Venezuela: interpretare e costruire il paese

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Versión española a continuación.

Le elezioni in Venezuela hanno fatto parlare nel Paese e a livello internazionale. Il fatto che ci sia una crisi elettorale rivela che la crisi del Venezuela è ben lungi dall’essere risolta dalle elezioni. Qualsiasi elezione presuppone, infatti, un accordo politico accettato da tutti gli attori, cosa che non avviene nel nostro Paese. I patti politici vanno oltre il rispetto delle regole del gioco elettorale e implicano una visione condivisa del Paese.

Questa visione dovrebbe riflettersi nella Costituzione del Paese. È qui che sta il problema, perché in Venezuela, sebbene tutti invochino la Costituzione, non tutti la interpretano allo stesso modo. Questo porta a un conflitto ermeneutico che non è stato risolto e sembra lontano dall’essere superato.

Vecchia e nuova Costituzione

Per capire il motivo del conflitto interpretativo, è necessario fare un po’ di storia. La nuova Costituzione è nata da un processo costituzionale nel 1999. All’epoca, il presidente Hugo Chávez propose la creazione di un’Assemblea costituente, che secondo i legislatori venezuelani non poteva essere soggetta al Parlamento esistente. Non tutti erano d’accordo con questa interpretazione, per cui il presidente ha dovuto superare ogni sorta di impedimento legale.

La Costituzione del 1961 non prevedeva la possibilità di un’Assemblea nazionale costituente incaricata di elaborare una nuova carta costituzionale. I fautori di un rinnovato quadro costituzionale sostenevano che il processo di stesura della nuova Costituzione non poteva essere soggetto alla Costituzione allora in vigore. La mancanza di accordo ha diviso il Paese in due fazioni: coloro che rifiutavano la stesura di una nuova Costituzione e coloro che attendevano con ansia la scrittura di un nuovo quadro giuridico.

Il 15 dicembre 1999 fu approvata la nuova Costituzione ma, a causa delle divisioni interne, non è stata accolta da tutti. Una parte della popolazione ha rifiutato la Costituzione appena approvata, vedendo in essa uno strumento che il governo avrebbe usato per controllare lo stato. Questo rifiuto del nuovo quadro giuridico è culminato negli eventi dell’11 aprile 2002, che alcuni hanno definito un colpo di stato e altri un vuoto di potere.

Quel giorno, l’alto comando delle forze armate ha comunicato le dimissioni del presidente, Hugo Chávez è stato arrestato e Pedro Carmona Estanga è stato nominato presidente ad interim in assenza del vicepresidente – prestando giuramento il giorno successivo, il 12 aprile. Le sue prime decisioni subito dopo l’insediamento sono state quelle di rimuovere il Parlamento, i membri della Corte Suprema, quelli del Potere Elettorale, di eliminare 49 leggi approvate e di abrogare la Costituzione del 1999 per tornare a quella del 1961.

Quello che è successo nel 2002 è stato il chiaro segnale di un Paese che stava crollando. Il 13 aprile Hugo Chávez venne riportato al potere. Questo ha segnato il fallimento di ogni nuovo tentativo di non rispettare la Costituzione e ha costretto tutti ad accettare l’esistenza di un nuovo quadro giuridico come un fatto compiuto.

Tuttavia, l’accettazione della nuova Costituzione non significava l’accettazione del progetto nazionale che vi si poteva elaborare. La divisione si è accentuata: alcuni hanno assunto la difesa della nuova Costituzione come progetto per il Paese, altri l’hanno usata per smantellare ogni tentativo di creare qualcosa di diverso da ciò che era già stato stabilito.

Cosa abbiamo avuto nel 2002? Uno stato la cui struttura rispondeva alla Costituzione del 1961, un governo che proponeva la sua idea di Paese, ma con le mani legate nella gestione dello stato, e un gruppo imprenditoriale e operaio che si opponeva frontalmente al Nuovo Progetto per il Paese. Il risultato è stato lo smantellamento delle istituzioni statali e la loro sostituzione con organismi governativi, con la conseguente perdita di istituzionalità che ha dato il via alla discrezionalità politica del potere governativo.

Sebbene in questi anni ci siano stati alcuni tentativi di dialogo, sono stati tutti fallimentari, poiché il governo e l’opposizione si sono rifiutati di cedere nella loro interpretazione del progetto del Paese.

Con gli eventi delle proteste contro il governo di Maduro nel 2014, i dialoghi si sono intensificati, ma si sono arenati nella difesa delle idee e nella gestione del potere da parte di ciascuna fazione. Il governo controlla il potere di coercizione interna e l’opposizione controlla l’accesso alle risorse statali che si trovano nella Banca Internazionale.

L’opposizione è anche riuscita a far uscire il Venezuela dal sistema Swift, il che ha impedito al governo di accedere al mercato internazionale per lo scambio di beni. Invece di costruire e pensare al ruolo degli attori politici nel promuovere uno sviluppo che porti alla pace, le tavole rotonde del dialogo si sono limitate a occuparsi delle proprie forze per bilanciare i negoziati.

La necessità di nuovi metodi e nuovi attori nel dialogo

Il contesto appena descritto ci aiuta a capire perché in queste elezioni non è in gioco solo la vittoria di un candidato, ma anche una visione del Paese. Per l’attuale partito al potere, qualsiasi evento che metta a rischio il progetto sancito dalla Costituzione del 1999 è un attacco all’ordine democratico. Quando Maduro ha dichiarato di non essere disposto a cedere il potere alla destra venezuelana, ha riconosciuto l’incompatibilità di un governo di destra con la Costituzione. Infatti, il preambolo della Costituzione definisce il Venezuela come una «Patria bolivariana socialista umana per ricostruirci come società umana, democratica, partecipativa, protagonista, multietnica e pluriculturale».

Mi permetto di affermare che il dramma del Paese non finirà con il riconoscimento di un risultato elettorale trasparente. Indipendentemente da chi abbia vinto le elezioni, è chiaro che è necessario un ampio dialogo per costruire uno spazio comune in cui il confronto tra i vari soggetti politici non sia incentrato solo su interessi di parte o elettorali.

È tempo di concordare una governance comune che vada a beneficio di tutti. Un ampio dialogo permetterebbe ai venezuelani di trarre vantaggio dall’importanza geopolitica del Paese. La riconciliazione nazionale potrebbe fare del Venezuela uno dei paesi ponte tra il blocco russo-cinese e quello europeo-americano.

Ma questo sarà possibile solo se affronteremo internamente la calamità subita dalla popolazione che vive nel nostro territorio. I venezuelani vogliono opportunità di lavoro equamente retribuito, istruzione di qualità, salute garantita, sviluppo industriale, sviluppo tecnologico, rispetto dei loro diritti e sviluppo abitativo.

Un rilancio della società civile

Ogni area deve essere discussa indipendentemente dagli interessi di parte e deve essere pensata nel quadro del benessere della nazione. Progetti in questi ambiti dovrebbero essere portati avanti con l’aiuto di esperti della società civile con idee che possano essere tradotte in politiche vincolanti per chi è al potere. Se c’è una cosa chiara è che dobbiamo superare la polarizzazione che non ha portato prosperità al Paese.

La società civile può essere quel luogo di incontro in cui si possono prendere provvedimenti per risolvere il conflitto. Gli uomini d’affari, gli accademici, le istituzioni non governative e le persone impegnate nel sociale possono far parte di quello spazio necessario ai venezuelani per ascoltarsi a vicenda. La democrazia non si misura dal numero di elezioni che si possono tenere, ma dal bene che ognuno può ottenere. Il dialogo deve essere assistito da organismi internazionali e imparziali che lo accompagnino.

Dal dialogo dovrebbero emergere politiche concrete, vincolanti per i partiti politici e per chi è al potere. La democrazia venezuelana ha bisogno di un’organizzazione di cittadini responsabili, in grado di pensare e proporre alternative che raggiungano un’intesa efficace.

Sebbene ciò richieda un processo di educazione dei cittadini, data l’urgenza della situazione, è necessario creare metodi in grado di convocarli e farli dialogare tra di loro. Questo dialogo non si dovrebbe basare su accordi di parte, ma cercare di portare i membri della società civile a proporre politiche urgenti da attuare per la stabilità economica, politica e sociale – come per il rafforzamento istituzionale della nazione.

Si tratta di immaginare un futuro possibile, ma non solo nelle mani di coloro che ricoprono cariche politiche, bensì in quelle di una società che pensa, propone e controlla le politiche di cui la nazione ha bisogno. Questo è possibile!

Le risorse umane necessarie esistono in Venezuela. Le università autonome possono e devono svolgere un ruolo importante nel convocare, formare e creare metodi di dialogo adeguati e convenienti per tutti i venezuelani. Un Paese non si decreta, un Paese si interpreta e si costruisce.


Hermenéutica y Crisis Venezolana

Las elecciones en Venezuela han dado de qué hablar en el país y en el ámbito internacional. El que haya una crisis electoral revela que la crisis del país está lejos de resolverse con unas elecciones. Cualquier elección supone un acuerdo político aceptado por todos los actores, cosa que no acontece en nuestro país. Los pactos políticos van más allá del respeto a las reglas de juego electoral e involucran una visión de país compartida. Esta visión debería estar reflejadas en la Constitución de la nación. Justo aquí es donde tenemos el problema, ya que, en Venezuela, aunque todos invocan la constitución, no todos la interpretan del mismo modo. Esto nos lleva a un conflicto hermenéutico que no ha sido superado y parece que está lejos de superarse.

Para entender el motivo del conflicto interpretativo, es preciso un poco de historia. La nueva Constitución, nace de un proceso constitucional en 1999. En aquel entonces, el presidente Hugo Chávez, propuso la creación de una Asamblea Constitucional, que según legisladores venezolanos no podía estar sometida al parlamento existente. No todos estuvieron de acuerdo con esta interpretación, motivo por el cual el presidente tuvo que sortear toda clase de impedimentos jurídicos. La Constitución del 1961 no contemplaba la posibilidad de una Asamblea Nacional Constituyente que tuviera como tarea pensar una Nueva Constitución. Quienes proponían un nuevo marco constitucional sostenían que el marco de redacción de la Nueva Constitución no podía estar sujeto a la Constitución para entonces vigente. La falta de acuerdos dividió al país en dos facciones: estaban aquellos que rechazaban la redacción de una Nueva Constitución, y aquellos que veían con esperanza la redacción de un nuevo marco jurídico.

El 15 de diciembre del año 1999 se aprobó la nueva Constitución que, debido a las divisiones internas, no fue acogida por todos. Un sector de la población rechazaba la constitución aprobada e interpretaba que ella era el instrumento que el gobierno usaría para controlar el Estado. Este rechazo al nuevo marco jurídico tuvo su culmen en los acontecimientos del 11 de abril del 2002, que algunos llamaron golpe de Estado y, otros, vacío de poder. Ese día el alto mando de la Fuerza Armada informó que el presidente había renunciado a su cargo, Hugo Chávez fue detenido, y ante la desaparición del vicepresidente, se nombra como presidente interino a Pedro Carmona Estanga. Su juramentación sucedió al día siguiente, el 12 de abril. Sus primeras decisiones inmediatamente después de asumir el cargo fueron las de remover el parlamento, los miembros del Tribunal Supremo de Justicia, los miembros del Poder Electoral, eliminar 49 leyes aprobadas y eliminar la constitución de 1999 para regresar a la constitución de 1961.

Lo sucedido en el año 2002 era un claro indicio de un país que estaba colapsando. El 13 de abril Hugo Chávez es repuesto en el poder. Esto significó el fracaso de cualquier nuevo intento de desconocimiento de la constitución y obligó a todos a aceptar como un hecho consumado la existencia de un nuevo marco jurídico. Sin embargo, la aceptación de la Nueva Constitución no significó la asunción del proyecto de país que allí se podía dibujar. La división se acentuó: algunos asumen la defensa de la Nueva Constitución como proyecto de país, y otros la usan para desarticular cualquier intento de crear algo distinto a lo ya establecido. ¿Qué teníamos entonces en el 2002? Un Estado cuya estructura respondía a la constitución de 1961, un gobierno que proponía su idea de país, pero con las manos atadas en la gestión del Estado y un grupo empresarial y obrero que se oponía de modo frontal al Nuevo Proyecto de País. El resultado fue la desarticulación de las instituciones del Estado y su sustitución por órganos del gobierno, con la consecuente pérdida de la institucionalidad, lo cual dio origen a la discrecionalidad. Aunque en estos años hubo algún intento de diálogo, todos ellos fueron fallidos, ya que gobierno y oposición se negaban a ceder en su interpretación de proyecto de país.

Con los sucesos de protesta contra el gobierno de Maduro en el año 2014 los diálogos se intensificaron, pero todos ellos estuvieron estancados en la defensa de las ideas y del manejo de poder por parte de cada facción. El gobierno controla el poder de coacción interna y la oposición controla el acceso a los recursos del Estado que están en la Banca Internacional. La oposición logró además el retiro de Venezuela del sistema Swift, lo que ha impedido al gobierno a acceder al mercado internacional de intercambio de bienes. Las mesas de diálogos más que construir y pensar en el papel de los actores políticos en el impulso de un desarrollo que nos lleve a la paz, se han limitado a cuidar sus fuerzas para equilibrar las negociaciones.

La necesidad de nuevos métodos y nuevos actores en el diálogo

El contexto anterior nos ayuda a entender porque en estas elecciones no sólo está en juego el triunfo de un candidato, sino una visión de país. Para el actual partido gobernante, cualquier evento que ponga en peligro el proyecto de país plasmado en la Constitución de 1999 atenta contra el orden democrático. Cuando Maduro declaró que no estaba dispuesto a entregar el poder a la derecha venezolana, lo que realmente reconocía era la incompatibilidad de un gobierno de derecha con la constitución. En efecto el preámbulo de la constitución define a Venezuela como “Patria Bolivariana Socialista humana para reconstruirnos como sociedad humana, democrática, participativa, protagónica, multiétnica y pluricultural”.

Me atrevo a afirmar que el drama que se vive en el país no terminaría con el reconocimiento de un resultado electoral transparente. Más allá de quien haya ganado las elecciones, queda claro que es necesario un amplio diálogo que permita construir un espacio común donde las conversaciones no se centren únicamente en intereses partidistas o electorales. Es hora de pactar una gobernabilidad conjunta que beneficie a todos. Un diálogo amplio permitiría a los venezolanos sacar partido de la importancia geopolítica que tiene el país. Una reconciliación nacional podría convertir a Venezuela en uno de los países puentes entre el bloque ruso-chino y el bloque europeo-norteamericano. Pero ello solo será posible si al interno nos hacemos cargo de la calamidad que sufre la población que habita en nuestro territorio. Los venezolanos quieren oportunidades de trabajo justamente remunerado, educación de calidad, salud asegurada, desarrollo industrial, desarrollo tecnológico, respeto a sus derechos y desarrollo habitacional. Cada área debe ser discutida al margen de los intereses partidistas y ser pensados en el marco del bienestar de la nación. Su realización debe contar con expertos de la sociedad civil que puedan aportar ideas que de traduzcan en políticas vinculantes para los gobernantes. Si hay algo que queda claro, es que debemos superar la polarización que no ha traído prosperidad al país.

La sociedad civil puede ser ese espacio de encuentro en la que se puedan dar pasos para solucionar el conflicto. Empresarios, académicos, instituciones no gubernamentales y personas comprometidas con el bienestar social pueden formar parte del espacio necesario que necesitamos los venezolanos para escucharnos. La democracia no se mide por el número de elecciones que se puedan realizar, sino por el bien que todos pueden alcanzar. El diálogo debe contar con la ayuda de organismos internacionales e imparciales que acompañen las conversaciones. Del diálogo deben salir políticas concretas que deben tener carácter vinculante para los partidos políticos y los gobernantes. La democracia venezolana necesita una organización ciudadana responsable capaz de pensar y sugerir alternativas que logren un entendimiento eficaz.

Aunque esto requiere un proceso de formación ciudadana, frente a la urgencia de la situación, es preciso crear métodos de convocatoria y diálogo ciudadano. Este diálogo no tendría como base acuerdos partidistas, sino que buscaría que miembros de la sociedad civil propongan políticas urgentes a ser implementadas para la estabilidad económica, política y social y el fortalecimiento institucional de la nación. De lo que se trata es de avizorar un futuro posible, pero no sólo a manos de quienes ejercen cargos políticos, sino a manos de una sociedad, que piensa, propone y hace seguimiento de las políticas que necesita la nación. ¡Esto es posible! En Venezuela existe el recurso humano necesario. Las universidades autónomas pueden y deben jugar un papel importante en la convocatoria, formación y creación de métodos de diálogo apropiado y conveniente a todos los venezolanos. Un país no se decreta, un país se interpreta y se construye.

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