CELAM: la teologia nella chiave della sinodalità

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Dal 9 all’11 agosto, presso la nuova sede del Celam a Bogotá, si è svolto un Congresso sulla sinodalità che ha riunito presidi, professori e studenti di terzo livello delle facoltà di teologia, filosofia e seminari di diverse parti dell’America Latina. Ai lavori hanno partecipato anche rappresentanti del Nord America e dell’Europa, oltre a padri e madri sinodali.

Questa iniziativa, promossa dal Celam, ha riunito molti istituti di formazione teologica dell’America Latina. Carlos María Galli, promotore e organizzatore del Congresso insieme a un’équipe, ha sottolineato che, sebbene non fosse la prima volta che teologi di vari centri di insegnamento e di ricerca latinoamericani si incontravano, era la prima volta che l’iniziativa non proveniva da un istituto teologico, ma dalla stessa Conferenza episcopale latinoamericana e dei Caraibi.

Il fatto di incontrarsi e di ascoltarsi ha risvegliato in noi partecipanti il desiderio di conoscerci. L’incontro ha incluso diverse presentazioni di teologi del continente e relazioni di esperti suddivise per gruppi di interesse: pastorale, ecclesiologico, ecologico, teologico e spirituale.

Sia le relazioni che le comunicazioni hanno mostrato che i temi della comunione e della sinodalità sono ricorrenti nelle pubblicazioni dei ricercatori delle diverse facoltà dell’America Latina. La comunità dei teologi vede con interesse ciò che sta accadendo nella Chiesa e si impegna ad aprire nuovi percorsi di ricerca sulla base del significato di sinodalità.

Temi centrali

Durante le presentazioni, oltre agli approfondimenti personali di ciascun relatore, non sono mancati suggerimenti e critiche all’Instrumentum laboris che accompagnerà i lavori dei padri e delle madri sinodali nell’ottobre 2024.

Senza voler ripetere i vari interventi degli autori, vorrei comunque sottolineare gli aspetti salienti che sono emersi più frequentemente nei contributi delle relazioni e nelle conversazioni tra i partecipanti al Congresso.

Un primo aspetto da sottolineare è quello dei nuovi immaginari delle strutture ecclesiali. Parlo di immaginari al plurale, poiché non si tratta più di un unico modo di essere Chiesa, ma di una Chiesa che avrà forme in sintonia con la vita di fede del popolo di Dio.

Un secondo aspetto saliente è stata la valutazione positiva, da parte di tutti i presenti, del recupero della categoria di popolo di Dio che, sebbene appaia nel numero nove della Lumen gentium, in verità dopo il Concilio Vaticano II non ha avuto uno sviluppo magisteriale o teologico significativo in questo senso – se non in alcune riflessioni teologiche latinoamericane. È con il pontificato di Francesco che questa categoria riemerge nuovamente ed è presente fin dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium.

Lì l’espressione popolo di Dio è ricorrente. Tale frequenza non è casuale, perché con essa il papa opta per un’ecclesiologia più concreta e storica. Non è irrilevante che Francesco affermi che «essere Chiesa è essere Popolo di Dio, secondo il grande disegno d’amore del Padre» (EG 114). L’espressione Popolo di Dio invita alla corresponsabilità tra il papa (uno), i ministri ordinati (alcuni) e i fedeli (tutti).

Una terza questione è stata la necessità di ripensare i ministeri. Di fronte a questa sfida, più che risposte sono sorte domande: come superare il clericalismo? Il modo di esercitare i ministeri ordinati dev’essere lo stesso in tutta la Chiesa? Quali nuovi ministeri devono essere riconosciuti nella Chiesa? I ministeri devono essere gli stessi per tutta la Chiesa? Di fronte a queste domande, è necessaria una riflessione sui ministeri per evitare una rigidità magisteriale o un’invenzione capricciosa di ministeri estranei alla vita della Chiesa particolare.

Un quarto elemento evidenziato è la necessità di rivedere il Codice di diritto canonico, poiché molti aspetti rimangono discrezionali e dipendono dalla decisione dell’ordinario locale. La legge deve esplorare modalità di decisione comunitaria, in cui tutto il popolo di Dio sia corresponsabile.

Un quinto aspetto ha sottolineato che la sinodalità non si realizza se il clero e il vescovo sono esenti da responsabilità. La responsabilità non è un aspetto facoltativo, ma necessario, perché è un modo per coinvolgere il popolo di Dio nell’amministrazione dei beni della comunità e nella cura dei più vulnerabili. C’è più rischio di abusi quando non c’è responsabilità e tutto è lasciato alla discrezione del vescovo o del sacerdote, che quando l’esercizio ministeriale è pastoralmente e amministrativamente trasparente.

Religiosità indigena

Oltre alle presentazioni assembleari, sono state proposte anche relazioni specifiche che sono state condivise in base alle aree di interesse. In particolare, è stata presentata la visione di alcuni ricercatori sulle implicazioni della sinodalità nella pluralità culturale del nostro continente.

Vorrei richiamare due riflessioni la cui analisi teologica amplifica il significato del termine «sinodalità», tenendo conto delle religiosità indigene. Infatti, entrambe hanno illustrato il significato del camminare insieme nella visione del mondo indigeno, che va oltre l’accompagnamento umano.

Per i popoli indigeni, camminare insieme significa camminare e condividere la vita con le persone della comunità, ma anche con le montagne, i fiumi, gli alberi, l’acqua, la terra, gli animali, i pesci, l’aria e il cielo, poiché l’intero cosmo è un soggetto di relazione. Questa sensibilità per il cosmo è la condizione di possibilità per una nuova ermeneutica biblica, dove l’attenzione non è solo sull’uomo, ma anche sull’interazione con gli elementi della natura.

I dialoghi che Gesù intrattiene con i suoi discepoli o con la folla sono arricchiti dalle sue parole rivolte agli elementi della creazione: come quando parla alla tempesta, quando guarda i fiori e gli uccelli, il seme o il grano, il campo e il raccolto. È possibile così una comprensione più ampia dei vangeli, con presupposti e domande che possono dare origine a una nuova etica, a una cristologia con nuovi elementi, a un’ecclesiologia che accoglie al suo interno forme religiose diverse da quelle istituzionalizzate nelle convenzioni liturgiche e dottrinali.

La sinodalità ci mette in comunione non solo con il presente, ma anche con la storia. Siamo chiamati a farci carico della tradizione e per questo è necessario discernere quando un concilio o una dottrina sono sinodali e qual è la condizione di possibilità perché restino tali. Una dottrina può essere espressione della fede del popolo di Dio, il che la rende sinodale; ma può accadere che ciò che un tempo era sinodale, se diventa formula e viene trasmesso come tale e non come espressione vitale della fede del popolo di Dio, finisca per perdere il suo carattere sinodale.

La teologia alla prova della sinodalità

Il congresso è stato un momento di incontro e di discernimento comune. La presenza di teologi, laici, suore, religiosi e sacerdoti rende sempre più comune lo spazio del pensiero e dell’insegnamento teologico latinoamericano. Il fatto che abbiano partecipato membri di diversi istituti e università ha contribuito a rafforzare l’interrelazione inter-istituzionale, creando reti, alleanze e collaborazioni nel campo del pensiero.

È auspicabile che questo sia l’inizio di un processo sinodale in campo teologico, in cui si formino comunità teologiche che pensano insieme i propri problemi in una prospettiva universale. C’è un crescente bisogno di conoscenza reciproca tra i teologi, di lavoro collaborativo e di uno sforzo comune nella ricerca di luoghi di incontro con proposte più contestualizzate e adeguate alle Chiese locali.


Congreso Latinoamericano y Caribeño: Teología en Clave Sinodal

Entre los días del 9-11 de agosto tuvo lugar en la nueva sede del CELAM, en Bogotá, un Congreso sobre Sinodalidad en la que se reunieron decanos, profesores y alumnos de tercer nivel de Facultades de Teología, Filosofía y Seminarios de distintas partes de América Latina. A esta invitación también asistieron algunos representantes de Norteamérica y de Europa, así como padres y madres sinodales.

Esta iniciativa promovida por el CELAM reunió a muchos institutos de enseñanza teológica de Latinoamérica. Carlos María Galli, promotor y organizador del Congreso junto a un equipo, destacó que, aunque no era la primera vez que se reunían teólogos provenientes de varios centros de enseñanza e investigación de Latinoamérica, sí era la primera vez que la iniciativa no venía de un Instituto, sino de la Conferencia Episcopal Latinoamericana y del Caribe. El hecho de encontrarnos y escucharnos despertó en nosotros, los participantes, el deseo de conocernos. El encuentro contó con distintas ponencias de teólogos del continente y con comunicaciones de expertos que se dividieron según grupos de interés: pastoral, eclesiológico, ecológico, teológico y espiritual. Tanto en las ponencias como en las comunicaciones se constató que el tema de la Comunión y de la Sinodalidad están presente como tópicos recurrentes en las publicaciones de los investigadores de las distintas facultades de América Latina. La comunidad de teólogos ve con interés lo que està aconteciendo en la Iglesia y está comprometida en abrir nuevos senderos de investigación a partir de lo que la sinodalidad significa.

Durante las ponencias, además de las intuiciones personales de cada expositor, no faltaron sugerencias y críticas al Instrumentum Laboris que acompañará el trabajo de los padres y madres sinodales en octubre del 2024. Sin pretender repetir las distintas contribuciones de los autores, me gustaría, sin embargo, señalar los aspectos resaltantes que aparecieron con mayor frecuencia en las contribuciones de las ponencias y conversaciones de pasillo de los asistentes al Congreso. Un primer aspecto a destacar son los nuevos imaginarios de las estructuras eclesiales. Hablo de imaginarios en plural, ya que no se habla de un único modo de ser Iglesia, sino de una Iglesia que tendrá formas acordes a la vida de Fe del Pueblo de Dios. Una segunda característica saliente fue la valoración positiva, por parte de todos los asistentes, de la recuperación de la Categoría Pueblo de Dios que, si bien aparecía en el número nueve de la Lumen Gentium, lo cierto es que terminado el Concilio Vaticano II, no hubo al respecto ningún desarrollo magisterial o teológico significativo, salvo en algunas reflexiones teológicas latinoamericanas. Es con el pontificado de Francisco donde de nuevo vuelve a resonar esta categoría, la cual está presente desde la Exhortación Apostólica Evangelii Gaudium. Allí la expresión Pueblo de Dios es recurrente. Tal frecuencia no es casual, pues con ella el Sumo Pontífice apuesta por una eclesiología más concreta e histórica. No es insignificante que el papa afirme que “ser Iglesia es ser Pueblo de Dios, de acuerdo con el gran proyecto de amor del Padre” (EG 114).

La expresión Pueblo de Dios invita a la corresponsabilidad entre el Papa (uno), los ministros ordenados (algunos) y los fieles (todos). Una tercera insistencia fue la necesidad de repensar los ministerios. Frente a este desafío, más que respuestas surgieron cuestionamientos: ¿Cómo superar el clericalismo? ¿El modo de ejercer los ministerios ordenados debe ser igual en toda la Iglesia? ¿Qué nuevos ministerios es preciso reconocer en la Iglesia? ¿Los ministerios deben ser los mismos para toda la Iglesia? Ante los cuestionamientos, se ve necesario una reflexión sobre los ministerios para evitar una rigidez magisterial o una invención caprichosa de ministerios que respondan ajena a la vida de la Iglesia Particular. Un cuarto elemento que se destacó fue la necesidad de revisar el Código de Derecho Canónico, pues muchos aspectos siguen siendo discrecionales y dependen de la decisión del Ordinario del Lugar. El derecho necesita explorar modos de decisión comunitaria, en la que todo el Pueblo de Dios sea corresponsable. Un quinto aspecto destacaba que la Sinodalidad no acontece si el Clero y el Obispo están exentos de rendir cuentas. La accountability no es una cuestión opcional, es un aspecto necesario ya que es un modo de hacer partícipe al Pueblo de Dios en la administración de los bienes de la Comunidad y en el cuidado de los más vulnerables. Hay más riesgos de abusos cuando no se rinden cuentas y todo queda bajo la discrecionalidad del obispo o del sacerdote, que cuando el ejercicio ministerial es transparente pastoral y administrativamente.

Además de las ponencias asamblearias, hubo también la propuesta de comunicaciones específicas que fueron compartidas según áreas de interés. Allí se expuso de modo bastante específico la visión de algunos investigadores sobre las implicaciones de la Sinodalidad en la pluralidad cultural de nuestro continente. Destaco dos de las comunicaciones compartidas. Se trata de dos reflexiones cuyo análisis teológico amplía el significado del término Sinodalidad al tener presente las religiosidades indígenas. En efecto, ambos autores explican el sentido de caminar juntos en la cosmovisión indígena, la cual va más allá del acompañamiento humano.

Para los pueblos indígenas, caminar juntos significa caminar y compartir la vida con las personas de la comunidad, pero también con las montañas, los ríos, los árboles, el agua, la tierra, los animales, los peces, el aire y el cielo, ya que todo el cosmos es sujeto de relación. Esta sensibilidad por el cosmos es la condición de posibilidad de una nueva hermenéutica bíblica, donde el interés no se focaliza solo en lo humano, sino en también en la interacción con los elementos de la naturaleza. Los diálogos que Jesús tiene con sus seguidores o con la multitud, son enriquecidos con su palabra dirigida a los elementos de la creación, como cuando le habla a la tormenta, cuando se fija en las flores y en los pájaros, en la semilla o en el trigo, en el campo y en la cosecha. Es posible una comprensión más amplia de los Evangelios, con nuevos presupuestos e interrogantes que puedan dar lugar a una nueva ética, una cristología con nuevos elementos, una eclesiología que acoge en su seno formas religiosas distintas a la institucionalizada en convenciones litúrgicas y doctrinales.

La Sinodalidad nos coloca en comunión no solo con el presente, sino con la historia. Estamos llamados a hacernos cargo de la tradición y para ellos es preciso discernir cuando un concilio o una doctrina es sinodal y cuál es la condición de posibilidad de que se mantenga como tal. Una doctrina puede ser la expresión de fe del Pueblo de Dios, lo que la hace sinodal, pero, puede acontecer, que lo que en un tiempo fue sinodal si se hace fórmula y es aprendida como tal y no como expresión vital de fe del Pueblo de Dios termine perdiendo su carácter sinodal.

El congreso ha sido un momento de encuentro y discernimiento conjunto. La presencia de teólogos laicos, religiosas, religiosos y sacerdotes, hace que cada vez sea más común el espacio de pensamiento y enseñanza teológica latinoamericana. El hecho de que miembros de diferentes institutos y universidades hayan participado contribuye a fortalecer la interrelación interinstitucional, creando redes, alianzas y colaboraciones en el ámbito del pensamiento. Es de desear que esto sea el inicio de un proceso sinodal en el ámbito teológico, donde se formen comunidades teológicas que piensen juntos los problemas propios en una perspectiva universal. Es cada vez más necesario un conocimiento mutuo entre teólogos, un trabajo colaborativo y un esfuerzo común en la búsqueda de espacios de encuentro con propuestas más contextualizadas y adecuadas a las Iglesias Locales.

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 19 agosto 2024

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