Contributo del prof. Paolo Cattorini sulla dimensione etica che deve essere posta alla base del «caso Khelif». La partecipazione della pugile algerina alle Olimpiadi di Parigi ha dato adito a un grande fracasso mediatico e a dubbie strumentalizzazioni politiche (sia in Italia che a livello internazionale), rimasto però alla superficie della questione sottostante. Ringraziamo l’autore per l’invio del testo, che pubblichiamo auspicando un approfondimento del dibattito.
Ci voleva la boxe. Ci voleva un’algerina che picchia duro, per ricordare che i sessi sono più di due, che i generi sono molti di più e che gli individui non si lasciano catalogare in due tipologie. «Ma insomma – gridano i conduttori TV stremati – ce lo volete dire sé è maschio o femmina?». Gli ospiti, i giornalisti prezzemolini, i guru della psicologia, gli influencer ben agghindati, balbettano. Non sanno cosa dire. Poi ci sono i genetisti. Fanno varie ipotesi arrampicandosi sui vetri, perché, come noi che scriviamo, non hanno visto le cartelle cliniche. E anche se le avessero viste, non cambierebbe nulla. La questione è etica, non biologica! Chi è giusto iscrivere alle gare? Chi è bene che combatta?
Le Olimpiadi sono il trionfo della diversità. Le Olimpiadi e le Paralimpiadi danno un posto e un valore a chi nella vita non ne ha, perché è un corpo «non-convenzionale». Chi salta in alto deve avere dei legamenti lassi e dei tendini elastici, che in altri sport creerebbero solo problemi. Chi è smisuratamente alto, chi tende all’acromegalia (cioè ha estremità grosse) e produce molto ormone della crescita (GH), trova spazio nel basket, educa le sue stranezze e nessuno gli rimprovera niente. Il doping è condannato, quello sì. Ma le difformità e deformità create da madre natura sono ben accette, se si rispettano le regole.
E allora? Perché prendersela con la pugilessa dal naso grosso e dal colpo pesante? Ho ascoltato una volta un fondamentalista sentenziare che i sessi sono due perché nella Genesi c’è scritto «maschio e femmina li creò». Come se la Genesi fosse il manuale dell’Ufficio anagrafe! Di qui o di là. O sei uomo o sei donna. Si è sempre fatto così, no? E così bisogna continuare a fare, dicono i conservatori stizziti. Ma non hanno letto Genesi. Il Creatore trae Eva da Adamo, a differenza dagli animali, considerati a coppie: «Adamo ha implicitamente questa ricchezza in sé; ma Dio solo può liberare questa virtualità implicita, nella debolezza del suo sonno. Senza Eva la sua ricchezza rimane povertà»[1]. L’una dall’altro. Non una di qua e l’altro di là.
Riconosciuto e studiato
Abbiamo letto e studiato Anne Fausto-Sterling?[2] Fausto-Sterling, una sessuologa USA classe 1944, non solo ha documentato che i sessi biologici sono cinque: maschio, femmina, pseudoermafrodita maschio o femmina e da ultimo ermafroditismo vero. Ciò che prima non si voleva vedere, adesso lo si riconosce e si studia. In una piccola percentuale di neonati ci sono ambiguità genitali: compresenza di caratteri anatomici dei due sessi tradizionali oppure genitali che differiscono dall’assetto cromosomico.
E gli intersessuali che cosa sono? Sono maschi o femmine o entrambe le cose? Guardate il film XXY, 2007, regia di Lucía Puenzo. La 15enne Alex ha grandi occhi chiari e l’esile corpo di una ragazza dai piccoli seni, ma nasconde un segreto: deve assumere farmaci a base di cortisone, altrimenti si virilizza, cioè assume tratti corporei maschili. Il motivo è un difetto biologico nella produzione di enzimi, un difetto diagnosticato già prima della nascita.
La malattia è l’iperplasia surrenale congenita. Alex ha fattezze di donna, ma un organo genitale esterno misto, che i genitori non hanno voluto correggere chirurgicamente nell’infanzia, per evitare traumatismi (e successivi pentimenti) e per lasciare alla stessa adolescente l’espressione del proprio parere. Nel caso del film un deficit genetico enzimatico rende virile il corpo di una ragazza (XX), inducendo ambiguità nei genitali esterni, anche se permane l’orientamento eterosessuale femminile.
Sterling ha inoltre smontato i criteri «oggettivi» in base a cui si procede all’assegnazione di sesso. I criteri in realtà non sono «naturali», ma frutto di una convenzione sociale.
1) Infatti, se si sceglie il DNA come criterio, si trovano uomini XY che sono stati cresciuti come bambine, perché il loro organismo cresceva come donna in quanto non rispondeva agli ormoni androgeni. Le mestruazioni non venivano e così si scopriva la verità e in genere la si nascondeva subito: si accettava la sorte e si correggeva chirurgicamente la situazione. Bambina era stata educata, bambina restava. Ma gli psicologi hanno notato turbamenti e disagi comparsi anni dopo l’intervento.
2) La presenza o quantità di certi ormoni dice poco. Anzitutto porre una soglia è tutt’altro che semplice e apre a rischi di arbitrarietà. E poi gli ormoni possono essere troppi o troppo pochi per natura, per alimentazione, per difetti di trascrizione/traduzione genetica e sintesi proteica, per una malattia, per un organo in più o in meno. Gli ormoni a volte funzionano a volte no, per disparati motivi legati, fra l’altro, ai tessuti su cui dovrebbero agire.
3) Qualcuno ha proposto di fare come ai posti di controllo e ispezionare il soggetto dopo averlo denudato, ma i tratti somatici sono inaffidabili: può capitare di avere prevalenti tratti maschili anche se si è una donna genetica (donne muscolose, donne barbute, donne con la voce di uomo) e viceversa per l’«uomo». Il problema resta: che cosa si dovrebbe guardare, una volta che si è ispezionata l’anatomia esterna in generale? Bisogna forse aggiungere qualche manovra di esplorazione interna?
Semplificazione
La femminista Judith Butler[3] sostiene che qualificare rigidamente certi luoghi anatomici come organi dell’apparato sessuale comporta una frammentazione e un’oggettivazione della corporeità erogena concretamente vissuta. Della Butler abbiamo già parlato in Settimana News: non è vero che il sesso anatomo-biologico viene prima del genere socio-culturale, perché il trattato di anatomia umana «normale», per distinguere gli apparati, deve immaginare a quali funzioni (gruppali o individuali o politiche) sono perlopiù destinati gli organi disegnati dal trattato.
E allora, perché non ammettere che la divisione binaria è una comoda semplificazione che ha però fondamenta gracili? È così necessario usare il «sesso» per identificare qualcuno sul passaporto? Sarebbe più precisa un’impronta digitale e sarebbe meglio constatabile l’altezza di un soggetto o il colore dei suoi occhi. E poi c’è la faccenda del genere: un maschio «perfetto» sul piano biologo, senza malattie del corpo o della mente, può scoprirsi omosessuale. Può sentirsi attratto da persone dello stesso «sesso» maschile. E viceversa per le donne lesbiche, che hanno raffinato il linguaggio proprio per fare ulteriori distinzioni dentro al (o a fianco del) loro genere, a seconda del carattere, delle abitudini, dei comportamenti e attrazioni sessuali: butch, femme, tomboy e così via.
Niente da fare. Chi le differenze non le vuole vedere, non le vede, né dentro né fuori di sé. La bisessualità ci connota tutti nell’infanzia e permane e viene sublimata o riplasmata in gradi e sfumature diversi[4]. Una mia lettrice ha scritto che io sono troppo contorto nel pensiero. No, non sono io. È la natura quella che è complessa, quella che non fa salti, quella che dispone le differenze su uno spazio multidimensionale, perché il Maschio con la emme maiuscola non è mai esistito e nemmeno una Femmina tutta Femmina. Mascolinità o femminilità possono emergere in quasi ogni possibile combinazione, a causa della pluralità dei fattori causali in gioco. Un soggetto geneticamente femminile con ormoni fetali maschili e con organi genitali mascolinizzati (ma con esposizione a ormoni femminili in periodo puberale) può sviluppare un’identità di genere femminile. Incredibile ma vero!
C’è voluta un’algerina, che ha imparato uno sport quasi proibito alle donne nel suo paese, per buttare all’aria, nell’opinione pubblica, la presunzione dell’ispezione anatomica «oggettiva» e per focalizzare invece gli spettatori sulle performance del soggetto. Nella vita ordinaria non sono i dati «bio-genetici» ma quelli «socio-culturali» a fare la differenza. Una «vergine giurata» (si veda il film omonimo di Laura Bispuri, 2015) è una donna che decide di seguire regole di castità e di vestirsi e lavorare da maschio, come la cultura richiede ad esempio in alcune zone periferiche dell’Albania. E allora? Come la mettiamo con l’appellativo di «normale»?
Una difficile difesa
Per difendere la scansione binaria, alcuni teologi si sono basati sul caratteri doppio (X oppure Y) dei cromosomi sessuali, ma essi confondono in tal modo i mattoni della costruzione con le strutture funzionali dell’edificio[5]. È ovvio che il corpo è sempre sessuato, ma lo è in modo multiplo, dato che le combinazioni dipendono da X, da Y, e dall’assenza o dalla ridondanza di X e Y. L’insufficienza ovarica prematura della sindrome di Turner è dovuta all’assenza numerica o strutturale (!) del cromosoma sessuale X. Ci può essere un mosaico: alcune cellule del corpo hanno X e altre hanno un secondo cromosoma X o Y. Oppure ci sono anomalie sul cromosoma X. La binarietà non conta: è come dire che la musica è binaria perché le scale sono generalmente in tonalità minore o maggiore! E la musica atonale? E la dissonanza dodecafonica? Non è musica?
Non è bastato. Alcuni hanno voluto prendere esempio dalla grammatica, che secondo loro ha due generi: maschile e femminile. Niente di più falso. Intanto dimenticano il neutro, che secondo alcuni linguisti non è propriamente sparito nemmeno nella lingua italiana. Il neutro conta. Non è il genere delle cose impersonali. Il cavallo maschio si dice in tedesco das Pferd, al neutro. Das Weib è indubitabilmente la donna. Das Mädchen, ragazza, fanciulla, è nome neutro, in quanto diminutivo di Magd. La fanciulla è una donna «diminuita» poiché la sua femminilità non è ancora matura. Il neutro abilita a dar nome a persone in divenire, non ancora definitivamente assegnate all’una o all’altra parte. Il neutro avrebbe quindi questo vantaggio: consentirebbe di significare l’essere animato in fase maturativa. Qualcosa di simile si potrebbe sostenere per il neutro das Kind (bimbo), che ricorda il neutro greco τό τέκνον (figlio, senza distinzione sessuale, cucciolo).
Ma la cosa più grave è che ci sono lingue in cui i generi grammaticali sono più di tre. Il popolo Dyirbal (aborigeno australiano) ha quattro classi di nomi: nella classe 1) sono inclusi gli uomini e la maggior parte di oggetti animati; nella classe 2) le donne l’acqua, il fuoco, la violenza, gli animali eccezionali; nella 3) frutta e verdura commestibili; poi il genere 4) comprende i sostantivi non inclusi dalle prime tre classi. Ogni classe ha un prototipo, il quale è connesso a grappolo (attraverso vie logiche diverse e per mezzo di molteplici principi d’estensione) a tipi differenti di cose e quindi di nomi. Alcune di queste connessioni sono mitico-narrative, a riprova della dimensione ideologica della linguistica.
La domanda da farsi
C’è voluta la boxe per prendere posizione. Picchiava duro la Khelif. Picchiava duro anche l’italiana Carini, che non ha retto lo scontro. L’etica dovrebbe cogliere l’occasione per domandarsi che cosa è la boxe. Non intendo la sana preparazione in palestra con allenatore, sacchi, pungiball. Intendo la pratica professionale di entrare sul ring senza protezioni al viso con la volontà precisa di colpire e far male e auspicabilmente mettere al tappeto.
Un compianto amico gesuita milanese, Giacomo Perico, Difendiamo la vita, 1960, si beccò critiche di moralismo perché criticò il pugilato professionistico maschile. Non denunciò solo le speculazioni commerciali, i gravi incidenti occasionali, l’eccitazione sadica di certi spettatori. Contestò l’intenzione specifica di ledere, far male, procurare un KO. Non sono gli ormoni che ti arrivano in faccia da una donna iperandrogina. Sono i pugni che tutti i duellanti si scambiano e, nel caso femminile, finiscono su parti delicate del tronco.
La politica si scandalizza non appena sente odore di «gender». Ma se avesse una seria volontà di difendere la vita si domanderebbe se ha senso promuovere manifestazioni o condotte in cui il rischio di incidenti e patologie post-traumatiche è elevato e grave. Basterebbe misurare la frequenza statistica di disgrazie o patologie conseguenti in pratiche agonistiche come il football americano, l’automobilismo estremo, l’alpinismo senza protezione.
Gli studiosi di morale che sono (inutilmente) allarmati dalla prospettiva di genere, dovrebbero allora scandalizzarsi dei cyborg transumani che cavalcano moto da 500 cc alla velocità spaventosa di 300 Km/ora. Perché? Per chi? A quali rischi? Chi glielo ha chiesto? Chi ha concesso l’autorizzazione? È lecito esprimere un dissenso? È lecito chiedere una giustificazione razionale di tali eventi?
[1] H.U. von Balthasar, Il tutto nel frammento, Jaca Book, Milano 1970, p. 241.
[2] A. Fausto-Sterling, “The five sexes: why male and female are not enough”, The Sciences, 33, 1993, pp. 20-24, parlava di: males, females, herms (veri ermafroditi), merms (pseudoermafroditi maschi, con testicoli e alcuni tratti femminili), ferms (pseudoermafroditi femmine, con ovaie e alcuni tratti maschili). Ancora Fausto-Sterling, “The five sexes, revisited”, The Sciences, 19, 2000, pp. 18-23, ricostruisce storicamente le tesi psicologiche, che autorizzarono la chirurgia a “completare”, in forme cruente, le presunte intenzioni o finalità abbozzate maldestramente dalla natura. La stessa Autrice cura la voce “Nature” nel luglio 2014 per la Univ. Chicago Press, in C.R. Stimpson e G. Herdt, Eds., Critical terms for the Study of Gender, 2014, pp. 294-315.
[3] J. Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 103 e p. 163.
[4] Abbiamo ripreso questi temi, ampiamente negletti, parlando della paura etica che le ragazze anoressiche hanno di trasformarsi in una donna grassa: si legga Mangiare solo pensieri. Etica dell’anoressia, EDB, Bologna 2016; e l’altro nostro volume: The End. Bioetica narrativa, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2019, in cui abbiamo simulato l’intervista di uno studente curioso.
[5] A. Fumagalli, La questione gender, Queriniana, Brescia 2015, nota 36, p. 75.
Non concordo assolutamente, se non in due punti fondamentali. Il primo è che è vero che il problema è solo etico. Di etica dello sport, per la precisione. Il secondo è che il doping va condannato. E quello di Imane Khelif, per intenzioni e azioni del CIO, è doping. E’ una pugile donna che produce testosterone, questo è assodato. E deve assumere farmaci per “modulare” il suo livello di testosterone, portandolo sotto la soglia consentita. La scelta ipoteticamente “inclusiva” di triplicare il valore consentito per le sole atlete DSD (ovvero con differenze nello sviluppo sessuale) non ha fatto altro che introdurre il doping “inclusivo” nel pugilato femminile. Il problema del doping inclusivo è che è profondamente antisportivo.
Quindi sta povera Algerina con chi la facciamo combattere. A sentire lei con nessuno
Articolo interessante.
In seguito alle tante polemiche forse sarebbe opportuno focalizzare l’attenzione su cosa è lo sport in una società democratica e se abolire i falsi sport, come la boxe, in cui si gareggia a farsi male fino al KO.
Si dovrebbero eliminare i “giochi” di chi vince facendo male all’avversario o mette a rischio l’incolumità propria o quella dell’avversario, con il solo scopo di eccitare la platea come i combattimenti dei circhi Romani. Ci perdono gli scommettitori ma non la dignità di un paese.
Io sto con la Scienza e gli Scienziati.
Peccato che anche nell’ambiente scientifico molte cose sono delle ‘convenzioni’, certo basate su studi, dati, riflessioni… ma comunque convenzioni, paletti che servono a incasellare e rendere più semplice l’infinitamente complesso.
Per esempio: in biologia il confine tra una specie e un’altra. Non esiste una definizione univoca e quella arcaica (isolamento riproduttivo) si è rivelata estremamente carente. Ora ci sono metodi genetici e cladistici in continua evoluzione, ma oggetto di discussione.
Ok, è complesso ma l’atleta stessa vuole una soluzione “semplice” Gareggiare nella categoria che si è scelta pur essendo quella categoria una convenzione. In teoria dovremmo abolire ogni categoria ma le più o meno donne non avrebbero alcuna possibilità di vincere con gli uomini.
Era una questione che andava risolta prima dell’inizio delle Olimpiadi, a mente fredda e in modo imparziale. Purtroppo la caciara social e la mancanza di trasparenza del CIO e dell’IBA hanno fatto solo danni
Ho letto diversi libri di Cattorini, mi piace. Però alla fine rimane insanabile il contrasto tra la “complessità” dei sofismi e la solita semplicità delle soluzioni. Tutti gira e rigira vogliono solo gareggiare e vincere. La ragazza teoricamente è intersessuale ma alla federazione algerina e al CIO basta un vecchio certificato di nascita che non tiene affatto conto di tutta la “complessità”. Non è colpa sua ovviamente, mi da solo fastidio non vedere mai portare fino in fondo la logica delle proprie argomentazioni. Se le categorie fossero così arbitrarie e fosse così difficile stabilire il confine tra uomini e donne si potrebbe con uguale diritto decidere di non farla gareggiare o di farla gareggiare tra gli uomini e invece si decide che le categorie non esistono ma guarda caso poi voglio solo partecipare ad una e proprio a quella tanto “arcaica” nella sua definizione.
Come direbbe Cacciari al di là del bene e del male rimane solo la volontà di potenza.
Ho letto diversi libri di Judith Butler e proprio questa storia mi ha fatto riflettere sul fatto che anche lei sembra essere una donna abbastanza androgena. In ogni caso ok l’atleta un questione è molto probabilmente non binaria. Allora perché chiedere di gareggiare con chi è più prosaicamente binario, pur di gareggiare .
La complessità del reale genera la paura di dover far fatica per comprenderlo oppure la meraviglia e la curiosità che con pazienza portano a soluzioni migliori di quelle che abbiamo ora. Preferisco incuriosirmi e meravigliarmi e non temere nemmeno su temi come quelli qui molto ben proposti. Grazie
L’articolo mette bene in luce quanto la nostra biologia sia complessa e non facilmente riducibile alle nostre categorie linguistiche. Sulla problematicità del sesso biologico sia filosofi che biologi convengono da tempo, come sottolineano Andrea Borghini ed Elena Casetta nel libro “Filosofia della biologia”. La nascita e lo sviluppo del sesso individuale è un processo (gonadogenesi) in cui interagiscono più fattori e questo processo, come tutta l’embriogenesi, è
irriducibile a quanto “scritto” nei cromosomi, come ha chiarito il biologo Jean-Jacques Kupiec. Quindi il sesso non è già “scritto” da qualche parte ma è un processo biologico articolato, in cui intervengono più fattori e che può dare risultati molto differenziati, come si vede con Imane Khelif e altre persone intersessuali. Le considerazioni etiche di Cattorini muovono da queste evidenze biologiche e mi paiono guidate dal buon senso.
Forse è venuto il momento, grazie a questo articolo, di prendere consapevolezza di quanto siano ridicoli e vani i tentativi di controllare tutto – in primo luogo la singolarità e la specificità di ogni essere umano – attraverso etichette generalizzate e generalizzanti (a cominciare dalla grammatica e dal linguaggio che usiamo), che mirano solo a gratificare la voglia di assicurarsi il possesso astratto della singolarità.
Ma come è possibile che i sessi sono due oppure più di due se Dio è Uno? Paolo Cattorini dovrebbe essere colpito da scomunica per palese eresia. Addirittura (in alta Italia) riportano come credibili pseudo teorie provenienti dal famosa nazione americana della tale Anne Fausto-Sterling che ne vede addirittura 5 o forse più, come anche da quelle parti ci è arrivato a cura di altra tale Elisabeth Lloyd un altro imponente interrogativo sul caso misterioso dell’orgasmo femminile che, in sé e per sé, non avrebbe alcun senso biologico, nessuna funzione, come i capezzoli nel maschio che ugualmente esistono .
Evidentemente siete scientificamente indietro, a confondere tempo e spazio, potenza e atto, maschi e femmine. Ancora oggi però, nessuno, e neanche Cattorini, a domanda di che cosa la omosessualità sia, ha saputo definire una risposta, se la omosessualità è indubbiamente una, come, la sessualità che è sempre una benché praticata dai due sessi.
Ma se Dio è trino allora le cose si fanno complicate non trova?
Non credo in complicazioni Sig. Pietro. Dio è comunque indubbiamente Uno pur essendo Trino (e senza evocare il concetto evoluzionistico di Trinità che ha espresso Gioacchino da Fiore, e che sono certo ci influenza come ha influenzato altri). Non è accettabile, è da respingere e rispedire ai emittenti qualsiasi di queste teorie eretiche che vedono entità mems ferms herms ed altre corbellerie simili perché esistono e sono stati creati da Dio come gli ircocervi. Questi esseri umani così denotati sono invece principalmente maschi o principalmente femmine perché le funzioni che visibilmente agiscono sono queste se, la creazione di Dio è sempre in atto nel tempo ed è contemporanea alla generazione che prosegue dalla madre. Dall’articolo di Cattorini è soltanto condivisibile (come ho già molte volte scritto) che nessuno è completamente maschio o femmina perché altrimenti sarebbe perfetto ma nessuno può essere altro da questo. Questa teoria viene riportata anche dal Prof. Giorgio Maria Carbone in Gender, e, credo, che nel prossimo OP meeting il 14 settembre a Bologna, se riesco ad andarci la confuterò.
Grazie per questo articolo a cui non aggiungere una parola in più, ritenendolo chiarissimo.