È dello scorso anno la presentazione su SettimanaNews del libro di Basilio di Iviron Incontri con un monaco del Monte Athos. Quest’anno, Antonio Ranzolin, appassionato cultore della spiritualità e della teologia orientale, ha tradotto per noi, dello stesso autore, Canto d’ingresso, un testo che ci introduce al tema, o meglio al “mistero”, dell’unità della e nella Chiesa.
Basilio di Iviron (o Vasilio Gondikakis) – lo ricordiamo – è cretese, 88 anni, studi ad Atene e Lione, dapprima eremita e poi monaco nel monastero di Stavronikíta (Monte Athos), dal 1990 al 2005 superiore del celebre monastero athonita di Iviron, vive ora in solitudine. È autore di libri tradotti in varie lingue.
L’avvio della nostra recensione ce lo suggerisce la Premessa all’edizione italiana firmata da Antonio Ranzolin dove si legge: «Un “altro” universo affiora in questo libro. Un’“altra” esperienza e concezione. Della teologia. Della liturgia. Dell’icona. Della spiritualità. Della Chiesa». Ed è proprio così. Il lettore occidentale, abituato al ragionamento, alla logica, alla sistematicità… resta spiazzato leggendo queste pagine. Abituato all’analisi, faticherà a capire che l’“unità” è un tutto, una grazia che il Diouomo ha portato nel mondo, nella quale tutto confluisce armonicamente: teologia, spiritualità, liturgia, ascesi, santità, linguaggio delle icone…
Scrive Basilio: «Ogni cosa è illuminata dalla grazia trinitaria. Ogni cosa convive e si incorpora nel tutto, organicamente… Quando un ortodosso si interroga sul tema dell’unità, la sua mente non va a qualcosa di umano e di chiuso, ma a qualcosa di sconfinato e divino».
Luogo privilegiato di questa esperienza di fede e di Chiesa è la liturgia: «Non sono concepibili fede ortodossa e teologia fuori dello spazio della divina liturgia… La divina liturgia diviene il luogo teologico dove tutte le cose si incontrano. Fuori del suo calore, tutte le cose sono sconosciute, gelide, isolate».
Di particolare interesse, per i cattolici, le pagine che Basilio dedica al primato del romano pontefice e al “dogma dell’infallibilità”. «Ciò per cui si vanta il Vaticano – l’infallibilità – costituisce una disgrazia per la Chiesa, una malattia per la morte» e ciò perché «il centro della Chiesa non si trova in “qualche luogo” geografico o amministrativo, ma in un “come” trinitario».
Secondo Basilio, questo “dogma” disarticola l’intero corpo ecclesiale, mina la sua unità, lo costringe alla paralisi. L’infallibilità così concepita è un errore che nasce da uno spirito mondano. E non ci sono i sintomi che qualcosa cambierà, perché anche nel Vaticano II, nonostante i mutamenti e gli aggiornamenti, «l’infallibilità è rimasta totalmente intatta», anzi si è dilatata anche alle decisioni non “ex cathedra”.
Le conseguenze? «Il cristianesimo papale soccomberà a una crisi interna». Perché? Perché, «in un’impenetrabile casta di governo, è racchiusa una moltitudine di punti di vista eterogenei».
Basilio torna poi sulla questione dell’infallibilità, definendola «un tumore maligno» e la «sfrontatezza di tutte le eresie», tanto che «i teologi ortodossi non vedono differire radicalmente il cattolicesimo romano dalle ramificazioni protestanti». Il dialogo con Roma si infrange contro questo scoglio. «Se l’Ortodossia lo accettasse – conclude Basilio –, cesserebbe di esistere».
Fin qui, Basilio. Ma un’ampia Appendice conclude il libro ospitando tre scritti.
Il primo si intitola L’abba Isacco il Siro. Un approccio al suo mondo. Di lui si dice che «ha vissuto la grazia dell’incarnazione in tutto il suo corpo» e che «è asceso al paradiso della deificazione con tutto il suo essere». Nei suoi scritti scopriamo il suo cammino interiore e, attraverso le sue sentenze, in cui parla di lotta, tentazione, fatica, Spirito Santo, umiltà…, è diventato maestro di ascesi per molti. «Leggi una pagina, una frase o una riga e non puoi procedere oltre… Trovi conforto nello stesso istante in cui egli interamente ti brucia… Ti spalanca nuovi mondi con altra aria e luce».
Il secondo scritto è un Commento teologico agli affreschi del sacro monastero di Stavronikíta, occasione unica per parlare delle icone. L’accademico, che ha descritto nel dettaglio le icone del cretese Teofane dipinte nel monastero, ha dichiarato: «L’icona non aiuta semplicemente la memoria ad immaginare gli eventi antichi o le persone passate, ma crea e impone una percezione di presenza… L’icona è afona e parla. Hai davanti a te la persona rappresentata. Ti unisci a lei. La trovi, la incontri, la baci con le labbra, con gli occhi, col cuore». L’iconografo esercita un ministero sacro, è un asceta, diventa “strumento dello Spirito”. L’icona da lui dipinta, dopo aver digiunato e pregato, diventa «causa di santificazione».
Piuttosto sorprendente il terzo brano dell’Appendice che accoglie le riflessioni di un medico su La salute che vince la morte. Dopo il richiamo a Ippocrate ad esercitare la professione «castamente e santamente», egli parla ai suoi colleghi medici: «Entrate con rispetto nella casa dell’altro, nella sua vita privata, nella sua anima, nel suo corpo, nella sua storia, nella sua debolezza e nella sua speranza». Soprattutto davanti alla morte del paziente, il medico che ha fede deve pensare non ad una sconfitta, ma all’ingresso nella vera vita per merito di Colui che ha vinto la morte.
Giunti al termine della lettura di tutti questi contributi, ci si sente spiritualmente arricchiti. I concetti sono densi e le riflessioni sono costantemente impreziosite dal riferimento ai grandi maestri della tradizione ortodossa.
Ancora una volta, diamo merito alla Asterios, coraggiosa editrice triestina, nel farci dono della ricchezza di questi scritti che altrimenti rimarrebbero sconosciuti. E ad Antonio Ranzolin, per l’eccellente traduzione dei testi e per la cura delle numerose note.
Basilio di Iviron, Canto d’ingresso, Il mistero dell’unità, Traduzione dal greco di Antonio Ranzolin, Asterios Editore, Trieste 2024, pp. 265, € 23,00.
Ritengo che il papato come si è venuto a formare in occidente sia una sciagura per tuti anche per l’ortodossia. In un certo senso il papato assolutistico in declino e l’assenza di un papato trinitario (idea relazionale nell’amore) colpisce anche la chiesa ortodossa che senza una guida sufficientemente carismatica rischia di deragliare fra mille divisioni.
Interessante riflessione del monaco athonita, ma mi sia permesso di esprimere un certo disagio di fronte alla critica alla Chiesa latina e al primato papale. Si tratta (mi sembra) della riproposizione delle tradizionali tesi che circolano nel mondo ortodosso da almeno otto secoli. Per i cattolici fa certo bene tenerle presenti anche per approfondire il dialogo ecumenico, ma profetizzare sciagure e distruzione per la Chiesa latina a causa della centralità del Papato (e non del Vaticano, termine improprio per indicare la sede romana), mi sembra francamente eccessivo e anche un po’ offensivo nei confronti dei cattolici. E poi a dirla tutta non è che negli ultimi anni il mondo ortodosso stia brillando quanto a relazione di “Comunione” al proprio interno…