Venezuela-elezioni: il giorno dopo

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Versión española a continuación.

Proprio ieri, oggi è il 29 luglio, siamo usciti dai seggi elettorali. Sono rimasto in fila per nove ore in attesa di poter esercitare il mio diritto di voto. Mentre aspettavo, la fila è diventata un luogo di conversazione. Gli argomenti ruotavano intorno alla speranza, alle novità e al desiderio di costruire un futuro migliore per il nostro Paese.

La maggior parte degli elettori in fila erano giovani sotto i 25 anni. Mentre il tempo passava e la fila non avanzava, a causa di un rallentamento del sistema di voto (così ci è stato comunicato dalle autorità), i più vicini alle loro abitazioni sono andati a casa a prendere acqua fredda, altri hanno preso del cibo e altri ancora hanno comprato del gelato da condividere.

La stanchezza non ha vinto nessuno in coda, tutti erano convinti che il loro voto fosse importante e che dovessero mettere il loro desiderio di un futuro migliore in una piccola scatola di cartone.

La sera i seggi elettorali erano pieni di persone. La gente voleva seguire il conteggio dei voti in ogni seggio. Alle 22.00, al termine dello spoglio nel nostro seggio, si è levato un grido di giubilo, perché il candidato Edmundo aveva ottenuto il 65% dei voti totali. Circa 300 persone stavano festeggiando in strada la vittoria del candidato da loro scelto. La stessa scena si è ripetuta in molte parti del Paese. Le strade di Caracas erano piene di gente e lo stesso accadeva a Maracaibo, Valencia, Maracay, San Cristobal e così via in molte altre città.

Dopo la mezzanotte il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ha annunciato risultati che non corrispondevano ai voti. L’organo elettorale ha decretato la vittoria di Nicolás Maduro, senza che, per la prima volta, i risultati siano stati comunicati Stato per Stato.

L’interferenza con il sistema elettorale è stata la ragione addotta dal CNE per non comunicare i risultati elettorali come di consueto. In effetti, a quest’ora (mentre scrivo ho provato ad aprire il sito web del CNE) il sito dell’organo elettorale non è ancora accessibile. Abbiamo a che fare con un presidente eletto da un piccolo gruppo senza contare i voti? Se il voto del popolo non conta, allora cosa conta?

La dittatura è questo: non rispettare la volontà della maggioranza, imporre, in modo discrezionale, la volontà di un singolo o di un gruppo, ignorare i risultati delle elezioni, controllare gli organi che dovrebbero esercitare un equilibrio di potere rispetto al governo e usare gli organi di pubblica sicurezza per seminare la paura tra la popolazione.

In una dittatura, tutto è al servizio di una tendenza politica, anche quando c’è prosperità economica o benessere sociale.

È tempo di pensare a un altro Venezuela

Noi venezuelani ci stiamo logorando da anni nella ricerca della democrazia, cambiando il governo attraverso elezioni regolari. Questo fatto è l’indicatore che il potere è concentrato nelle mani di pochi (siamo convinti che se cambia il governo, cambia il Paese).

Il fatto è che il governo controlla e i venezuelani sono convinti che le cose possano migliorare solo con un cambiamento delle persone che lo compongono. Il peso che diamo ai leader politici è, a mio avviso, sopravvalutato, il che indica che non abbiamo una struttura solida di cittadinanza. È vero che abbiamo partiti e leader politici che mobilitano parte della popolazione, ma la loro organizzazione e la loro leadership sono legate a una forma di governo.

La formazione dei cittadini è un compito che non può essere lasciato a un secondo momento. La cittadinanza organizzata non deve essere concepita solo come una nuova opposizione al governo. Purtroppo, il ruolo che la cittadinanza dovrebbe svolgere è attualmente nelle mani dei cosiddetti Consigli comunali, che non solo sfuggono al controllo dei cittadini, ma funzionano anche come organi di controllo al servizio del partito di governo, molto personalistico e altamente discrezionale, e quasi sempre al di sopra o al di fuori della legge.

L’esercizio della cittadinanza è un dovere e un diritto che non può essere esercitato in modo egoistico. Essere cittadini significa essere membri della polis, cioè di un progetto politico che va oltre il progetto di un partito o di un governo.

I cittadini sono chiamati a pensare alla propria città o nazione in termini di bene di tutti, a individuarne i bisogni e le fonti di ricchezza, a prendersi cura della vita buona di tutti e a pensare a meccanismi di collaborazione con gli organismi statali e internazionali, senza che questo implichi una violazione della sovranità. La cittadinanza organizzata è un valido interlocutore sia a livello nazionale che internazionale.

È tempo di pensare a una solida formazione dei cittadini. Università, scuole, ONG, congregazioni religiose e anche imprese private devono contribuire a formare agenti capaci di strutturare il futuro del Paese non su progetti di partito, ma su progetti di cittadini.

La proposta di formazione dei cittadini non significa una capitolazione dei diritti politici di fronte a una dittatura; al contrario, è l’ampliamento degli spazi e delle modalità di partecipazione, l’adempimento dei doveri e la rivendicazione dei diritti.

Una cittadinanza organizzata, non ridotta a una ONG, ma che esercita i propri diritti civili, può stabilire legami con cittadini di altri Paesi, realizzare progetti comuni ed esercitare controllo e pressione di fronte alle violazioni dei diritti umani. Le dittature non possono essere sconfitte con le stesse armi che usano per rimanere al potere.

Mi viene in mente la scena di Davide e Golia, metafora di una lotta impari che si applica a ogni arena politica. Davide fu vestito con un’armatura e gli fu data una lancia nel tentativo di metterlo sullo stesso piano di Golia. Quando Davide sentì il peso della lancia e la rigidità dell’armatura che rendeva il suo corpo meno agile, capì subito che se avesse combattuto ad armi pari sarebbe stato perso.

Una fionda e delle pietre, unite all’agilità di Davide, equilibrarono la lotta. Alla fine Davide sconfisse colui che tutti temevano, non per la sua grande forza, né perché era alla pari o combatteva con le stesse armi, ma per la sua intelligenza, la sua agilità e il suo coraggio di affrontare in modo diverso una lotta così impari.

Lottare per una maggiore giustizia è un dovere. Al momento, nel nostro Paese, la lotta è impari. Abbiamo vissuto venticinque anni di incertezza, arbitrio e ingiustizia. La giustizia non vince con la forza, non è chiamata a distruggere, né a uccidere. La giustizia si costruisce ed è un dovere a cui tutti i venezuelani, in quanto cittadini, sono chiamati a contribuire.

Anche se come popolo abbiamo ricevuto un altro colpo, non siamo chiamati a fuggire, a desistere o a diventare indifferenti, è tempo di continuare a motivare, lavorare, costruire e creare spazi dove la democrazia sia possibile al di là degli esercizi tirannici del potere.


Un día después de las elecciones

Apenas ayer, hoy es 29 de julio, salimos de unas elecciones. A mí me tocó estar nueve horas en una fila esperando mi oportunidad de ejercer mi derecho. Mientras esperaba la fila se volvió un lugar de conversación. Los temas giraban en torno a esperanza, novedades y deseos de construir un mejor futuro para nuestro país. La mayoría de los votantes en la fila eran jóvenes menores de 25 años. Como el tiempo pasaba y la fila no avanzaba, por una ralentización del sistema de votaci+on (así nos informaron las autoridades), los más cercanos a sus casas fueron a casa a buscar agua fría, otros se encargaron de buscar comida y otros compraban ice cream para compartir. El cansancio no venció a ninguno de la fila, todos estaban convencidos de que su voto era importante y debían depositar en una cajita de cartón su deseo de un futuro mejor.

Por la noche los centros de votación estaban llenos de personas. La gente quería escuchar el conteo de los votos de cada una de las mesas. A las 10 de la noche, al terminar el conteo en nuestro centro de votación, hubo un grito de júbilo, pues el candidato Edmundo había obtenido un 65% de los votos totales. Unas 300 personas hacían fiesta en la calle celebrando el triunfo del candidato de su preferencia. Esta misma escena se repetía en muchas partes del país. Las calles de Caracas estaban llenas de personas y lo mismo sucedía en Maracaibo, Valencia, Maracay, San Cristóbal y así en muchas otras ciudades.

Pasada la media noche el Consejo Nacional Electoral (CNE), anunció unos resultados que no se correspondían a los votos. El órgano electoral decreta la victoria de Nicolás Maduro, sin que, por primera vez, fueran los resultados obtenidos por estados. Una interferencia al sistema electoral fue el motivo que adujo el CNE para no comunicar los resultados electorales como habitualmente se hacía. De hecho, a esta hora, (mientras estoy escribiendo intenté abrir la página del CNE) la página del órgano electoral sigue sin abrir. ¿Acaso estamos ante un presidente elegido por un pequeño grupo sin contar los votos? Si los votos de la gente no cuentan, ¿qué es, entonces, lo que cuenta?

En esto consiste una dictadura. en el irrespeto a la voluntad de la mayoría, imponiendo, de modo discrecional, la voluntad de un individuo de un grupo, en el desconocimiento de resultados electorales, en el control de los órganos que deben ejercer un equilibrio de poder frente al gobierno y en el uso de los órganos de seguridad ciudadana para sembrar el miedo entre la población. En una dictadura todo está al servicio de una parcialidad política, incluso cuando hay prosperidad económica o bienestar social.

Es hora de pensar en otra Venezuela

Los venezolanos llevamos años desgastándonos en la búsqueda de una democracia mediante el cambio de gobierno a través de elecciones justas. Este hecho es el indicador de que el poder está concentrado en manos de pocos (estamos convencidos que si cambia el gobierno, cambia el país). El hecho es que el gobierno controla y los venezolanos estamos convencidos de que las cosas solo pueden mejorar con un cambio de las personas que lo conforman. El peso que damos a los dirigentes políticos está, a mi modo de ver, sobrevalorado, lo cual indica que carecemos de una estructura ciudadana sólida. Es cierto que tenemos partidos y líderes políticos que movilizan a parte de la población, pero su organización y la dirección están atadas a un modo de gobierno. La formación de ciudadanos es una tarea que no se puede dejar para después. La ciudadanía organizada no debe configurarse solamente como una nueva oposición al gobierno. Lamentablemente el rol que debe ocupar la ciudadanía está, actualmente, en manos de los llamados Consejos Comunales, que, no solo escapan al control ciudadano, sino que fungen como órganos controladores que están al servicio del partido de gobierno muy personalista, harto discrecional y casi siempre por encima de o al margen de la ley.

El ejercicio ciudadano es un deber y un derecho que no puede ser practicado de modo egoísta. Ser ciudadano significa ser miembro de la polis, es decir, de un proyecto político que está más allá de un proyecto de partido o de gobierno. Los ciudadanos estamos llamados a pensar nuestra ciudad o nación en función del bien de todos, a identificar sus necesidades y fuentes de riqueza, a cuidar del buen vivir de todos y a pensar en mecanismos de colaboración con organismos del estado e internacionales, sin que ello suponga una violación a la soberanía. La ciudadanía organizada es un interlocutor válido tanto en el ámbito nacional como en el internacional.

Es hora de pensar en una sólida formación ciudadana. Las Universidades, las Escuelas, Las ONGS, las congregaciones e, incluso, la Empresa Privada deben ayudar a formar agentes capaces de estructurar el futuro del país no en torno a proyectos de partidos, sino en torno a proyectos ciudadanos.

La propuesta de una formación ciudadana no significa una capitulación de los derechos políticos frente a una dictadura, todo lo contrario, es la ampliación de espacios y modos de participación, cumplimiento del deber y exigencia de los derechos. Una ciudadanía organizada, no reducida a una ONG, sino ejerciendo su derecho civil puede establecer vínculos con ciudadanos de otros países, hacer proyectos conjuntos y ejercer un control y una presión ante la violación de los derechos humanos. A las dictaduras no se les vence con las mismas armas que ellas usan para mantenerse en el poder. Me viene a la mente aquella terrible escena de David y Goliat, metáfora de una lucha desigual aplicada a todo ámbito político. A David lo vistieron con armadura, le dieron una lanza buscando ponerlo en igualdad de condiciones frente a Goliat. Cuando David sintió el peso de la lanza y la rigidez de la armadura que restaba agilidad a su cuerpo, supo, inmediatamente que si luchaba en condición de igualdad estaba perdido. Una honda y unas piedras, sumada a su agilidad de David, equilibraron el combate. Al final David venció a quien todos temían, no por su gran fuerza, ni por estar en condición de igualdad o por luchar con las mismas armas, sino por su inteligencia, su agilidad y su valentía a enfrentar de modo diferente un combate tan desigual.

Luchar por una mayor justicia es un deber. En este momento, en nuestro país, la lucha es desigual. Hemos vivido veinticinco años de incertezas, de arbitrariedades y de injusticias. La justicia no vence por la fuerza, no está llamada a destruir, ni tampoco está llamada a matar. La justicia se construye y es un deber al que todos los venezolanos como ciudadanos estamos llamados a contribuir. Aunque como pueblo hayamos recibido otro golpe, no estamos llamados, como pueblo, a huir, desistir o hacernos los indiferentes, es hora de seguir motivando, trabajando, construyendo y creando espacios donde la democracia sea posible más allá de los ejercicios tiránicos del poder.

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