L’Italia è un Paese di immigrazione, e non da oggi. Alla data del 1° gennaio 2024 risiedevano, da dati ISTAT, 59 milioni di persone, di cui 5,3 milioni, il 9%, straniere (o, meglio, italiane prive della cittadinanza italiana), che superano i 7 milioni[1] se sommiamo anche chi ha già acquisito la cittadinanza italiana.
La cittadinanza italiana è la condizione per la partecipazione, attiva e passiva, al processo politico e amministrativo (con l’eccezione dei cittadini comunitari), sicché nel corpo elettorale, che è costituito da 46,5 milioni di persone (dati del Ministero dell’Interno, esclusi gli iscritti all’estero), non sono rappresentate ben 4,3 milioni di persone.
La divergenza tra chi può votare e chi non può è ancora più ampia se analizzata in rapporto alla scala della Lombardia e del comune di Brescia. In Lombardia, a fronte di 8,5 milioni di residenti maggiorenni si contano 7,6 milioni di elettori (escludendo gli iscritti all’estero). I nuovi italiani con cittadinanza sono 430 mila, mentre 950 mila (pari all’11%) sono le persone prive di cittadinanza, che non votano né si possono candidare.
Candidati immigrati
Nonostante i dati mostrino che i nuovi italiani costituiscono un bacino elettorale quantitativamente rilevante, non risulta che i partiti abbiano colto questa opportunità. Nelle elezioni regionali lombarde del 2023 (dati del ministero dell’Interno) su 959 candidati solo 16 (di cui 3 nati in Italia) avevano un retroterra migratorio non UE: un misero 1,7%. Per la quasi totalità si trattava di donne, 15 su 16; metà era inserita nelle liste di centro sinistra e 3 nelle liste di centro destra.
Tuttavia, due casi offrono una lettura iniziale. Il primo riguarda la candidatura (lista del PD della provincia di Brescia) di una donna nata in Somalia: 1.388 le preferenze raccolte, pari all’1,6% dei voti della lista. Si tratta di una scelta che non mira all’elettorato comunitario (i somali bresciani sono 102) ma che costituisce un passaggio di un percorso di valorizzazione di un’attivista: la candidata è consigliera comunale. Una scelta del partito per proporre, anche, un messaggio di inclusività.
La seconda vicenda riguarda un candidato indiano (Lista Moratti della Provincia di Brescia) che ha raccolto 1.628 preferenze su 14.744 voti della lista, pari all’11%. Le preferenze sono concentrate nella pianura bresciana (terra di allevamenti) dove raggiungono punte del 36% rispetto ai voti di lista, e dove è radicata la comunità indiana (che conta 14.442 persone a Brescia). Una scelta in grado di intercettare, quasi, solo un elettorato della comunità.
Brescia, caso emblematico
Veniamo al comune di Brescia. Su un corpo elettorale che conta 140.000 iscritti (sempre esclusi gli iscritti all’estero) i nuovi italiani con cittadinanza sono 15.000, mentre 30.000 sono quelli privi di cittadinanza (il 20%).
Nelle elezioni comunali del 2023 su 493 candidati, 28 (di cui 17 maschi) avevano retroterra migratorio extra UE, per altro da 14 paesi diversi tra cui 4 dal Pakistan e 3 rispettivamente da Egitto, Ghana e India, 1 da Albania, 1 palestinese israeliano. Di queste 28 candidature, 15 erano nelle liste del centro sinistra (3 eletti, Ghana, Palestina, Pakistan) e 10 del centro destra (1 eletto, India-Sikh).
Brescia anticipa le tendenze future, ma ciò avviene sia per un elemento oggettivo (il peso demografico dei nuovi italiani e l’avanzamento nel percorso della cittadinanza), sia per una strategia delle istituzioni locali.
Un ruolo chiave l’ha avuta l’istituzione dei Consigli di Quartiere, organismi comunali di partecipazione a composizione elettiva, con liste aperte senza vincoli di cittadinanza ed età (dai 16 anni in poi): nel 2018 su 243 candidati 14 erano nuovi italiani (8 pakistani), mentre nel 2024 su 429 candidati, 42 erano nuovi italiani (15 con retroterra pakistano e 7 indiano).
Proprio la vicenda bresciana permette di chiudere con alcune considerazioni. Le comunità dei nuovi italiani hanno un diverso approccio alla partecipazione politica: mentre alcune (in primis, la comunità pakistana e indiana) sono in grado di esprimere una pluralità di rappresentanti, e forse di voci, altre sono ancora lontane dall’avere costruito una propria rappresentanza politica (ad esempio la comunità rumena, albanese, cinese o marocchina, che sono, per altro, le più consistenti).
Il tema precedente si allaccia al convincimento che la nascita di un ceto politico che rappresenti direttamente le istanze delle comunità dei nuovi italiani sia vantaggioso: per il dibattito pubblico, per l’individuazione e soluzione di problemi e per le opportunità che genera. Ciò non avviene in modo necessario e spontaneo, ma è un processo in cui le istituzioni locali possono avere un ruolo imprescindibile: di cui, per altro, tutti i partiti si sono resi conto.
Esperienza amministrativa e crescita democratica
«Quello che hanno costruito i nostri padri non è più sufficiente. Ci siamo resi conto che, se non si è parte del sistema e se non se ne condividono i meccanismi, se non si diventa protagonisti, non si hanno possibilità di cambiare le cose. Ci si deve mettere in gioco, non ci sono più alibi. Lo si deve fare non solo per la propria comunità di origine, ma per la comunità tutta composta da chi vive in Italia da sempre e da neocittadini che italiani lo sono da nemmeno una generazione. Lo si deve, anche, per tutti coloro che sono italiani di fatto ma che non godono ancora di diritti fondamentali, come quello di voto alle elezioni amministrative e politiche, perché privi di cittadinanza».
Raisa Labaran, padre nigeriano e madre ghanese, è la prima donna figlia di immigrati a essere salita dalla splendida scala rinascimentale di palazzo Loggia, a Brescia, sede del governo della città, grazie ai voti dei bresciani che l’hanno eletta consigliera comunale nella lista civica a sostegno di Laura Castelletti sindaco.
Con lei, alle elezioni amministrative del maggio 2023, sono state elette altre tre persone di nazionalità non italiana (in totale, tre consiglieri di maggioranza e uno di opposizione nella consiliatura con Castelletti sindaca).
Quattro storie differenti, espressione di diversi elettorati di una città in cui la presenza migratoria è giunta ormai alla terza generazione: c’è chi, tra gli eletti, è percepito come italiano a tutti gli effetti, pur se di origine straniera; chi è fortemente rappresentativo delle istanze della sua comunità di origine e di appartenenza e chi, invece, vive questa nuova esperienza politico-amministrativa consapevole di essere riferimento di una realtà complessa.
Raisa si riconosce in questa terza distinzione:
«Sono musulmana e indosso il velo e questo, forse, per chi non mi conosce, potrebbe rappresentare un freno, alimentare un pregiudizio. Basta un passo, poco davvero, per sgombrare il terreno da qualsiasi malinteso e far capire che il lavoro viene svolto per il bene della collettività che, oggi, è composta da molte persone. Sono consapevole che in questa fase ciascuno è utile, anche chi è stato eletto dai voti dei suoi connazionali e a loro pensa quando agisce all’interno della cosa pubblica. Credo, tuttavia, che si tratti di una fase transitoria. Lo deve essere. L’obiettivo – il mio pensiero va al sindaco di Londra Sadiq Aman Khan – è che tutti possano concorrere per amministrare la cosa pubblica. Ciascuno con un background diverso, ma accomunati dalla volontà di rappresentare tutti i bresciani».
Raisa ricorda i suoi genitori: pensa al padre, emigrato dalla Nigeria nel 1983, alle molte assemblee sindacali alle quali, ancora bambina, ha partecipato insieme a lui. Luoghi in cui gli immigrati cercavano il linguaggio e la strada per rivendicare i loro diritti. Ricorda, nell’ultimo decennio del secolo scorso, il coraggio dei senegalesi che scendevano in strada, manifestavano, occupavano i luoghi del potere.
«Noi prendevamo coraggio da loro. Allora le rivendicazioni erano per il permesso di soggiorno e la casa. Erano temi discussi quasi solo da uomini. Le donne, i figli, la famiglia, sono arrivati dopo. Con la responsabilità privata, di cui farsi direttamente carico, sono cambiate anche le modalità di partecipazione pubblica».
Non è facile, ma partecipiamo
Pubblico e privato si sono differenziati e hanno dato inizio a un altro capitolo della storia migratoria bresciana. Un capitolo di mezzo tra le vecchie lotte sindacali al maschile e la presenza nelle istituzioni iniziata dapprima a livello di quartiere dove non serviva avere la cittadinanza italiana, poi nell’impegno politico attivo e passivo a sostegno dei candidati a guidare la città.
La partecipazione alla gestione della cosa pubblica, in questo periodo, è stata più sfumata. Torna protagonista dal 2001, soprattutto nella comunità musulmana, in seguito alla tragedia delle Torri Gemelle. La visibilità politica e amministrativa è maturata, lentamente, spesso in modo ancora acerbo, ma negli ultimi due decenni ha compiuto passi significativi con l’elezione di nuovi cittadini nei consigli comunali.
«Si è sentito il bisogno di riproporsi − ha detto ancora Raisa − sia per rivendicare i diritti dei nostri coetanei autoctoni, sia per sollevare il velo su quanto accade ai nuovi migranti in una fase di chiusura e di ritorno al passato. Non è facile. Noi partecipiamo anche se ci sentiamo compressi tra la vecchia guardia, stanca di combattere, e i nuovi che vengono inseriti in un sistema di accoglienza che, seppur ridotto all’osso, dà loro l’illusione di avere delle opportunità».
In questo quadro, la costruzione di una città inclusiva non può più basarsi sull’improvvisazione. Le seconde e terze generazioni hanno gli strumenti per condividere le responsabilità di amministrare una città importante e complessa qual è quella di Brescia. «Stiamo creando una rete, a livello nazionale, tra chi è presente come consigliere o come assessore in grandi città, perché siamo consapevoli di partire con alcuni svantaggi. Siamo nella fase in cui dobbiamo dimostrare di essere capaci e affidabili nell’onorare gli impegni assunti con i cittadini», conclude Raisa.
Marco Trentini, già dirigente dell’Ufficio Statistica e dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Brescia fino al dicembre 2023, è attualmente cultore di demografia e statistica sociale presso l’Università degli Studi di Brescia come Ricercatore Indipendente. Anna Della Moretta, è giornalista, ha lavorato per il Giornale di Brescia con particolare impegno sulla Sanità, le Migrazioni, il Dialogo interreligioso e i temi inerenti il Terzo Settore. È autrice di molte pubblicazioni in materia.
[1] Conto da prendere con le pinze e grezzo, perché chi acquisisce la cittadinanza italiana non è detto che poi rimanga nel paese, o, piuttosto, emigri in un altro stato della UE.
Quando questi “nuovi italiani” (e le “nuove italiane” col velo in testa, io ne ho viste addirittura con burka) saranno la maggioranza, voteranno NO a tutte le leggi contrarie all’islam, imponendo di fatto la loro religione e le loro leggi. Nessuno sembra tenerne conto, evidentemente.
Ma perché le donne con il velo le dici “nuove” ? Se il velo è un indumento prettamente romano. Ma De virginibus velandis chi lo ha scritto Maometto ? Sant’Agostino oppure San Paolo li conosci ? Gli affreschi o i mosaici romani che ritraggono le femmine velate li vedi?
Forse le “nuove” sono quelle che girano seminude adesso. Altrimenti la dottrina dell’islam è la tradizione che ancora più riporta le indicazioni sacre dei libri e dei padri della chiesa anteriori alla venuta stessa dell’islam. Seppure, sia inteso, le modifiche e gli adeguamenti debbono seguire in parallelo il modificare dei tempi.