Uno dei più noti siti israeliani in lingua inglese, The Times of Israel, ha offerto una delle più efficaci rappresentazioni della posizione del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, dello stesso partito di Netanyahu, ma che sarebbe giunto ad accusare il premier con le parole più dure di tutti, anche di quelle dei parenti degli ostaggi.
Come si spiega un conflitto del genere? L’articolo è molto lungo e dettagliato e questo è probabilmente il punto che riassume meglio la linea sostenuta da Gallant e i rischi che egli attribuisce a quella scelta dal premier e dai ministri a lui fedeli: «Gallant ha tentato di dire al gabinetto di sicurezza la scorsa settimana che Israele si trova a un bivio strategico. Seguendo una strada, un accordo tra ostaggi e cessate il fuoco potrebbe consentire il rilascio di alcuni o addirittura di molti ostaggi e l’inizio della guarigione nazionale dopo il 7 ottobre. Potrebbe portare alla calma nel nord – anche se Hezbollah dovrà essere affrontato prima o poi. E potrebbe riaprire la strada a un’alleanza regionale e internazionale per sconfiggere un regime iraniano che è allo stesso tempo immensamente pericoloso ma anche altamente vulnerabile. Seguendo l’altra strada, l’accordo salta, gli ostaggi muoiono e l’IDF rimane trincerato a Gaza per il prossimo futuro, con perdite di truppe, mentre Israele diventa gradualmente l’amministrazione militare e civile della Striscia. Il nord rimane inabitabile. Il terrorismo si intensifica. La crisi economica si aggrava. L’amarezza e la rabbia interna crescono. Un numero maggiore di israeliani che possono andarsene lo fa».
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Si capisce così quanto sia profonda la frattura e si capisce anche che le ondeggianti dichiarazioni che vengono riferite dai grandi media internazionali sulle affermazioni di Netanyahu (che si è tornato a dire ufficialmente determinato a restare comunque sul corridoio Filadelfia, e quanto fa filtrare il mediatore Qatar, secondo cui il premier avrebbe offerto la disponibilità al ritiro ma nella seconda fase dell’accordo sul cessate il fuoco) vanno prese con estrema circospezione. Questa seconda ipotesi è stata avvalorata (indirettamente) anche da uno strettissimo collaboratore del premier israeliano. Ma dove si sia realmente oggi è difficile dirlo.
Ma non c’è solo Israele. Ora è la stessa Arabia Saudita, il terminale della possibile distensione regionale con lo stesso Netanyahu, a criticare ufficialmente il premier. Dopo che Netanyahu ha ribadito la sua posizione sul corridoio Filadelfia l’Arabia Saudita ha fatto sapere che respinge «i futili tentativi di giustificare le continue violazioni israeliane delle leggi e delle norme internazionali, affermando la propria solidarietà e il proprio sostegno alla sorella Repubblica Araba d’Egitto nell’affrontare queste accuse israeliane» – ha dichiarato il ministero degli esteri saudita. La posizione come si vede non è di sostegno ad Hamas, certamente invisa per tantissimi motivi dai sauditi, ma all’Egitto, che si trova i propri protocolli internazionali modificati.
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Tutto questo fa passare in secondo piano la rilevantissima disputa che è sopraggiunta a separare il temuto Iran dall’alleata Russia. La disputa tra i due riguarda il corridoio di Zangezur, un collegamento mercantile che connetterebbe l’Azerbaijan con il suo enclave in territorio armeno, ponendo un rilevante problema all’Iran.
La questione è rilevante, Tehran ha emesso un comunicato ufficiale al riguardo. Putin ha offerto garanzie all’Azerbaijan in merito, innervosendo non poco l’Iran, direttamente coinvolto e ostile al progetto per suoi interessi nella regione. Una notizia che sarebbe rilevante, visti i timori di molti per i buoni rapporti tra Russia e Iran.