Il 16 febbraio il parlamento francese approva in via definitiva una legge che estende il reato di ostacolo all’interruzione volontaria di gravidanza ai siti web che vogliono – subdolamente, per il legislatore – offrire alle donne alternative all’aborto. I vescovi si sono pronunciati contro. Abbiamo chiesto un parere a Hugues Derycke, prete della Missione di Francia.
A cinquant’anni dalla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG), che ha legalizzato l’aborto in Francia, la questione resta sensibile. Il dibattito si è riacceso in occasione di una recente disposizione legale che interessa i siti di informazione relativi all’aborto.
Si scontrano due posizioni. Al centro c’è la libertà di coscienza e il possibile chiarimento circa la decisione abortiva. Il tema della laicità riappare ogni volta che si mette in esercizio la libertà di coscienza. La discussione corre il rischio dell’intransigenza su due lati.
Per la laicità radicale è necessario sradicare ogni interrogativo morale circa la possibilità dell’aborto. All’opposto, per un cattolicesimo intransigente, si tratta di indurre una decisione anti-abortiva sotto il manto di un sito d’informazione. La legge vorrebbe smascherare i siti, i più immediatamente e abilmente presenti sui motori di ricerca, che istruiscono una forma di “costrizione” per rifiutare l’aborto. Sarà necessario “smussare” la presentazione su tali siti: e traduco in questa maniera la lettura che di essi fanno i sostenitori della banalizzazione totale dell’aborto, anch’essi con posizioni non omogenee. Tuttavia, l’ambiguità è parsa sufficiente al legislatore per una possibile condanna di queste pratiche informative.
La Conferenza episcopale si è pronunciata contro l’interdizione ai siti richiamati. L’attuale governo, alla fine del suo mandato, ci teneva ad affermare il rafforzamento della libertà di abortire, come un risultato da mettere al suo attivo.
Più radicalmente è la profondità del dibattito morale sull’inizio-vita che appare all’orizzonte. La nostra modernità ci spinge a dare maggiore spessore alla nozione di inizio come di fine-vita. Una questione di coscienza, un’interpellanza al proprio libero arbitrio sono la premessa perché la coscienza morale possa impegnarsi nel caso di una decisione grave che tocchi la vita di altri.
La situazione attuale rende l’aborto una possibilità legale e una pratica sicura, mentre la morale cattolica lo indica come condannabile e peccaminoso.
Si può, in nome di una concezione estrema della libertà, proibire ogni informazione, ogni sollecitazione morale su un atto che non può essere totalmente banalizzato, anche riconoscendo la legittimità della sua legalizzazione nella società? Si può, in nome di un cattolicesimo intransigente, spingere all’obbligo di una decisione anti-abortiva? Ci sarebbe qui un rischio, per il cristianesimo, di contraddire il carattere inviolabile della coscienza umana ove ciascuno è solo con se stesso e, per il credente, solo davanti a Dio.
Il concilio Vaticano II evoca la «dignità della coscienza morale» nella costituzione Gaudium et spes. «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria». «Tuttavia, succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene» (n. 16, EV 1,1369). La questione è ancora lì: rifiuto di trasformare un atto grave e libero in una semplice pratica, rifiuto di un tipo d’informazione che lede la libertà della persona, responsabile finale di un atto che la società giudica come legale.
L’aborto è molto peggio di un omicidio: è un vero e proprio sacrificio umano; la vita dell’innocente in cambio della tranquillità economica, psicologica e sociale della donna che lo commette. C’è dietro un grande inganno di Satana e, guarda un po’, ancora la Francia di mezzo: da nazione primogenita della Chiesa si è trasformata in avanguardia dell’inferno.