Il Medio Oriente dopo l’attentato a Hanyeh

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L’ospite è sacro. Ma l’Iran non lo sa proteggere. È questo il colpo d’immagine più grave subito dal regime iraniano nel momento in cui, nel centro di Tehran, è saltato in aria il capo di Hamas, Ismail Hanyeh.

Per di più l’attentato, di matrice israeliana, avviene in occasione dell’insediamento del nuovo presidente Pezeshkian, che succede a un Raisi scomparso anche lui in un misterioso incidente di volo.

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Il regime barcolla, la valuta iraniana precipita nell’impietoso mercato dei cambi. A preoccupare non è solo l’alto grado dell’ospite, un importantissimo tassello dell’asse della resistenza che i pasdaran hanno costruito negli anni da Tehran al Mediterraneo – e che oggi rappresenta la prima linea di Gaza.

A preoccupare è il fatto che ora la guerra, pensata e gestita per tenerla a casa degli altri, sembra proprio prendere la strada inversa e puntare sull’Iran: questo terrorizza il regime, che ricorda la guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein come un incubo irripetibile.

Dunque Tehran deve circoscrivere le sue ipotetiche speranze di appeasement dell’ultima ora con Washington per dimostrare ai suoi alleati di essere ancora un fortino affidabile, con una capacità di operatività all’estero. Non è proprio quello che si afferma ufficialmente, visto che il comunicato pubblicato poco fa parla di certa risposta “insieme agli alleati dell’asse resistenza”.

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Convergenza o, come sembra, delega alle milizie amiche? Questo è il problema. Tehran i guai vuole esportarli, tenerli lontani, ma questa volta potrebbe dover dimostrare di esserci! Un passo che evidenzia che il rischio diventa enorme.

L’Iran non può chiedere a Hezbollah di operare in suo nome e per suo conto, visto che il partito di Dio libanese deve già decidere per sé, per l’eliminazione di un suo altissimo esponente in grado: Shakar. La linea della reazione potrebbe anche confondersi, lasciare margini equivoci.

Ma questa volta Tehran sembra costretta su un terreno di chiarezza, necessario forse e proprio per questo rischioso per tutta la regione. È molto difficile dire se negli equilibri reali Tehran abbia perso con Hanye, come molti sostengono, un fedele alleato. Non lo so, per certi versi – nella loro imperscrutabilità – sembrerebbe di no.

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Il vero interlocutore ora appare Sinwar, il capo di Hamas che a differenza di Hanyeh è a Gaza, con la sua linea contro ogni intesa. Ma ciò a cui Tehran non può rinunciare è la faccia e il colpo è durissimo, al di là delle conseguenze sul negoziato per il cessate il fuoco a Gaza.

E senza quel cessate il fuoco, il vero braccio operativo di Tehran, Hezbollah, cosa deciderà di fare? Nella logica spietata del dente per dente l’Iran è parso a molti saper assorbire e poi demandare a terzi la “sua” risposta. Andrà così anche ora?

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