La lezione dei negoziati segreti, la lezione di Oslo, sembra lontana, sepolta dalla storia, eppure ha insegnato qualcosa. Ha insegnato che gli accordi prima si fanno, poi si annunciano, se davvero si vogliono fare. E che il mediatore è importante, il ruolo della diplomazia norvegese infatti fu rilevante. Furono comunque negoziati diretti tra Israele e Olp, difficilissimi. Ma già accettando di incontrarsi, sebbene in segreto, avevano fatto qualcosa di enorme.
Ora su iniziativa di Biden, che lo propone da mesi, si cerca un accordo mediato indirettamente, non segretamente, da Qatar, Egitto e Stati Uniti – ma tra interlocutori che non si riconoscono e non intendono farlo: Israele e Hamas. Così un atto bellico non rompe il confronto, ma certo non impedisce un irrigidimento dell’altra parte.
L’esercito israeliano giorni fa ha colpito in modo drammatico una scuola, ieri ha ordinato di evacuare una nuova area di Gaza definita da tempo sicura. Si tratta del quartiere di Khan Younis, al-Yalaa. Centinaia di migliaia di palestinesi hanno cercato riparo a Khan Younis, per scoprire progressivamente che l’indicazione non è più valida.
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Che Netanyahu voglia l’accordo lo ha detto lui stesso, annunciando i colloqui del 15 agosto: ci sono di mezzo gli ostaggi, che Hamas libererebbe in cambio del cessate il fuoco (con modalità progressive) e del rilascio di prigionieri palestinesi.
A favore dell’intesa si è pronunciata anche Hamas, che ora dice che ai colloqui del 15 agosto non sarà presente, perché basterebbe applicare quanto indicato da Biden tempo fa. Ma è stata Hamas a chiedere tempo fa delle modifiche a quella proposta e a negoziarne altre chieste da Israele.
Questo accordo poi si intreccia con la ventilata vendetta iraniana – per l’assassinio a Tehran del capo di Hamas -, che ritiene suo diritto colpire Israele, ma all’Onu ha detto di auspicare che non sarà a detrimento dell’intesa su Gaza.
Ma se gli americani fanno sapere di ritenere che questo accordo su Gaza sarebbe essenziale per riavvicinare israeliani e sauditi, avvicinamento che da ottobre tutti indicano come il motivo del grande nervosismo iraniano, perché ora dovrebbero essere sinceri? Così si spiegano alcune illazioni per le quali l’attacco iraniano potrebbe precedere il 15 agosto, e allontanare l’intesa su Gaza. Illazioni.
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Possiamo dire, perché lo dicono i fatti, che l’accordo lo vogliano larghe fette dei popoli, straziati dai loro dolori. Ma ogni spiffero sui negoziati e sulle intenzioni connesse dei grandi attori coinvolti in modo diretto o indiretto rendono il tutto più complicato.
Il modo migliore per far ascoltare le voci delle popolazioni per me resta quello del negoziato segreto. Se si accettasse vorrebbe dire che ci sarebbe un’intenzione di trattare, di capirsi. Qualunque atto segreto, anche un negoziato, non può essere noto finché è tale. Dunque potrebbe essere in corso, però non lo credo.
Perché chi tra i protagonisti della grande disputa mediorientale potrebbe trattare in segreto oggi? Non risulta plausibile per Israele e per Hamas.
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Oslo rimane un esempio irripetibile, darne la colpa a Biden non ha senso. Ma il negoziato di Oslo, e questa è l’altra lezione, fu possibile perché israeliani e palestinesi trovarono la disponibilità del discretissimo ospite norvegese. E trattarono in segreto per mesi. In un certo qual modo è quello può fare il Qatar, in via indiretta.
Ma – al di là di quel che si pensi del Qatar – si tratta di una potenza regionale, con i suoi interessi in gioco. Tempo fa, forse per sconforto, questo equivoco venne riconosciuto anche da loro.
Forse cercare una nuova Norvegia, una nuova Oslo, sempre nella forma del negoziato indiretto, potrebbe aiutare, sebbene sia evidente che è la volontà politica il problema principale.