In una calda notte di fine luglio, Sharon cammina tranquilla per le strade del suo paese. È passata mezzanotte e lei è sola. Il suo compagno, a casa, dorme. Lui al mattino si sveglia presto per andare al lavoro, perciò la sera si corica prima. Lei invece aspetta che, con il buio, l’afa si stemperi un poco per uscire a fare due passi.
Mi basta questo per commuovermi profondamente. Non sono passati secoli da quando ero io una ragazza come Sharon. Ma quando ero io una ragazza, nel mio piccolo paese, le brave ragazze non uscivano da sole, e men che meno di notte.
Mi basta questo per misurare la libertà dello stare-nel-mondo che, come donne, almeno qui, in Italia, nei nostri piccoli paesi, abbiamo conquistato.
Penso ai passi tranquilli di Sharon nella notte, alle sue cuffiette nelle orecchie, alla musica che ascoltava. Ai suoi pensieri, ai suoi sogni. Alla libertà di una normalità che, soltanto ieri, era stranezza, malcostume, immoralità. Penso a Sharon e mi commuovo.
Poi penso al ragazzo che l’ha uccisa, alla violenza del suo gesto, così insensata e pure così ferocemente radicata in una modalità atavica di essere maschi che sembra non poter lasciare scampo a nessuno. Violenza, prepotenza, soprusi, abusi, superiorità, gerarchia, primato: la grammatica universale dei maschi di tutte le stirpi e di tutte le generazioni.
Una vita insoddisfatta, quella dell’assassino di Sharon, e tanta, tantissima rabbia dentro. E così, una ragazza che si permette la libertà di camminare da sola per strada nella notte diventa il facile innesco di una volontà di rivalsa, su tutto e su tutti, che non ha trovato altre strade per esprimersi.
Penso alla ferocia violenta e irragionevole del gesto dell’assassino di Sharon, e penso alla carica di violenza che, sottotraccia o in modo esplicito, è andata subito ad impastare i giudizi dei leghisti di turno, immediatamente pronti a sputare condanne chiedendo pene esemplari.
Da una parte, la libertà di una giovane donna, i suoi passi leggeri nella notte; dall’altra, la brutalità, nei gesti e nelle parole, di uno stereotipato e immutabile copione «al maschile».
Ma poi penso alle figure maschili che facevano parte della vita di Sharon, al suo compagno, a suo padre, a suo fratello. Penso alla loro compostezza, alla dignità del loro dolore, alla misura delle loro parole. Penso al modo con cui hanno attraversato i giorni dell’esposizione mediatica, della pressione dei giornalisti e dell’opinione pubblica. E mi commuovo, anche qui mi commuovo.
Ci sono anche altri modi di essere maschi, e gli uomini di Sharon ce lo hanno dimostrato.
Grazie, ne abbiamo bisogno.
Anch’io mi commuovo di fronte a questo male e la commozione deriva da tante fonti . Ad esempio dalle parole di Gesù , presenti nel passo di Mc di ieri, con le quali avverte che il male proviene non dall’esterno ma dall’ interno dell’uomo.
Dostojevsky ha sviluppato questi versetti in “Delitto e castigo “ e nei “Demoni”.
Quanto di tutto ciò la furia di questo giovane richiama alla memoria?
Durante le vacanze estive nelle località di mare del Mediterraneo mi è capitato più volte di vedere ragazze che indossano la T-shits con la scritta “Good girls go to Heaven, bad girls everywhere” – le brave ragazze vanno in paradiso , le altre dappertutto. Le ragazze celebrano così la loro conquistata libertà di camminare, muoversi, viaggiare e andare ovunque da sole … anche loro mi commuovono. Limitare la libertà di movimento delle donne è la strategia di controllo dei guardiani della rivoluzione in Iran. Che la promessa del Paradiso per le “brave” ragazze centri un po’ anche con la nostra cultura patriarcale autoctona?
Gentilissima, le sono grato per lo spazio volutamente dedicato agli «altri maschi»: quelli che non sono né lupi, né pecore. Come altri miei colleghi storici, nel corso delle mie ricerche sulla giustizia ecclesiastica in ambito familiare negli archivi storici diocesani mi sono imbattuto in una documentazione orripilante e disgustosa sulle pratiche di violenza endofamiliare da parte maschile. A causa del mio vissuto infantile questa violenza non mi era ignota, ma rimasi davvero sconvolto per la sua «facilità», per i suoi eccessi inenarrabili, per le sue dimensioni di massa, per la sua trasversalità sociale e culturale. Da rimanere davvero disperati sui destini delle femmine e dei maschi. Poi, a una lettura più puntuale dei documenti anche da quelle orride carte cominciarono ad emergere anche loro: padri, fratelli, parenti, vicini, datori di lavoro, che accoglievano e sostenevano queste donne ferite nel corpo e nella dignità e che trovavano il coraggio di presentarsi davanti al tribunale vescovile per rendere quelle testimonianze che consentivano ai giudici ecclesiastici di pronunciare le sentenze di separazione «di letto e di mensa». Questi altri maschi sono sempre esistiti e – ho l’impressione, ma soprattutto voglio sperarlo – grazie alla rivoluzione femminista negli ultimi decenni sono anche aumentati numericamente. Grazie ancora.