Rosario Livatino: vita donata, non strappata

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Riprendiamo di seguito il ricordo del giudice Rosario Livatino firmato da Bruna Capparelli − professoressa associata di Diritto e procedura penale presso l’Università Autonoma di Lisbona − contenuto nell’opuscolo D. Di Fiore, R. Orlandi, B. Capparelli (a cura), Sub Tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino. Atti dell’incontro svoltosi a Bologna il 2 ottobre 2023, Bologna 2023, p. 41 s. Contributo finanziato dalla Regione Emilia-Romagna in occasione della mostra dedicata a Rosario Livatino, tenuta presso la Corte d’appello di Bologna dal 3 al 14 ottobre 2023.

Il 21 settembre del 1990, il magistrato Rosario Livatino fu ucciso dalla Stidda, sulla SS 640 Caltanissetta-Agrigento, con numerosi colpi di pistola. Era giudice a latere presso il Tribunale di Agrigento. Quel giorno Rosario Livatino avrebbe dovuto essere in ferie; si stava recando in Tribunale per sostituire una collega. Oltre ad andare in Tribunale, quella mattina Rosario si dedicò in vari modi alle persone della sua famiglia e del quartiere. Durante il tragitto verso il lavoro, all’altezza del viadotto Gasena, gli spararono.

Perché ucciderlo?

Perché Livatino era così pericoloso per la mafia?[1] Quando hanno chiesto al suo sicario, divenuto collaboratore di giustizia, il motivo dell’assassinio la risposta è stata: «Credevamo erroneamente che il giudice favorisse il nostro nemico, il boss di Cosa Nostra Giuseppe Di Caro (suo vicino di casa), e perseguisse invece la nostra organizzazione con l’applicazione di pesanti misure di prevenzione e condanne»[2].

Infatti, Livatino è stato tra i primi a confiscare i beni dei mafiosi, delineando così la figura del magistrato dotato di una forte etica, apolitico, autonomo e indipendente, lontano da condizionamenti di qualsivoglia natura, pronto al dialogo e al rispetto di tutti gli attori del procedimento, non ultima la persona da giudicare[3].

Livatino era pericoloso perché, con mezzi diversi, erodeva ciò di cui la mafia ha bisogno: il consenso. Faceva sperimentare alle persone l’unica cosa che dà il coraggio della libertà: la bellezza[4]. Dove non c’è bellezza non c’è speranza di cambiare la realtà, la bellezza è ciò che permette di sentire la differenza e poi di fare la differenza.

Il potere – si sa – non sopporta di essere messo in discussione; la mancanza di consenso lo fa crollare; il controllo del territorio è tutto. E così il magistrato Rosario con la sua vita ordinaria, la sua mitezza, il suo riserbo e la sua disponibilità d’animo… era pericoloso.

Livatino non voleva essere definito giudice anti-mafia. Diceva che il suo compito era essere come Cristo, essere pro, anti nessuno, permettere a tutti di cambiare, anche a costo di rimetterci in prima persona. Cristo finì male, proprio perché osò mettere in discussione il potere, religioso e politico, che opprimeva la gente e che, temendo di perdere il consenso, lo fece fuori come un delinquente[5].

Un maestro

La mafia alleva il suo esercito tenendo la gente nella miseria culturale e assicurando il sufficiente benessere materiale, condizioni che riescono a garantire un potere indiscusso nei contesti da cui attinge il consenso. Livatino ne inceppava dall’interno il meccanismo, per questo decisero di ucciderlo: scardinava il sistema malavitoso da dentro, lavorando di fianco alle persone, calpestando le loro strade, così che percepissero la possibilità di un’altra «strada».

Trentatré anni dopo vogliamo ricordare quell’uomo minuto nella corporatura, sembrava che il vento potesse farlo volar via, ma gigantesco nella fede in Dio e quindi nella fede nell’uomo. L’abbiamo constatato incontrando le persone che oggi portano avanti il suo messaggio: magistrati, ex magistrati e amici si impegnano per la giustizia come faceva Livatino, come è chiamato a fare ogni maestro.

Maestro è chi riconosce «l’opera» che l’altro deve fare e la serve, con la propria vita. Così è stato Livatino, uomo che ha dato la vita perché altri ne avessero una più degna, vera, felice. Essere maestri è aprire strade e aiutare le persone a sentirsi «abbastanza», scoprendo che in realtà lo sono già. Livatino da vero maestro non ha mai accampato alibi in un contesto sociale difficilissimo.

Ha creduto nella ricerca della verità contro ogni speranza. Ha amato lì dov’era, con lui nessuno era «sbagliato». Il «giudice ragazzino» ha vinto la prova del tempo. è sopravvissuto alle tante sfide, e se è sopravvissuto significa che lui ha un segreto perché si possa non morire.

Novità permanente

Rosario Livatino oggi è più nuovo del giornale uscito stamattina, eppure il giornale è appena uscito. Noi siamo ossessionati dall’avere le cose più recenti, l’ultimo modello. Pensiamo che il nuovo sia ciò che è più recente, ma più recente vuol dire solo meno vecchio, cioè qualcosa che ci conferma che moriremo, mentre se una cosa ha molti anni e continua a parlare, come fa Livatino oggi, è perché ci porta verso una vita nuova, più piena, più bella, sicuramente meno facile, ma costruttiva, libera, vera.

Molte cose nell’Agrigentino sono cambiate grazie alla sua eredità: tanti dei suoi colleghi portano avanti la sua opera. Altrettante cose non sono cambiate, perché le cose cambiano quando cambiano le persone e le persone cambiano solo quando sono amate. Allora vorremmo che questo omaggio alla figura di Rosario Livatino lasciasse in ciascuno di noi questo, e solo questo: il desiderio di essere un po’ più vivi.

A essere viventi ci si pensa senza bisogno di ragionamenti, ma essere vivi è un’altra cosa, significa dedicarci a ciò che serve all’uomo per essere felice: la bellezza, la verità e il bene, cioè la giustizia, tutte cose che ci liberano dalle illusioni di destino che il mondo cerca di metterci addosso. Rosario Livatino ha vinto il tempo e ci ha dato una scintilla di immortalità, a cui noi ci dobbiamo aggrappare per poter dire, quando finirà tutto, che nulla è andato sprecato.

Livatino oggi ci invita a «farci vivi», ci interroga su cosa stiamo facendo con i doni della vita, ci ricorda di metterci in cammino e di risvegliarci se siamo addormentati nella vita; ci chiede quali sono le cose che ci ipnotizzano, che ci tolgono il tempo illudendoci di essere qualcuno, ma che in realtà quel tempo ce lo sta togliendo, ci sta facendo marcire, e non nascere. Del resto, noi non siamo fatti per il successo ma per essere felici, dare frutto, avere nostalgia di futuro, cioè quel sentimento di dolore della nascita che abbiamo tutti quando ci sentiamo separati da quello che dobbiamo diventare.

Una chiamata a nascere

Certo, questo richiede fatica, un viaggio di conoscenza dentro sé stessi. Ma omaggiare Rosario Livatino serve a questo: entrare in contatto con le cose belle del mondo e scoprire cosa c’è di autentico dentro ciascuno di noi; smettere di desiderare cose di altri, o addirittura di provare a distruggere il desiderio altrui credendo che ci garantirà la felicità: smettere di essere mossi dal parassita del destino altrui, l’invidia, che aumenta tanto più quanto meno si è fedeli al proprio.

La vita non si afferra, si riceve: è data, non strappata. Livatino ci ricorda che ciò che altri hanno non è disponibile, perché ogni uomo ha la sua storia ed è un dono per il mondo in quanto tale.

Sottrarre qualcosa a un altro pensando di diventare come lui è un meccanismo perverso che non permette di avanzare, ma riporta sempre indietro, imprigiona, blocca, non fa nascere: ci si abbandona ai venti avversi, nel tentativo di possedere quelli favorevoli di altri.

La vita è una chiamata a nascere, un destino da trasformare in destinazione, e per cominciare bisogna partire da dentro. Il confine tra bene e male è nel cuore di ogni singolo uomo, in ciò che decidiamo ogni giorno nella nostra vita.


[1] Cf. B. Capparelli, Rosario Livatino, una mostra alla Corte d’Appello, in Avvenire – Bologna Sette, 16 luglio 2023, disponibile on line a questo indirizzo, ultimo accesso: 5 novembre 2023.

[2] Sul movente dell’omicidio si veda la scheda 16.1 riportata nell’appendice all’opuscolo Sub Tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino – Atti dell’incontro svoltosi a Bologna il 2 ottobre 2023, D. Di Fiore-R. Orlandi-B. Capparelli (a cura di), 2023, in occasione della mostra a lui dedicata.

[3] Cf. B. Capparelli, L’inaugurazione della mostra dedicata al giudice e Beato Rosario Livatino, in Avvenire – Bologna Sette, 24 settembre 2023, riprodotto integralmente on line ad accesso aperto a questo indirizzo, ultimo accesso: 5 novembre 2023.

[4] V.D. Di Fiore, Introduzione, in Sub Tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino – Atti dell’incontro svoltosi a Bologna il 2 ottobre 2023, D. Di Fiore-R. Orlandi-B. Capparelli (a cura), 2023, p. 9 s. Cf., altresì, B. Capparelli, Resoconto del Convegno del 2 ottobre 2023, in Avvenire – Bologna Sette, 8 ottobre 2023, e altresì consultabile on line a questo indirizzo, ultimo accesso: 5 novembre 2023.

[5] Questo paragrafo riproduce in parte il pensiero già espresso in B. Capparelli, Resoconto del Convegno, cit.

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