Ore terribili, soprattutto in Israele ed a Beirut. I leader iraniani e degli stessi Pasdaran si sono spinti fino al punto di richiamare il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, che ha prospettato una reazione attentamente studiata dopo il bombardamento israeliano di Beirut sud. Lo hanno strigliato pubblicamente, dicendogli che lui deve colpire in profondità, cioè le città, le infrastrutture israeliane. Detto da loro ha il sapore di un ordine, perentorio.
Scenari di guerra
La tensione è ai massimi livelli tanto che Israele fa sapere che potrebbe anche agire preventivamente. E intanto comunica ai sindaci le possibili interruzioni di acqua, luce, servizi.
In ogni caso, il primo obiettivo da colpire sarebbe il Libano, con operazioni in profondità, cioè fino a Beirut. Quel confine è incontrollabile e il governo libanese non esiste, non può neanche permettersi di fingere di voler elaborare una politica nazionale di difesa. Il suo esercito non ha la minima autorevolezza davanti a Hezbollah, una potenza militare regionale. Hezbollah non gli consentirà di andare a presidiare il confine, impensabile.
In questa situazione cosa potrebbe frapporsi tra i belligeranti e raffreddare il confine destinato a diventare il più caldo del mondo tra poche ore? Gli americani stanno inviando portaerei a rotta di collo, tutto va nel senso di un conflitto totale, tremendo. Ma c’è ancora chi spera. E così giornali di peso, come il libanese L’Orient Le Jour, riferiscono voci di una missione americana che si sarebbe recata in Iran (per due ore), per convincerli ad azioni meno aggressive, un po’ sulla falsariga di quanto accadde ad aprile.
La voce della delegazione non sembra plausibile (sarebbe entrata dalla Turchia) ma è ufficiale che Washington parla di un suo “nuovo impegno” per difendere Israele, come fece ad aprile e rilancia l’urgenza di aderire al cessate il fuoco a Gaza, unica via per evitare l’escalation. Ma la ricerca di un mediatore rimane. Si pensa all’Europa, che però non dà segni di attivismo.
Così la libanese Dania Koleilat Khatib , avanza alle autorità del suo paese − che definisce del tutto assenti e silenti − una sua proposta (dalle colonne di un giornale di proprietà saudita): una strada potrebbe esserci, la Turchia di Erdogan. Nemici dichiarati di Israele, i turchi sono però un Paese della NATO, non potrebbero attaccare Israele se invitati a presidiare il lato libanese del confine, come hanno fatto fino al 2022 all’interno del contingente UNIFIL. E non potrebbero essere attaccati da Israele, sul cui territorio non entrerebbero, se si limitassero al compito di forza di interposizione.
L’ipotesi turca
L’idea onestamente sembra poco verosimile proprio perché gli iraniani hanno lasciato Beirut senza neanche un usciere che spenga la luce quando il premier rincasa; chi potrebbe compiere un passo del genere? C’è solo Hezbollah in Libano.
Ma una coincidenza va rilevata: in queste ore i turchi hanno bloccato la partenza per Gaza di Freedom Flotilla, le imbarcazioni che dovevano portare aiuti umanitari a Gaza senza il placet di Israele. Gli organizzatori si dicono ormai rassegnati, parlando di pressioni da paesi della NATO. Non dico che sia una conferma della possibilità di uno scenario come quello ventilato dalla ricercatrice libanese, anche perché da questa Beirut nessuno oserebbe muovere un dito senza l’ok di Tehran: forse è solo che agli ultimi va sempre male.
E i libanesi ormai sono tra gli ultimi, anche senza la guerra che sta per esplodere. Ma non si rassegnano, questo è sicuro, neanche ora. Il Libano rischia tutto in questa crisi perché è il solo Paese da dove potrebbe ripartire la società del vivere insieme.