Cina: la brezza e il tuono

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Un vento leggero a favore dei rapporti fra Cina e Santa Sede si combina con il tuono delle preoccupazioni relative alla “sinizzazione” delle fedi e al controllo ossessivo delle libertà civili.

I segnali del funzionamento dell’accordo Santa Sede–Cina a proposito della nomina dei vescovi trovano conferma nelle tre nomine avvenute a gennaio 2024 e nel trasferimento, concordato con il Vaticano, di mons. Giuseppe Yang Yongquiang alla sede di Zhuocun. Correggendo in qualche maniera lo spostamento senza permesso romano di mons. Giuseppe Shen Bin a Shanghai.

Ma soprattutto nel riconoscimento legale di mons. Melchiorre Shi Houghzen come vescovo di Tianjin. A 95 anni, dopo 32 anni di episcopato “sotterraneo”, mons. Shi è stato formalmente riconosciuto in una cerimonia avvenuta in una sala di albergo della città con la presenza del vescovo di Pechino, Giuseppe Li Shan, presidente dell’Associazione patriottica cattolica, e delle autorità politiche.

Cerimonia laica, a indicare che l’elezione e l’ordinazione erano precedenti; testimoniate dal dono che mons. Claudio Celli gli aveva portato due anni fa da parte del papa: una croce pettorale. È la prima volta che un vescovo “illegale” entra in carica senza transitare per vie traverse come vescovo ausiliare di un “patriottico” o similari.

Anche se rimangono domande residuali circa la formulazione del giuramento di fedeltà alla Costituzione e alla “sinizzazione”.

Asia News ha fatto notare anche la persistente assenza della nomina di un ausiliare, particolarmente urgente per un uomo di quell’età.

Fresco come un novantacinquenne

Il vento favorevole ha diverse altre conferme: la telefonata che il rappresentante speciale del governo per gli affari euro-asiatici, Li Hiu, ha avuto con il card. Matteo Zuppi (si erano incontrati l’anno scorso a Pechino), o il viaggio di giornalisti e accademici (Giovanni Valente, Stefania Valasca, don Andrea Toniolo e altri) nel luglio scorso e l’intervista del papa con P. Chia, direttore dell’ufficio stampa della provincia cinese della Compagnia di Gesù.

Ma sono indicativi anche i quattro convegni sul tema della Chiesa cinese e del pensiero cristiano avvenuti in questi mesi: a Milano e Roma, organizzati dall’Università Cattolica e dall’Università Urbaniana, a Macao (Università di Saint Jospeh) e a Huazhong sulla figura di Tommaso d’Aquino.

Di particolare autorevolezza è stato il convegno all’Urbaniana il 21 maggio scorso. Il videomessaggio del papa, la presenza del vescovo di Shanghai, di prestigiosi accademici cinesi, e gli interventi dei cardd. P. Parolin e L. Tagle hanno trasformato la memoria del primo concilio locale cinese, avvenuto a Shanghai (1924), in un orientamento per l’attualità e il futuro della Chiesa locale.

È stata in particolare sottolineata la volontà del delegato apostolico, mons. Celso Costantini, di liberare la Chiesa locale dall’abbraccio delle potenze coloniali, di dare pieno riconoscimento alla generosità evangelizzante dei missionari e di affidare ruoli di governo e di indirizzo a preti e laici cinesi. Sulla base degli orientamenti della lettera apostolica di Benedetto XV, Maximum illud.

In quella sede, mons. Shen Bin (Shangahi) ha addebitato le difficoltà della Chiesa cinese ai condizionamenti della tradizione occidentale, difendendo la politica del governo cinese e denunciando l’intenzione di molti di cambiare la società e la cultura cinesi.

A questo impianto hanno reagito, al di fuori del convegno, figure come Wolfgang Huber, direttore generale del China Center dei missionari Steyer, e p. Gianni Criveller del PIME.

Il primo ha ricordato il peso di controllo e di soffocamento in atto dall’indirizzo di “sinizzazione” voluto dal governo cinese: «Anche i vescovi, sacerdoti e religiosi, ufficialmente registrati devono seguire in tutto le decisioni e le innumerevoli norme dell’ufficio religioso statale».

P. Criveller ha notato: «Ora non è più il nazionalismo delle potenze europee a minacciare la libertà della Chiesa in Cina, ma piuttosto il nazionalismo inculcato dalle autorità politiche attraverso la prassi della “sinizzazione”. La politica religiosa ad essa ispirata governa in modo invasivo e pervasivo ogni aspetto della vita delle comunità e degli organismi ecclesiali».

La riduzione dello spazio di libertà è evidente anche in sede civile, in particolare a Hong Kong, con la nuova legge di sicurezza approvata nel marzo scorso.

Un ufficio a Pechino

Rimane la funzione limitata ma preziosa dell’accordo Sino-Vaticano che è un segnale in contro-tendenza da non spegnere e da non sottovalutare. Firmato nel 2018, e rinnovato nel 2020 e nel 2022, andrà a conferma nell’ottobre di quest’anno.

Secondo alcuni potrebbe diventare definitivo e permanente, ma le condizioni non sembrano favorire questa conclusione. Come ha ricordato Paul Richer Gallagher della Segreteria di stato, vi sono ancora margini di miglioramento da ottenere.

E il segretario di stato, card. Parolin, ha aggiunto: «Auspichiamo da tanto tempo di poter avere una presenza stabile in Cina, anche se potrebbe non avere all’inizio la forma di una rappresentanza pontificia, di una nunziatura apostolica. Il nostro scopo e aumentare e approfondire i nostri contatti: la forma può essere diversa».

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