Medio Oriente: religioni, tra guerra e pace

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C’è un’ipotesi nuova che si affaccia in Medio Oriente. Il discorso pronunciato sabato dalla guida suprema iraniana, ayatollah Khamenei, sembra dire che il regime iraniano per salvare se stesso abbia abbandonato le milizie alleate. Immaginiamo anche solo per un istante che sia così: sarebbe uno sviluppo enorme, da capire nei suoi autentici confini: ma dopo tutto ciò che di tremendo è accaduto la si potrebbe considerare una soluzione che elude la necessità di capirsi davvero? O non imporrebbe l’urgenza di farlo senza più ricatti e disumanizzazioni dell’altro?

Nei giorni trascorsi papa Francesco ha fatto affermazioni non certamente nuove, basate su una teologia consolidata da lunghissimo tempo, ma che purtroppo appaiono ancora controcorrente. C’è un tempo profondo nel discorso religioso che ha bisogno di molto tempo per cambiare.

Appare così fondamentale tornare su quanto affermato da Francesco, perché qui si va al cuore del problema che, affrontandolo, può portarci a capirci davvero. Per inquadrare il tema può essere utile un discorso storico, non teologico.

Il tempo profondo

Per valutare gli accadimenti, la cronaca, può servire anche un tempo che non viene sufficientemente considerato, si tratta del tempo profondo. Non considerarlo è una modalità pericolosa. I fatti contano, sono determinanti, ma per risolvere i problemi che li causano occorre anche conoscere e capire il tempo profondo.

Leggere il presente, la cronaca, anche alla luce del tempo profondo può aiutarci a capirci e quindi ad archiviare la disumanizzazione dell’altro. Il possibile cadere dell’orrendo ricatto iraniano renderebbe possibile il tentativo, su tutti i versanti.

Il tempo profondo fa i conti non solo con la cronaca, che è cruda realtà d’oggi, ma anche con lasciti antichi o non recenti che nessuno dei soggetti coinvolti ignora: se questo viene rimosso nel discorso pubblico globale, ognuno si sentirà non capito e quindi portato a sentire e leggere solo con le lenti del suo proprio tempo profondo o solo della sua cronaca.

Si potrebbero fare tanti esempi del peso di questo tempo profondo in ogni racconto, anche della cronaca, che non è solo cronaca, sebbene certamente lo sia e non possa sparire in un discorso che analizzi solo il tempo profondo. In questo tempo profondo ognuno fa i conti con la sua verità, antica, tramandata, vissuta dai propri genitori, dai propri nonni o bisnonni. Se si esclude questo è difficile capire la profondità dei conflitti. Ma il tempo profondo nasconde una trappola: quella di giustificare i propri torti presenti con le proprie antiche (o pregresse) ragioni.

Religioni, tra guerra e pace

Considerare tutti i tempi profondi e capirli è importante, ovviamente senza rimuovere i fatti della cronaca nella loro cruda realtà odierna. Questo difficile compito porta in primo piano il ruolo e il peso delle religioni nella soluzione o nell’aggravamento dei conflitti. La verità infatti diviene assoluta se si fraintende il senso delle religioni, che possono essere tutte convinte di rappresentare l’unica verità.

Ecco che ogni religione può diventare vettore di guerra e non di pace. È così soprattutto dove prevale l’idea che fuori dalla verità di fede esistano solo false credenze e quindi una falsa umanità. L’altro così diviene un problema da eliminare, perché si legge soltanto con le proprie lenti le verità del tempo profondo; si applicheranno così criteri assoluti, sperando che si possano risolvere i problemi una volta per sempre, dando il giusto agli unici giusti.

C’è però anche chi vuole la pace e chi si è preso l’onere di parlare con parole cristalline per tutti costoro, non per delega ma per fede, è papa Francesco, che a Singapore finalmente ha ribadito: «Tutte le religioni sono percorsi per raggiungere Dio. Esse sono, per fare un paragone, come differenti linguaggi, differenti dialetti, per arrivare a quell’obiettivo.

Ma Dio è Dio per tutti. Se tu incominci a combattere sostenendo “la mia religione è più importante della tua, la mia è vera e la tua non lo è”, dove ci porterà tutto ciò? C’è un solo Dio, e ognuno di noi possiede un linguaggio per arrivare a Dio. Alcuni sono sikh, musulmani, hindu, cristiani: sono diverse vie che portano a Dio. Nonostante quel che avviene, ancora ci si attarda a contestare questa essenziale priorità, come un cedimento «agli altri». Ma anche gli altri, come chi contesta, potrebbero ritenere questo discorso un’equiparazione insostenibile del falso altrui alla propria verità.

Relativismo?

Ogni credente, se così orientato, riterrà con convinzione che la sua strada è giusta, ma non che le altre sono false strade che portano tutte a un burrone, come oggi si torna a sostenere. La fede può essere un cruciverba? Non è logico ritenere la mia verità confermata dal definire falsa la religione di altri. Parlando di storia, il tempo profondo lo conferma. Pensandola diversamente non si può dialogare, non essendo plausibile l’idea di un dialogo con chi diffonde menzogne. Da ciò deriverebbe che il dialogo è impossibile anche nella storia: la verità del mio tempo profondo è assoluta, non ce ne sono altre.

Eppure qualcuno insiste a definire questo metodo relativista. Dire questo equivale a ritenere che nella storia qualcuno ha tutta la ragione e qualcuno tutto il torto. Infatti ritenere le altre fedi menzogne disumanizza chi in essa crede. Fuori dalla verità di fede, infatti, ci sarebbe solo una falsa umanità. E così il giusto non potrebbe che essere assoluta proprietà anche nella storia. Khamenei di questo ne sa qualcosa.

Ma un semplice teo-centrismo, che non esclude successive e non contraddittorie convinzioni, ha consentito a Francesco e all’imam dell’Università islamica di al Azhar di convenire, nel documento congiunto che hanno firmato ad Abu Dhabi:

«La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano».

Chi non conviene è di ogni evidenza più integralista di un musulmano come al Tayyeb. Il che è lecito, probabilmente normale, purché poi non si dica che tutti i musulmani sono integralisti. Lo stesso può dirsi riferendosi al rabbino emerito di Washington, Bruce Lustig, che ha accettato di far parte del comitato per l’attuazione del Documento di Abu Dhabi.

Gli opposti integralismi molto spesso, (non sempre) fondano discorsi contrapposti ma che agli occhi di molti si danno man forte. Allora chi non li condivide deve trovare la forza di riconoscere l’altro per convergere e proporre una visione del mondo basata sul vivere insieme, che fa i conti con ciò che emerge dai tempi profondi degli altri.

Questo vivere insieme non potrebbe escludere i diversi integralisti, alla condizione che accettino di sostenere e proporre le loro idee, non di imporle con la violenza. La storia dimostra che gli estremisti, i fondamentalisti, ricorrono alla violenza per sabotare la non facile costruzione della pace tra persone e culture che hanno nel tempo profondo esperienze che li dividono.

È quello che è successo al processo di pace in Medio Oriente. Chi ha ucciso il premier israeliano Rabin, chi ha organizzato gli attentati suicidi lo sa. Se il discorso iraniano davvero rinunciasse alle sue milizie, o ad alcune di esse, questa strada diverrebbe più percorribile.

Non disumanizzare

Vedere l’altro, non disumanizzarlo, presuppone riconoscere l’umanità della sua fede. È questo uno dei valori più profondi e importanti del Documento congiunto firmato a Giacarta da Francesco con l’Imam della Moschea di Istiqlal, che chiede di rifiutare la disumanizzazione dell’altro per arrivare anche a proporre un lavoro comune per difendere, non distruggere, la casa comune.

Molto spesso si dice che l’islam si fondi sulla negazione delle altre fedi. Eppure in occasione del sinodo sul Medio Oriente, l’invitato musulmano sunnita, Muhammad Sammak, mi ha detto che «l’islam è la religione che crede in tutte le religioni». È un’eccezione?

Tanti secoli fa il più grande e celebrato mistico musulmano, al Rumi, disse che i sentieri sono diversi ma la vetta è una. Vale ancora la pena di fare questi piccoli esempi al riguardo di un discorso trasversale e diffuso, che al mondo cattolico è ben noto e presente da tempo, ripreso anche dal Concilio Vaticano II con l’immagine dei «semi di verità». Immagine usata già da Giustino, padre della Chiesa e martire, che è particolarmente felice, perché́ riesce ad esprimere l’dea dell’azione diffusa di Dio nel mondo, anche oltre i confini visibili del cristianesimo.

È nota la distanza tra questa visione e altre, presenti e autorevoli. E sarebbe certamente molto facile citare espressioni del mondo islamico opposte a quelle sopra riportate, come quella khomeinista a cui si è fatto riferimento. Perché non tutto segue un’idea, una teologia, in nessun mondo. Ma i fondamentalismi riescono ad aiutarsi nell’oggettiva convergenza delle loro azioni opposte che li rafforzano. Chi legge non ha bisogno di un lunghissimo catalogo di esempi.

Il tempo profondo esiste e non può essere rimosso, ma la sua comprensione cambia se si ha il coraggio di partire dal fatto che anche l’altro ha semi di verità, nella storia come nella fede. Se non li ha nella fede difficilmente li potrà avere nella storia. Possibile?

Dunque la frase di papa Francesco, che molti hanno criticato, fonda un discorso concreto di pace. Sia che si sia aperta una novità a Teheran, magari solo per opportunismo, sia che così non sia, gli accadimenti di questi ultimi anni ci dicono che la disumanizzazione dell’altro è una tentazione mortale, da respingere.

La pace ha bisogno di impegno, quello di Francesco non sarà infallibile ovviamente, ma è forte, perché intende spingere tutti a smetterla di disumanizzare qualcuno altro.

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