Il dibattito è esploso e non si placherà. La decisione del parlamento ucraino di mettere fuorilegge le comunità religiose che hanno collegamenti con la Russia ed eventualmente con altri paesi aggressori accompagnerà le quotidiane note informative della guerra in corso (cf. qui su SettimanaNews).
Mi limito a censire quattro voci di rilievo: l’arcivescovo maggiore degli ucraini greco-cattolici, Svjatoslav Ševčuk, il metropolita Epifanio di Kiev, responsabile della Chiesa ortodossa autocefala, il sinodo della Chiesa ortodossa russa e papa Francesco.
L’arcivescovo maggiore degli ucraini greco-cattolici
Svjatoslav Ševčuk ha parlato della legge in occasione di un incontro con la responsabile del Dipartimento culturale dell’ambasciata tedesca, Lisa Heike, il 20 agosto. Nonostante che in passato avesse qualificato l’ipotesi della legge come la contraddittoria consegna della palma del martirio alla Chiesa del metropolita Onufrio, ovvero alla Chiesa «non autocefala», il gerarca greco-cattolico ha sottolineato che la legge 8371 «non è un divieto nei confronti della Chiesa, ma uno strumento di protezione dal pericolo di usare la religione come arma», e cioè di evitare ogni strumentalizzazione e «militarizzazione» delle fedi.
Essa reagisce al dato di fatto che la Russia utilizza l’ortodossia come arma e come «arma neutropica» (malattia del sistema nervoso). Il suo obiettivo non è la fede o la Chiesa ma l’ideologia del «mondo russo» con cui la direzione della Chiesa russa giustifica la violenza della guerra.
I principi condivisi dal Consiglio panucraino delle Chiese e delle fedi sono: la cooperazione fra stato e Chiese; il rifiuto di una “chiesa di stato”; la non ingerenza dello stato nella vita interna delle Chiese e delle fedi; il diritto dello stato di garantire la sicurezza nazionale anche dalla strumentalizzazione delle fedi da parte degli aggressori. La decisione riguarda non la Chiesa di Onufrio nel suo insieme, che non ha personalità giuridica, ma le singole comunità (parrocchie) o monasteri e sarà in capo ai tribunali, non alle amministrazioni.
Il metropolita della chiesa autocefala
Il metropolita Epifanio, responsabile della Chiesa autocefala, ha spiegato alla commissione inviata da Bartolomeo di Costantinopoli il senso della legge e ha riaffermato il suo impegno nel dialogo. Confermato anche in un appello il 15 agosto scorso: «Chiediamo a te (metropolita Onufrio) e ai gerarchi che sono con te di accettare di avviare il nostro dialogo senza precondizioni».
Finora tutto si è bloccato dalle condizioni poste dalla Chiesa non autocefala:
- ripudio dell’autocefalia concessa da Bartolomeo,
- interruzione delle violenze e dei passaggi delle comunità alla Chiesa di Epifanio;
- restituzione delle proprietà delle chiese e dei monasteri.
Il metropolita Hilarion di Winnipeg, capo delegazione, ha apprezzato e confida «che venga stabilito il dialogo per impedire ai nemici di sfruttare le divisioni. La “Chiesa madre” sostiene con tutto il cuore il dialogo per il bene dell’unità ortodossa».
In precedenza, Epifanio era sospettato di aver posto degli ostacoli alla commissione per evitare domande scomode. Che peraltro gli sono state rivolte direttamente da Bartolomeo nell’incontro al Fanar dello scorso 16 agosto. In particolare, la richiesta di un chiarimento sugli scontri violenti che hanno accompagnato il passaggio di alcune parrocchie e di alcuni edifici ecclesiali dall’una all’altra giurisdizione (Ivano-Frankivsk, Leopoli, Khmelnytslyi).
«Dobbiamo impegnarci in discussioni senza precondizioni – ha detto Epifanio; condividere un tè o un caffè, guardarci negli occhi e parlare del futuro senza soffermarci sulle lamentele del passato. Se il metropolita Onufrio è d’accordo, sono pronto a incontrarlo anche domani».
Sinodo russo
Senza appello è il testo approvato dal sinodo russo il 22 agosto. «Per la sua portata e la sua natura questa misura (legislativa) può superare tutte le precedenti repressioni storiche contro la Chiesa ortodossa ucraina».
I responsabili dell’operazione non sono solo i funzionari governativi, i deputati del parlamento e personaggi pubblici di «estrema destra», ma anche «i rappresentanti di organizzazioni scismatiche e della Chiesa greco-cattolico ucraina». Scopo della legge è liquidare la Chiesa ortodossa ucraina, tutte le sue comunità e costringere centinaia di monasteri, migliaia di comunità e milioni di credenti a entrare in altre organizzazioni religiose.
I russi invocano le Nazioni Unite, l’OSCE, il Consiglio d’Europa e tutti i responsabili mondiali delle comunità religiose a denunciare la violazione dei diritti dei credenti. «E con particolare amarezza dobbiamo constatare il ruolo negativo del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli e dei gerarchi che sono d’accordo con lui. Con il loro atteggiamento unilaterale, frettoloso e contrario allo spirito dei sacri canoni, hanno solo aggravato lo scisma della Chiesa in Ucraina senza sanarlo […]. Il patriarca di Costantinopoli ha quindi la responsabilità personale dell’organizzazione della persecuzione dei credenti della Chiesa ortodossa ucraina».
Nella posizione russa non vi è alcun elemento di autocritica o di riconoscimento di qualche responsabilità nella guerra e nei suoi nefasti derivati.
Papa Francesco
Domenica 25 agosto è intervenuto anche papa Francesco. Dopo la recita dell’Angelus ha detto:
«Continuo a seguire con dolore i combattimenti in Ucraina e nella Federazione Russa, e pensando alle norme di legge adottate di recente in Ucraina mi sorge un timore per la libertà di chi prega, perché chi prega veramente prega sempre per tutti. Non si commette il male perché si prega. Se qualcuno commette un male contro il suo popolo sarà colpevole per questo; ma non può avere commesso il male perché ha pregato. E allora si lasci pregare chi vuole pregare in quella che considera la sua Chiesa. Per favore, non sia abolita direttamente o indirettamente nessuna Chiesa cristiana. Le Chiese non si toccano!».
Il commento del papa non entra nella struttura della legge e nei cinque punti sui quali si può sviluppare il giudizio dei tribunali, ma − come del resto aveva già fatto a favore della Lavra delle Grotte a Kiev lo scorso 15 marzo 2023 − si limita a un indirizzo di fondo.
Posizione coerente con quella del Consiglio ecumenico delle Chiese e non sovrapponibile ai proclami dei difensori d’ufficio del Russkij Mir. Ma di certo diversa da quella delle Chiese cattoliche in Ucraina.