Mesdames et messieurs! Ladies and gentlemen! Signore e signori! La formula di cortesia politically correct inaugurata nei palinsesti televisivi novecenteschi di tutto l’orbe terracqueo e consacrata dalle «signorine buonasera» di gloriosa memoria ha ormai fatto breccia anche nel paludato linguaggio ecclesiastico e, vuoi perché sono cambiati i formulari, vuoi per buona educazione, non è più cosa tanto rara sentire il celebrante che si rivolge all’assemblea con l’espressione «fratelli e sorelle» anziché con il neutro e fintamente impersonale «cari fratelli».
Il «fratelli e sorelle» rimane però, per molti, troppi preti, soltanto poco più che un doveroso omaggio al conformismo linguistico imperante. Niente a che fare con una profonda e meditata riflessione sulla presenza delle donne nel regno del visibile.
Già, perché ancora per tanti, troppi uomini, anche istruiti, anche colti, per tanti, troppi preti, le donne appartengono ancora, di fatto e di diritto, al regno dell’invisibile.
L’ultima lettera del papa sul ruolo della letteratura nella formazione ne è una chiara dimostrazione. Di «fratelli e sorelle», lì, non vi è alcuna traccia. Ma, trattandosi di una lettera pensata, almeno inizialmente, per la formazione sacerdotale e visto che, causa riserva maschile, soltanto i maschi per ora possono fare i preti, che non sia stata avvertita la necessità di declinare l’appello anche al femminile non appare così disagevole.
Quello che crea disagio è che, in tutta la lettera e nelle relative note, non vi sia un riferimento che sia uno ad una voce di donna. Non una teologa, non una scrittrice, non una poetessa. Solo maschi, tutti maschi. Anche qui, un bel concistoro, insomma.
Che i teologi non leggano le filosofe e le teologhe lo aveva già scritto con parole chiare e un filo di amarezza più di vent’anni fa Marinella Perroni in un articolo ancora attuale e facilmente reperibile on line – così che non ci siano scuse per non leggerlo.[1]
Che non ci sia l’abitudine a vedere le donne in generale e le scrittrici in particolare occupare spazi nel mondo e nella letteratura lo ha ricordato recentemente Aurora Tamigio, vincitrice del Premio Bancarella 2024, nel bell’articolo di Lorena Spampinato Benvenuti nel paese delle scrittrici pubblicato domenica 18 agosto su Robinson di Repubblica.
Che i libri di testo e i manuali in uso nelle scuole e nelle università continuino a perpetuare una tradizione letteraria deprivata della voce delle donne, contribuendo così a consolidare anche nelle nuove generazioni un immaginario collettivo in cui le donne sono solo oggetto e non soggetto di rappresentazione, è un’indecenza drammaticamente colpevole e non più in alcun modo giustificabile.
Cari preti, leggete – così scriveva qualche giorno fa dalle pagine di SettimanaNews il vescovo emerito di Catanzaro-Squillace commentando la lettera di papa Francesco.[2]
Da insegnante di lettere ormai datata, mi permetto di integrare l’invito con una precisa indicazione: cari preti, leggete le donne. Leggete romanzi, racconti, saggi, poesie, opere storiografiche, riflessioni filosofiche e teologiche scritte dalle donne.
Leggere è, prima di tutto, un esercizio di dislocazione dello sguardo. Perché il «fratelli e sorelle» non rimanga soltanto una formula banale e stereotipata, ma sia espressione di un lavoro interiore di consapevolezza rispetto alle soggettualità che animano il reale, leggere parole scritte dalle donne è un passaggio fondamentale per uscire da una rappresentazione del mondo univocamente e astrattamente maschile.
Smettiamo di considerare le donne afone e invisibili.
Smettiamo di pensare che, per capire e conoscere le donne, basta leggere quello che qualche dotto signore ha scritto di loro.
Smettiamo di immedesimarci in un mondo scritto e descritto dagli uomini, in cui le donne sono solo lo sfondo necessario a far emergere il protagonismo maschile.
Apriamo gli occhi, allarghiamo lo sguardo. Leggiamo, leggete. Leggete le donne.
[1] Marinella Perroni, «Cent’anni di solitudine». La lettura femminista della Scrittura, in:
https://mondodomani.org/reportata/perroni01.htm
[2] https://www.settimananews.it/cultura/cari-preti-leggete/
Non capisco i commenti al testo di Anita Prati tutti riguardanti un testo della liturgia che inquadrato bene non dice quello per cui lo si è usato per tanto tempo. L’articolo riguarda un argomento ben più vasto. Temo che tanti preti non solo non leggono ciò che scrivono le donne, ma non leggono proprio. Il problema è il loro chiudersi in schemi preconfezionati, per cui anche se capita loro una articolo, un libro di sapienza femminile non se ne accorgono. E la fede pensata che manca, e non solo a loro ma alle tante donne che ancora stanno bene sottomesse al parroco padrone come ha scritto un altro intervenuto. Anche le donne devono imparare a leggere di più!
Mi domando per quale motivo viene riproposto ogni anno questo passo di Paolo chiaramente imbarazzante. Forse la risposta è semplice e scontata la gerarchia ecclesiastica vuole ricordare alle donne di oggi di non farsi illusioni di emancipazione, anzi di tornare indietro ed essere sottomesse in tutto ai mariti. Le giovani donne non vanno più in chiesa e certo sentendo leggere queste frasi non ci torneranno facilmente. L amore sponsale non può essere di sottomissione di una parte e questo ormai è questione chiara. Purtroppo la mentalità maschilista non accetta veramente l emancipazione femminile e la Chiesa anziché scardinare tale mentalità fa di tutto per perpetuarla.
Non capisco come mai quando si legge il testo dove le donne sono chiamate ad essere sottomesse ci si ferma a questo. Se leggiamo fino in fondo si chiede agli uomini di amare le mogli come Cristo ama la Chiesa. Meditiamo su cosa sia più difficile.
Nel mio libro dal titolo:
Uomo e donna
Ish e ishsha
La donna e i suoi talenti
Dal Creatore a Gesù
Ho messo in evidenza i talenti di cui il Creatore ha dotato la donna perche’ potesse condividere con l’uomo il governo del Creato liberandolo così dalla sua solitudine di origine
La seconda lettura della scorsa domenica presenta il passo in cui Paolo chiede alle donne di essere sottomesse ai mariti. Purtroppo questo passo è presentato come parola di Dio. Ben diversamente ha agito e insegnato Gesù.
Forse non hai seguito bene tutto il Vangelo di domenica, vai a rivedere e magari confrontati.
Grazie per lo spunto, Franco.
Questo messaggio è un messaggio che deve essere rivolto a tutti, non solo a chi dice “cari fratelli e care sorelle” o, come mi è capitato di sentire, “cari com-pagni” (cum panis). Per me due libri di due donne sono stati altamente formativi (Natalia Ginzburg con il suo “Lessico famigliare” e Susanna Tamaro con il suo “Va’ dove ti porte il cuore”). Ammetto la mia ignoranza sulle filosofe chiedendo venia (l’unica che un po’ conosco è Edith Stein) e me ne rammarico ma sotto questo aspetto non ci sono neanche corsi che vengono svolti nelle sede opportune,
Le donne della parrocchia che frequento sono soggette al parroco-padrone e non desiderano emanciparsi.
Concordo con l’articolo e con il commento di Laura. È avvilente dover continuare a sentire questo testo biblico, d’altra parte lo hanno tradotto uomini quindi non si saranno certo posti il problema … Si fa presto a parlare della necessità di “smaschilizzare” la Chiesa ma è fatica che i signori maschi siano disposti a condividere lo spazio al suo interno con le donne se non con reiterate operazioni di facciata.
Il greco antico è una lingua studiata in tutti i licei classici.
Con un buon dizionario lo potrebbero tradurre anche molte donne.
Eh, si.
Tante volte mi chiedo come sarebbe state la convivenza uomo-donna , se nella formazione delle coscienze si fosse dato spazio alla voce femminile.
Ieri la liturgia prevedeva il famoso passo di Paolo agli Efesini in cui egli afferma che le donne siano sottomesse ai mariti.
Quanto questa idea ha impregnato di se’ il magistero della chiesa? Come ricommentare questo passo imbarazzante. Francamente non vi riconosco l’umanità delle parole di Gesù.