Il Sudan sta pagando un caro prezzo per la concentrazione dell’attenzione internazionale e degli sforzi diplomatici tra Medio Oriente ed Europa orientale. Organizzazioni internazionali per il monitoraggio della distribuzione alimentare hanno ufficialmente dichiarato una condizione di carestia che riguarda la zona del campo profughi di Zamzam, vicino alla città di El Fasher nel Darfur.
Attualmente il campo accoglie circa mezzo milione di profughi e sfollati, che nei mesi passati vi hanno cercato rifugio per sfuggire alla guerra civile che dilania il Sudan da circa 15 mesi. Dal mese di giugno, il campo profughi di Zamzam non riceve più cibo né alcun tipo di aiuti essenziali alla sopravvivenza. “Questa carestia è tragica, catastrofica e, purtroppo era prevedibile” (W. Carter).
“Il paese si trova di fronte al peggior livello di insicurezza alimentare nella sua storia, con più di metà della sua popolazione (25,6 milioni di persone) che soffrono di fame acuta; più di 8,5 milioni si trovano in condizione di grave emergenza alimentare; e 755.000 persone versano in condizione di carestia” (ONU).
Il conflitto fra gli ex-alleati A. Fattah al-Burhan (il leader de facto del Sudan) e M. Hamdan (capo del gruppo paramilitare di dispiegamento rapido) è l’unica causa della drammatica crisi alimentare in un paese che è di per sé fertile e veniva considerato in passato uno dei granai del mondo.
Il blocco totale degli aiuti verso il campo profughi di Zamzam è causato dal fatto che la vicina città di El Fasher è contesa, da aprile, dai due fronti della guerra civile – con i paramilitari che la hanno stretta d’assedio intrappolando i civili e distruggendo ospedali e centri di approvvigionamento. Nell’ultimo attacco di fine luglio 97 persone sono state uccise o ferite in un attacco dei paramilitari contro un ospedale della città.
La coordinatrice umanitaria ONU per il Sudan, C. Nkweta-Salami, ha dichiarato l’orrore di questi “orribili attacchi contro civili e infrastrutture cittadine come ospedali, case e centri alimentari (…). In questo momento, in cui tutte le forze umanitarie sono alle prese con una corsa contro il tempo e stanno facendo quello che possono per arginare una catastrofe umanitaria su larga scala, chiedo alle parti in conflitto tra loro di fermare la guerra e di fare tutto il possibile per proteggere i civili, permettere loro di muoversi liberamente e riprendere la loro vita quotidiana”.
Gli interventi umanitari, coordinati dall’ONU, sono ampiamente sotto-finanziati: dei 2,7 miliardi di dollari necessari è stato raccolto finora solo il 32%. Un grido lanciato verso le nazioni occidentali – a oggi completamente concentrate, anche finanziariamente, sulle guerre in Ucraina e nella Striscia di Gaza.
Ma la strategia del gruppo paramilitare di Hamdan sembra essere proprio quella di infierire su una popolazione allo stremo, bloccando i convogli con i necessari aiuti umanitari e alimentari al confine col Ciad. “Se questo blocco agli aiuti umanitari non viene tolto in tempi brevissimi, sarà inevitabile di trovarsi di fronte a un numero di morti di gran lunga superiore all’attuale” – che potrebbero essere evitate già ora.
L’anno scorso il Segretario di stato del Vaticano, card. Parolin, si era recato in visita nel vicino Sud Sudan rimarcando, al suo rientro, la scarsa attenzione internazionale sulla drammatica condizione in cui versa tutta la regione. A oggi, essa sembra essere caduta nel disinteresse globale – diventando, di fatto, una crisi umanitaria su larga scala di serie minore.