Ci sarebbero probabilmente le più tristi intenzioni dietro la decisione del governo italiano di riaprire la nostra sede diplomatica a Damasco, con tanto di scelta di un nuovo ambasciatore.
Ipotizzata da tempo, la decisione – stando a quanto scrive in un articolo molto dettagliato il quotidiano La Repubblica – sarebbe stata presa e comunicata ufficiosamente dal ministro degli esteri Antonio Tajani.
L’Italia, presumibilmente con Romania, Grecia e Cipro, corteggia da tempo il regime di Damasco, nella speranza che possa riassorbire i profughi siriani con i quali ha lastricato le strade del Medio Oriente. Deportati dalla Siria almeno un decennio fa, sono l’incubo della nostra diplomazia, che confida in Assad.
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La strada è stata tracciata dai cristiani libanesi, intimoriti dall’idea che i profughi, tutti musulmani, alterino la bilancia comunitaria. Così da quando il loro Paese è sprofondato nel baratro della dissoluzione, non hanno trovato miglior capro espiatorio dei guasti causati dalla corruzione del loro ceto politico, che si è letteralmente divorato un Paese.
Ora quei profughi sono invitati soprattutto dai cristiani libanesi a togliere il disturbo, ovviamente d’intesa con i dirimpettai di Hezbollah. Il loro leader, Hasan Nasrallah, si è fatto carico di spiegare come centrare l’obiettivo: basterà lanciare qualche vascello imbottito di siriani verso le coste europee.
Non ha avuto torto, nella sua previsione. I Paesi più esposti, come l’Italia, inconsapevoli di chi gestisca davvero il traffico di esseri umani da quelle parti, non avrebbero saputo far altro che andare al bacio della pantofola del leader siriano.
Assad apprezza, ma nessuno si illude che li riprenderà davvero. Piuttosto aprirà per loro i gorghi dei suoi lager, di cui il Paese è disseminato, ma questo basta e avanza a chi non sa come fare.
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Basta vedere l’esempio turco. Erdogan si è arricchito con i soldi europei stanziati perché si tenesse i profughi siriani, diversi milioni. Ora li espelle a ritmi frenetici, impiegando tutti i mezzi di cui dispone per riportarli in Siria.
Ne va della tenuta del suo partito, neanche i turchi vogliono più vedere un siriano in giro per il loro Paese, e l’opposizione “nazionalista” e “laica” ha promosso autentici pogrom contro gli sgraditi ospiti. Pogrom fatti di mazze “laiche” e di purghe “nazionaliste”.
Libano e Turchia, da soli, ospitano più di sei milioni di siriani, deportati dal loro Paese per la sola colpa di non essere ritenuti fedeli al regime degli Assad. Di loro il 70% sono donne.
Ma per i cristiani libanesi sono loro la causa di tutti i mali del loro Paese, precipitato nel gorgo infernale della miseria non per la corruzione, non per la guerra scatenata da Hezbollah a sostegno dell’amico siriano, non per i traffici illegali di droghe e armi, ma per questi sventurati cacciati con il forcone dalle loro case – soprattutto lungo la valle dell’Oronte, ora un’immensa coltivazione di hashish e sede di laboratori di una droga sintetica che arricchisce il regime, il captagon.
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Numerose magistrature europee hanno riconosciuto Bashar al Assad responsabile di crimini contro l’umanità. Tra i più esecrabili.
Tra questi spicca la strage chimica del 2013, quando con il Sarin uccise in pochi minuti migliaia di sudditi da lui ritenuti infedeli. Dandone ovviamente la colpa agli insorti, pronti a gassare se stessi pur di screditarlo. Così Assad è inseguito da mandati di cattura spiccati dai tribunali di mezza Europa.
Che questa pagine tristissima venga scritta proprio nelle ore in cui ricorre l’undicesimo anniversario del sequestro di Paolo Dall’Oglio va in certo senso a onore del gesuita italiano. Espulso da Assad e sequestrato dall’Isis, lui rappresenta un popolo di deportati, di esclusi di rifiutati. Con o senza la comprensione e la stima del suo Paese d’origine, conta poco.