Compravendita di spose siriane

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Nel raccapricciante elenco di leader forti che amerebbero intensamente i loro Paesi, Donald Trump ha citato il russo Putin e il cinese Xi; ma ha, a tal punto, ingiustamente, omesso di citare, quantomeno, un loro pari: il siriano Assad. Questi avrebbe meritato, da parte di Trump, una citazione specifica, un encomio particolare, per l’intenso amore che sta riservando al suo Paese e ai suoi abitanti.

I suoi migliori biografi sostengono che già dal 2000, l’anno in cui ereditò la Siria da suo padre Hafez, Bashar dicesse che il solo modo per governare fosse «mettere le scarpe in faccia al popolo». La sua teppaglia più diretta, intanto si aggirava per il Paese gridando, «Assad o bruceremo il Paese»: uno slogan che non lasciava nulla al non detto; e infatti lo hanno fatto.

Ora che la Siria è stata bruciata, i siriani ne soffrono le conseguenze. Sono diventati infatti un popolo di esiliati. In tutti i Paesi nei quali hanno cercato e, in qualche modo, trovato rifugio, si è diffuso, sui social, un messaggio accattivante: «sposa una donna siriana per cento dollari. Avrai un bel dialetto e un’ottima cucina!». Che il siriano sia il più bel dialetto arabo lo si dice da tanto tempo in quel mondo; quanto alla cucina, è rinomata, non quanto quella libanese ma abbastanza.

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La cifra richiesta per ottenere la giovane sposa poi è estremamente competitiva. Nei contratti matrimoniali con le libanesi, le irachene, le giordane e altre, si chiede molto di più. Cento dollari per sposare una ragazza molto giovane, pronta a tutto, umile e servizievole è un buon affare: infatti incontra molto interesse nei maschi del Medioriente.

I cento dollari, ovviamente, non vanno alla sposa, bensì alla famiglia allargata dalla quale lei origina, che non è più in grado di garantirle una rete di sicurezza. Impoveriti e affamati, i clan familiari devono mettere sul mercato il poco che hanno per sopravvivere. E le ragazze sono una delle poche risorse per garantirsi una cifra che consenta di sopravvivere ancora per qualche mese, forse un anno.

In un Paese devastato dalle razzie dei tirapiedi del Presidente – la Siria – molte giovani donne si scoprono, quindi, il solo mezzo di sopravvivenza per la loro famiglia, e decidono di emigrare per una minima paga, quali donne delle pulizie, badanti o altri umili lavori del genere. Ma la vita non è facile, le società conservatrici non riservano loro larghe possibilità: offrirsi, perciò, come spose è spesso l’ultima possibilità, per sopravvivere e mandare qualcosa a casa.

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L’ambasciatore siriano in Iraq, Sattam Jadaan al-Dandah, ha documentato 5.000 matrimoni tra donne siriane e maschi iracheni nel solo 2023. Forse per lui sarà un vanto, la dimostrazione dell’avvenenza delle giovani di Siria. L’auspicio è che ne abbia informato il suo datore lavoro Assad, visto che nella speciale classifica curata dall’ONU l’Iraq ha strappato il quinto posto in classifica quale peggior Paese al mondo in fatto di rispetto dei diritti delle donne.

«In Paesi come l’Iraq, le siriane sono prive di una rete sociale che le protegga e sono sottoposte spesso e volentieri a molestie, sfruttamento e traffico di esseri umani», informa Mouna Khaity, un’attivista siriana per i diritti umani basata a Londra.

Come mai le ragazze siriane accettano l’infermo? È molto semplice, spiegano in molti: perché la loro vita in Siria è o sarebbe peggiore.

Cinque milioni e mezzo di siriani hanno avuto il privilegio di essere deportati dal loro Paese e di sopravvivere in campi di fortuna nei Paesi circostanti. Il 70% di costoro sono donne.

Che poi si scopra che tante nozze riguardano siriane di appena 13 anni, non può sorprendere. Nessun Paese infatti – dalla Turchia, al Libano, alla Giordania, all’Iraq – ha ritenuto di assorbire legalmente neppure una piccolissima frazione di esuli siriani. Sono rimasti nei campi profughi, come ostaggi, o pezzi da barattare, ovvero carne da lanciare sui nemici. Le donne, e le bambine, ne sono, ovviamente, l’anello debole, quello – in fin dei conti – sacrificabile.

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