Il lavoro: l’urgenza di una riflessione credente

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Il dossier di Orientamenti Pastorali 6/2024 è dedicato al tema del lavoro. «La riflessione sul lavoro appartiene da sempre al patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa (…), prima che un tema economico e sociale, è una dimensione essenziale della persona» che di recente i mutamenti sociali, economici e tecnologici hanno messo in crisi, invocando la necessità di riprendere la riflessione. La rivista Orientamenti Pastorali è espressione del «Centro di orientamento pastorale» (COP), associazione che contribuisce allo sviluppo della ricerca e dello studio pastorale nella Chiesa italiana, offrendo strumenti di aggiornamento e di formazione.

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La riflessione sul lavoro appartiene da sempre al patrimonio della Dottrina Sociale della Chiesa che, con la Rerum Novarum, iniziò ad affrontare gli aspetti morali più delicati, primo fra tutti quello del giusto salario.

Per Francesco il lavoro, prima che un tema economico e sociale, è una dimensione essenziale della persona. È sia “dono che dovere”, in quanto potenzialità concessogli da Dio per collaborare, con le sue opere, alla continua creazione del mondo. Ed essendo l’uomo al centro della creazione, attraverso il lavoro ha la possibilità di costruire sé stesso, la propria persona, la propria dignità.

Il lavoro povero è un paradosso inaccettabile: secondo la definizione dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, la più utilizzata a livello internazionale, un individuo è considerato povero anche se lavora (in-work poor), se è stato occupato almeno per sette mesi durante l’anno e vive in un nucleo familiare con un reddito equivalente disponibile inferiore alla soglia di povertà stabilita (il 60% del reddito mediano nazionale). Secondo i dati Eurostat, nel 2021 l’in-work-poverty valeva in Italia l’11,6% (contro la media europea dell’8,9%); corrispondenti secondo Istat a quasi 2,6 milioni di persone povere pur lavorando. Al di là delle stime, si comprende che non basta un lavoro purché sia per assicurare le persone dal rischio di povertà. Il lavoro è per ciascuno di noi una fondamentale fonte di sostentamento e insieme di realizzazione personale, di riconoscimento sociale.

Un tempo il datore di lavoro offriva un’occasione di guadagno, rispondendo ad una necessità basilare per chiunque: poter disporre di denaro per vivere e costruire una famiglia. E oggi? È ancora questo ciò che desiderano i giovani e i meno giovani (e più in generale i lavoratori), dal mercato del lavoro; una occasione di guadagno e basta? I giovani cercano molto più di un posto di lavoro e di guadagno, cercano situazioni in cui possono realizzare sé stessi dal punto di vista umano e professionale. Cercano ambienti di lavoro dove si sentano in armonia per ciò che riguarda i valori alla base del proprio vivere, dove vi sia il rispetto della persona umana, che si manifesta nell’equilibrio vita-lavoro (quindi nei ritmi di lavoro, negli orari e nel detox dal lavoro), dove vi sia rispetto per ogni tipo di diversità (gender equality), dove si sentano “ingaggiati” dal progetto professionale come parte attiva, come protagonisti e non solo forza lavoro.

Mai come in questi ultimi anni, l’innovazione tecnologica sta avendo un impatto straordinario sulle nostre vite, sulle nostre abitudini e, soprattutto, sul nostro lavoro. Uno dei timori maggiormente diffusi in questo periodo è quello che l’essere umano diventi superfluo e venga rimpiazzato da macchine più forti e intelligenti. Per alcuni, siamo sull’orlo di un incubo tecnologico. Ma lo siamo davvero? I nostri figli sono destinati a essere l’ultimo capitolo della storia umana, prima di essere rimpiazzati da robot? Dobbiamo guardare al futuro con ottimismo o sospetto? L’arrivo di migranti sul nostro territorio fa emergere la necessità di un approccio alle politiche migratorie che superi la logica emergenziale, nella prospettiva di interventi strutturali volti alla costruzione di percorsi di inclusione/integrazione della forza lavoro migrante in un’ottica sistemica. L’inverno demografico che ha colpito pressoché tutte le società avanzate, inclusa la popolazione italiana, dovrebbe far comprendere l’importanza di un’inclusione a 360 gradi, che consideri la cittadinanza come un processo interculturale. Da questo punto di vista, accoglienza e natalità non sono in conflitto, anzi: è necessario considerare il migrante non come un competitor per un welfare sempre più a rischio, ma come una risorsa per la tenuta del nostro stato sociale, nella cornice dello sviluppo sostenibile.

Il Progetto Policoro, attraverso l’animazione delle comunità territoriali, si propone di essere una presenza evangelizzatrice nel mondo del lavoro, promuovendone una nuova cultura e accompagnando i giovani nella ricerca e nella realizzazione della propria vocazione lavorativa. Il Progetto è il segno concreto della comunità cristiana che si china sui giovani disoccupati, sui Neet, su quanti lavorano a nero e in condizioni di sfruttamento fornendo loro gli strumenti per continuare a sperare e sognare in grande la loro vita.

Nel dossier, recentemente pubblicato da Orientamenti Pastorali (6/2024), contributi di Bruno Bignami, Rocco Pezzimenti, Nunzia De Capite, Ivo Lizzola, Giancarlo Perego, Ivan Licinio.

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