Negoziato di Doha: piccoli passi

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È difficile ritenere che sia un caso che in Libano la vera notizia della giornata di ieri sia stata l’incredibile prova di forza che Hezbollah ha voluto dare; a Gerusalemme quella dell’inchiesta sul pogrom realizzato proprio venerdì notte, nelle ore di avvio del negoziato, da alcuni coloni israeliani che hanno assalito il villaggio palestinese di Jit, portando all’indignazione il capo dello Stato Isaac Herzog; a Gaza l’annuncio ufficiale da parte delle autorità sanitarie locali del primo caso documentato di poliomielite.

Tutto questo accadeva mentre entrava nel vivo il grande negoziato di Doha. Che non ha prodotto un accordo, ma che in realtà non sarebbe ancora concluso. I capi negoziatori sono ripartiti, ma i loro collaboratori stanno definendo i nuovi termini delle discusse modifiche al piano di pacificazione annunciato da Biden il 31 maggio, specificato in modo più dettagliato da israeliani e Hamas nei mesi seguenti, e ora sottoposto ad altri aggiustamenti.

Il prodotto finale sarà presentato in una nuova assemblea plenaria, al Cairo, nella prossima settimana. Hamas non ha inviato un suo delegato ai colloqui, ma in città c’è un rappresentante permanente di Hamas che è stato in continuo contatto con il team dei mediatori.

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Da ciò che si può ricostruire sembrerebbe che Israele avrebbe chiesto soprattutto modifiche per la sicurezza: per evitare che tra i palestinesi che potranno tornare al nord della striscia di Gaza vi siano armi vorrebbe conservare una presenza militre all’incrocio strategico di Netzarim, nel centro della striscia, e poi chiederebbe di avere il controllo del corridoio Filadelfia, una striscia sottile lungo il confine con l’Egitto, ritenuto indispensabile per impedire l’ingresso di armi dall’Egitto.

Hamas ha già fatto sapere che il ritiro militare deve essere totale, come indicato da Biden nel suo discorso del 31 maggio. I mediatori, Stati Uniti, Qatar ed Egitto, assicurano che una proposta ponte tra le opposte posizioni sui punti non ancora risolti c’è ed è largamente condivisa dalle parti.

Ci sarebbero problemi anche sui nomi dei prigionieri palestinesi da liberare come pattuito: il loro numero non sarebbe in discussione, ma Israele non accetterebbe di rilasciare qualsiasi detenuto richiesto, mentre per quanto riguarda il numero degli ostaggi in vita da rilasciare subito dopo l’accordo non è emerso nulla di chiaro: anche su questo già nei giorni passati si è detto che non ci sarebbe intesa.

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Per molti commentatori Israele ha ottenuto tempo, ponendo nuove esigenze. Un accordo potrebbe mettere in crisi il governo Netanyahu, visto che i ministri dell’estrema destra hanno detto in tutti i modi che si tratterebbe di un errore capitale.

Ma anche non firmare comporta dei rischi, soprattutto per l’impegno assunto in tal senso con gli americani. Se il no fosse di Hamas le cose cambierebbero, ed è forse per questo che Hamas ripete da tempo che per lei valgono i principi fissati ufficialmente da Biden. Il netto ottimismo di cui hanno parlato i portavoce americani non è chiaro su cosa si fondi, nessun comunicato lo ha chiarito, come era ovvio che fosse.

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Washington ovviamente vuole evitare anche l’attacco iraniano a Israele, la ritorsione annunciata da tempo per l’assassinio a Teheran del leader di Hamas Hanyeh. Il cessate il fuoco appare come la “svolta” che darebbe agli ayatollah una via d’uscita senza lanciarsi in nuove avventure.

Va capita così la telefonata a Teheran dell’emiro del Qatar, che avrebbe illustrato agli iraniani i progressi compiuti, mettendoli dunque a parte di tutto (in modo credibile visti i buoni rapporti bilaterali) ed esortandoli a non compiere azioni che danneggerebbero Gaza.

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Accanto a tutto questo, e molto altro, merita però una citazione l’incredibile scelta compiuta ieri da Hezbollah. Gli americani confidano che il cessare il fuoco a Gaza crei le condizioni per raggiungerlo anche tra Hezbollah e Israele. Hezbollah ha divulgato tramite la loro televisione, al Manar, un filmato nel quale si vede un loro tunnel. Dura 4 minuti e mezzo e disvela qualcosa di difficilmente immaginabile. In quello che indica in qualche modo una città sotterranea si vede uno spazio nel quale passano agevolmente camion con rimorchio: il tunnel mostrato ha chiaramente delle diramazioni di analoghe dimensioni e numerosi incroci.

Ritenuto da molti un messaggio a Israele, visto che Nasrallah vi dice che Hezbollah è pronta all’attesa vendetta per l’asssassinio del suo comandante Shukr, a molti libanesi è apparso un messaggio prioritariamente indirizzato a loro: il Libano siamo noi, nessuno si metta in testa di limitarci o addirittura sfidarci.

È quello che, con ragioni evidenti, hanno sostenuto molti leader dell’opposizione. Certamente non è un caso che questa prova di forza sia stata fatta nel giorno del negoziato di Doha; ma quella di ieri è stata anche la vigilia del primo black-out nazionale. Il Libano non ha trovato ancora le forniture energetiche necessarie a impedirlo, mentre Hezbollah ha mostrato tutta la sua efficienza.

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