La madre del prete

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La relazione tra un presbitero e sua madre è un legame che, all’interno della Chiesa cattolica, spesso gioca un ruolo significativo. Nella vita dei presbiteri è comune trovare un legame “speciale” tra coloro che aspirano al sacerdozio e le loro madri…, madri molto presenti, a volte eccessivamente attaccate ai loro figli e entusiaste del loro ingresso nel clero.

A volte, si tratta di madri invadenti e possessive, sposate con mariti particolarmente assenti, che sviluppano un rapporto privilegiato con il figlio, idealizzando e sostenendo con entusiasmo l’idea del suo percorso sacerdotale.

La madre di un prete è vista come una figura mitica, invidiata da tutte coloro che avrebbero voluto un figlio sacerdote e che invece hanno avuto “soltanto” figli sposati, bravi ragazzi naturalmente, ma di cui bisogna accontentarsi.

Sinceramente invidiata perché si crede che la madre di un prete sia una persona speciale, una donna che ha dato alla luce un uomo conformato a Cristo per renderlo presente tra gli altri. La madre di un prete spesso custodisce la vocazione del figlio, ne conosce il segreto e ne rivela la fonte.

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È fondamentale comprendere a fondo il legame particolare che molti presbiteri hanno con la loro madre – un rapporto che presenta una profonda ambivalenza e influisce su dinamiche complesse, sia nella vita personale del presbitero sia nella sua vocazione[1]. Questo legame ambivalente con la madre può trasformarsi in una situazione drammatica e lacerante quando si intraprende il ministero presbiterale.

Una scrittrice che mostra di conoscere, con singolare chiarezza, cosa accade nell’animo di un prete nella relazione con la madre è Grazia Deledda[2]: La madre è un romanzo che esplora temi complessi e profondi attraverso una narrativa ricca e descrittiva. Pubblicato per la prima volta nel 1920, al centro del romanzo si trova il conflitto tra la madre e il figlio prete, Paulo. Questo conflitto è emblematico del confronto tra doveri familiari e religiosi e i desideri personali. La madre, rappresentando la tradizione e la moralità, cerca di proteggere e guidare il figlio, mentre Paulo è dilaniato tra le sue responsabilità clericali e le sue passioni umane.

La figura della madre è centrale e rappresenta la forza e la resilienza femminile. Nonostante le sue paure e i suoi dubbi, la madre è determinata e pronta a fare tutto il possibile per salvare il figlio dalla rovina, anche se ciò significa affrontare il diavolo stesso.

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Molte madri di presbiteri sembrano essere estremamente felici e orgogliose che i loro figli abbiano scelto una vita consacrata. Per loro, questa scelta rappresenta la conferma di un legame esclusivo, in cui nessun’altra donna potrà mai avere un ruolo altrettanto significativo. Questa dinamica si manifesta in un complesso intreccio di amore e odio, con una forte dipendenza affettiva e impulsi di ribellione.

Madri «innamorate dei loro figli» sembrano molto felici che questi si siano consacrati a una via in cui non ci sarà alcun’altra donna al di fuori di loro. L’idea di causare una grande sofferenza alla madre, di “spezzarle il cuore”, frena molti presbiteri dal fare scelte che potrebbero contraddire il loro ruolo. Questo legame ambivalente con la madre può dare origine a comportamenti schizofrenici.

Da un lato, i presbiteri accettano un controllo totale sui dettagli e movimenti della loro vita; dall’altro, cercano spazi di evasione, inizialmente ricorrendo a piccole menzogne, che possono poi evolversi in una vita doppia. Questo rapporto complesso può assumere toni drammatici e laceranti, mettendo in luce una figura materna “tossica”.

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Il legame tra un presbitero e sua madre è complesso e profondo, influenzato da dinamiche affettive e religiose che possono avere esiti ambivalenti. Questo rapporto può dare origine sia a dipendenza che a ribellione, creando un equilibrio delicato che riflette anche le tensioni più ampie.

Il complesso rapporto di amore e odio con lei implica, da un lato, una profonda dipendenza affettiva e, dall’altro, forti impulsi di ribellione.

Per questo motivo, si accetta in modo schizofrenico un controllo morboso e ossessivo sui minimi dettagli e movimenti della propria vita, mentre al contempo si cerca una via di fuga, inizialmente camuffata da piccole menzogne, che può poi trasformarsi in un grande teatro della vita, dove dietro le quinte avvengono le situazioni più imprevedibili.

È quindi urgente superare la retorica tradizionale che circonda la figura della madre del presbitero. Questa narrazione spesso genera aspettative irrealistiche e impone una pressione enorme sia sulle madri che sui figli preti.

È cruciale riconoscere le complessità e le ambivalenze di questo legame e lavorare per creare un ambiente in cui i sacerdoti possano vivere la loro vocazione in modo autentico e sano, senza essere oppressi da un controllo eccessivo o da aspettative impossibili da soddisfare.

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Un nuovo tipo di legame, istituito dalla parola di Gesù, crea una relazione che non si basa sulla carne e sul sangue, né su interessi o coincidenze. Il legame con la madre viene trasformato nella vita del presbitero che ha scelto il celibato. Questo rapporto è influenzato da molti fattori, alcuni dei quali non sono del tutto consapevoli, né completamente sbagliati o giusti. La maturità di una persona che esce di casa per costruire la propria vita si riflette nella decisione di “lasciare il padre e la madre”.

Non interrompe i legami affettivi, non rinuncia alla necessaria gratitudine e non evita eventuali responsabilità di assistenza. È importante però esaminare e trasformare atteggiamenti immaturi da parte di tutti: eccessiva invasività nella vita del presbitero e della comunità, dipendenza affettiva, emotiva e strutturale, e un controllo che limita la libertà.

Anche la morte della madre può rappresentare una prova difficile per la serenità del presbitero, mettendolo in difficoltà e paralizzandolo: l’impatto emotivo può prevalere sulle sue convinzioni di fede e rischia di farlo sprofondare nella depressione, come chi non ha speranza.

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Il presbitero è responsabile di instaurare relazioni in linea con la parola di Gesù, guidato dallo Spirito, piuttosto che seguire criteri basati sulla carne e sul sangue. La scelta del celibato modella una forma di affettività che mira a essere libera dalle dinamiche delle relazioni “carnali”.

Un bel rapporto tra presbitero e madre era quello tra don Lorenzo Milani e la mamma Alice Weiss[3]: tenero, affettuoso e devoto. Lo testimoniano le lettere che don Milani le indirizzava[4].

Alice Weiss, di origini ebraiche, nota per la riservatezza, donna intelligente, raffinata, dotta e bella, si è sempre dichiarata non credente, anche se non ha mai osteggiato il figlio, anzi: ha sempre rispettato la sua libertà, così come il figlio ha rispettato quella della madre.

In queste lettere colpisce il comportamento tollerante e rispettoso con cui madre e figlio considerano le convinzioni reciproche, senza tentare di metterle in discussione.

Questo atteggiamento può essere ricondotto alle comuni radici laiche, che hanno impedito al sacerdote cattolico di tentare di convertire la madre non credente. Allo stesso modo, hanno impedito ad Alice Weiss di spingere il figlio a lasciare una Chiesa che non sembrava disposta ad accettare le sue opinioni e la relativa condotta.


[1] Cf. Williams, J. Harold. Maternal Influence on Clerical Vocation: A Study in Psychological and Sociological Dynamics, in “Journal of Religious Studies”, vol. 22, no. 3, 2019, pp. 89-110.

[2] Cf. G. Deledda, La madre, Edizioni Clandestine, Cinisello Balsamo 2009.

[3] Cf. S. Di Pasquale, Storia di madri, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2022.

[4] Cf. L. Milani. Lettere alla madre, Marietti1820, Torino 1997.

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Un commento

  1. Giuseppe Guglielmi 15 agosto 2024

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