. La seconda è figlia della speranza che l’uomo posso guardare oltre alla cortina di nebbia, trovando motivazione, gioia, pace interiore ed esteriore.
L’incontro col buddismo è stato il più grande dono che la vita mi ha fatto: un percorso di pace e serenità, per me e nel rapporto con gli altri, come non l’ho mai trovato in nessun’altra religione, tanto meno nel cristianesimo in tutte le sue forme, specialmente in quella cattolica.