L’altro Libano in Vaticano

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William Noun, fratello di Joe Noun, il pompiere morto nei soccorsi al porto di Beirut

La vera notizia che emerge dal Libano in queste ore è che lì non c’è soltanto Hezbollah, esiste anche l’altro Libano, quello non khomeinista né miliziano, ma radicato nella cultura cosmopolita di quella terra.

È quello rappresentato dalla delegazione che è arrivata proprio questa mattina in Vaticano per incontrare il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, poi Papa Francesco, e quindi partecipare nella cappella paolina alla celebrazione eucaristica a loro riservata e presieduta da Francesco.

Dopo ciò che è accaduto ieri nel loro Paese, questo gruppo di cristiani rappresenta anche le altre persone di diverse fedi che non accettano l’idea che il loro Paese esista in funzione di un disegno tutto miliziano, che riduce il plurale Libano soltanto alla sua propria voce e volontà.

Si tratta di una delegazione di parenti delle vittime dell’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto 2020. La principale infrastruttura del Paese è andata in fumo per un’esplosione quasi atomica, causando 240 morti, migliaia di feriti e un numero elevatissimo di sfollati dal quartiere cristiano di Jemmaizeh diventato inagibile.

Da allora il magistrato competente è stato nella sostanza impedito dal governo di svolgere le indagini, gli inquisiti, tra i quali molti ministri, lo hanno spesso ricusato. Tutto è insabbiato. Fu un enorme deposito clandestino di esplosivo, presente contro ogni legge nel porto commerciale informalmente ma notoriamente controllato da Hezbollah, a causare l’esplosione.

Tutto è accaduto proprio nelle ore in cui il Tribunale Internazionale doveva pronunciare la sentenza di condanna di alcuni miliziani di Hezbollah per l’assassinio dell’ex primo ministro, il sunnita Rafiq Hariri. E proprio Hezbollah è stata la principale forza di ostacolo alle indagini e di minaccia ai parenti delle vittime.

La visita ha sapore esclusivamente pastorale e di vicinanza al dolore rimosso dei parenti delle vittime. Ma il contesto nel quale si verifica costituisce una tribuna importantissima per quel Libano che non riesce a trovare voce. Quanto accaduto ieri conferma per l’ennesima volta che Hezbollah ha confiscato la politica nazionale di difesa del Libano, il cui governo non ha svolto alcun ruolo negli accadimenti.

Hezbollah

Era l’alba di ieri quando Israele, provocando pochi danni ai civili, ha prevenuto la vendetta di Hezbollah per l’assassinio di un suo capo militare, Shukr, ucciso con un missile in una palazzina di Beirut sud, insieme ad alcuni civili. Israele ha centrato molte postazioni di lancio nemiche. Poco dopo Hezbollah ha annunciato che si trattava solo della prima fase della «vendetta», ritenuta legittima perché il nemico aveva colpito in un’area civile e perché l’organizzazione miliziana nega che Shukr abbia ordito il lancio che colpì dei bambini drusi che giocavano a pallone nel Golan annesso da Israele. Il partito ha parlato di un errore.

Dunque, proseguiva il comunicato di ieri, a questa prima fase della vendetta ne seguiranno altre due. Ma ieri sera, in un discorso televisivo, il capo di Hezbollah Hasan Nasrallah, al termine di un rocambolesco tentativo di presentare l’azione come un successo, ha detto tre cose importanti: l’aver preso tempo è stato un vantaggio per la resistenza, perché ha stressato il nemico; e poi ha aggiunto che se i risultati militari conseguiti saranno giudicati positivi la vendetta si concluderebbe qui.

Dunque le altre due fasi sono scomparse, e sebbene il premier Netanyahu abbia detto che invece per lui non finisce qui, fonti diplomatiche informate citate dalla stampa israeliana dicono che la questione è chiusa per entrambi. Ma bisogna capire perché, contraddicendosi, Nasrallah abbia detto anche di aver aspettato fino ad oggi per dare tempo al negoziato per il cessate il fuoco a Gaza di produrre un risultato positivo. Poi con le nuove richieste avanzate da Israele, ha aggiunto, è diventato chiaro che non ci sarà accordo e quindi lui ha deciso di agire. Ma non aveva aspettato per stressare il nemico?

I palestinesi con le azioni di Hezbollah sembrano entrarci sempre meno. E inoltre anche l’Iran deve ancora compiere la sua annunciata «vendetta» per l’assassinio dell’allora capo di Hamas, Ismail Hanyeh, ucciso mentre era in visita ufficiale a Tehran il 31 luglio scorso. Ma sebbene ogni giorno qualcuno ribadisca che la vendetta di Tehran è imminente, qualcun altro fa presente anche che bisogna dare tempo al negoziato, attendere. Tehran non ha fretta di mettersi nei guai, dicono molti. E l’attesa, sembra il vero risultato dei negoziati per Gaza. Ci sarebbero progressi, dicono alcuni, ma non esiti.

Tornando al discorso Nasrallah va detto che non ha mai citato il Libano, i Libanesi; ha citato però l’Iran e i suoi alleati dell’asse della resistenza che comprende milizie khomeiniste in Iraq, Siria e Yemen. Sembra confiscata anche la politica estera del paese. Il resto del Libano non c’è.

Il resto del Libano

Ora però il resto del Paese si può vedere nella delegazione che arriva in Vaticano. Il suo simbolo è certamente William Noun, fratello di Joe Noun, il pompiere morto nel disperato tentativo di contenere le fiamme.

La storia del cammino del dialogo islamo-cristiano è cominciata a Beirut, con il Sinodo sul Libano voluto da Giovanni Paolo II, che nella sua esortazione apostolica post-sinodale scrisse: «Vorrei insistere sulla necessità per i cristiani del Libano di mantenere e rinsaldare i loro legami di solidarietà con il mondo arabo. Li invito a considerare il loro inserimento nella cultura araba, alla quale tanto hanno contribuito».

Fu una gran de novità, che ha portato ad altri documenti importanti e soprattutto al magistero di Francesco che ha cambiato molto nelle relazioni con l’Islam con lo storico documento di Abu Dhabi, nel quale si dice:

«La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano».

Questo Islam, incarnato dallo sceicco dell’Università Islamica del Cairo, Ahmad Tayyeb, cofirmatario con il papa, è l’opposto di quello incarnato dalla visione miliziana di Hezbollah, fatta di amici e nemici. E io credo che le vittime di Beirut, tutte le vittime, non solo quelle del porto, si riconoscano in pieno in quest’altra frase di quel documento:

«Il dialogo, la comprensione, la diffusione della cultura della tolleranza, dell’accettazione dell’altro e della convivenza tra gli esseri umani contribuirebbero notevolmente a ridurre molti problemi economici, sociali, politici e ambientali che assediano grande parte del genere umano».

Per questo l’incontro odierno è l’altra notizia che giunge da un Libano che non si arrende.

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