Sebbene i ristoranti siano pieni come sempre, tutti riferiscono di accuratissimi piani di massima sicurezza in tutta Israele, provvedimenti estremamente circostanziati. E anche tentativi di fermare la reazione nemica.
Ma le sottigliezze verbali del portavoce militare israeliano non riescono a rassicurare. Il generale Hagari ha infatti tenuto a chiarire che Israele non ha effettuato attacchi missilistici nelle ultime ore.
E infatti il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è stato ucciso da una bomba, introdotta in Iran tempo addietro, non da un missile. Dunque Israele nega di aver violato lo spazio aereo iraniano. Tecnicamente ineccepibile, ma politicamente forse inefficace.
Perché parecchie informazioni di stampa indicano che molti negli apparati di sicurezza israeliana preferirebbero il negoziato, ritenendo che la mossa sia stata avventata. Netanyahu, stando a queste voci ricorrenti coperte da un comprensibile anonimato, con una mano disfa ciò che fa con l’altra, per mantenere in vita un esecutivo che non digerisce la sua scelta negoziale, il cessate il fuoco in cambio della liberazione degli ostaggi ormai detenuti a Gaza da 300 giorni.
Ma il negoziato va avanti da tempo; come spiegare la decisione di uccidere le persone con cui si negozia il rilascio di questi sventurati? Così non può che preoccupare quanto scrive Ben Caspit da Gerusalemme su al-Monitor, autorevolissima testata di informazione sul Medio Oriente: “Persone associabili a Netanyahu sono preoccupate da quello che definiscono il suo stato d’animo apocalittico. Anche i partner di Israele sono preoccupati”.
I report di stampa su una tesissima telefonata con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ne sono una conferma. L’idea di quest’ultimo sembra chiarissima; aiutare Israele a respingere la vendetta iraniana, impedire ogni successiva escalation israeliana e portare a compimento il compromesso sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi.
Il tempo concesso a Israele, scrivono alcuni, sarebbe di due settimane. Ci riuscirà?