Nasrallah: io sono il Libano

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Nel suo secondo intervento in appena sette giorni, quelli che ci separano dall’attacco missilistico che ha ucciso un capo di Hezbollah a Beirut sud, Nasrallah ha parlato davvero a tutto il Libano, per prepararlo alla guerra, alla risposta militare contro Israele che ha confermato ci sarà.

Ma i libanesi sono entrati in scena, e in modo davvero sorprendente, solo alla fine della sua allocuzione. È partito da quelli che ha definito «i fatti». E i fatti sono che Israele non accetta compromessi, lo dimostra la sua negazione del diritto all’esistenza di uno stato palestinese, tanto in Cisgiordania quanto a Gaza.

Questo, ha dedotto, dimostra che parlare di compromesso non ha senso. Lui, che il compromesso lo ha sempre respinto, trova conferma nelle scelte del nemico della sua tesi che così si auto-avvera, dimostrando piena sintonia con la destra israeliana, ma soprattutto un totale disinteresse per i palestinesi che quel compromesso lo avrebbero scelto, se gli fosse stato concesso.

Nasrallah infatti ha rivendicato il proprio «sostegno dal Nord» alla lotta di Hamas, che oggettivamente non ha prodotto alcun vantaggio per i palestinesi.

La strada della pace regionale invocata dal premier israeliano assassinato da un estremista della destra israeliana, Yitzhack Rabin, invocava la formazione di un unico campo pacifista tra arabi e israeliani.

La strada invocata da Nasrallah è inversa: occorre una reazione bellica alla guerra, che unisca tutto il mondo arabo islamico contro Israele – perché senza di essa la moschea di al Aqsa sarà in pericolo, la Cisgiordania sarà colonizzata, i siriani saranno ridotti a zerbini dello Stato d’Israele, come i giordani. Così i due paesi tanto decisivi quanto esitanti nella risposta possibile del fronte arabo sono avvertiti: “o con noi o contro di noi”.

La fase attuale, ha proseguito, fa parte di una guerra psicologica che è anche economica: ha dei costi economici enormi per il nemico e i suoi alleati, e il prezzo richiesto a noi per infliggere un simile danno al nemico non può essere modico.

La risposta di Hezbollah comunque arriverà e sarà «dura, pesante» − l’eliminazione del capo di stato maggiore di Hezbollah, Shukur, non può essere lasciata passare senza vendetta. Su questo Nasrallah ha fatto capire che le modalità della risposta (che si accavalla con quella per l’assassinio del capo di Hamas, Hanyeh) non sono ancora fissate, certe. Potrebbero coinvolgere gli altri alleati, in forme ancora da definire. Ma la sua parte Hezbollah la farà, certamente.

È questo il motivo per cui ha concluso rivolgendosi ai libanesi che non concordano con lui (un fatto sorprendente; cf. SettimanaNews, qui): a chi teme che la resistenza esca politicamente vittoriosa ha chiesto di temere la vittoria militare del nemico.

E comunque, ha aggiunto minaccioso, «i nostri avversari non ci devono tradire, non possono tradire l’esercito della resistenza». Un avvertimento che è e vuole essere perentorio, definitivo. E dimostra che l’opposizione interna è temuta, perché il Libano deve essere Hezbollah, Hezbollah il Libano.

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