Antonella Lumini, mistica e trasformazione

di:

lumini

Antonella Lumini è autrice del volume Mistica e coscienza. Vedere dentro (Paoline, Milano 2024, 304 pp., 22 euro). Antonella vive a Firenze. Nella sua casa propone percorsi di silenzio ispirati alla tradizione ortodossa della pustinia. L’incontro e l’intervista, curata da Giordano Cavallari, sono stati propiziati dalla associazione Nel giardino delle beghineo.d.v. di Mantova.

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  • Gentile Antonella, le chiedo di spiegare quali significato hanno per lei i termini compresi dal titolo. Quindi le chiedo, innanzi tutto, cosa lei intende per mistica?

Mistica è l’esperienza di Dio dentro sé stessi. I mistici non dicono qualcosa su Dio, esperiscono Dio dentro sé stessi attraverso tutto il proprio essere. L’ anima ha sete di Dio, di Infinito, di Eterno. Dio è inscritto in noi. Apparteniamo, da sempre, alla dimensione divina. Sta a noi scoprirla.

  • E la coscienza cos’è?

Dal verbo tardo latino cum-scire, che significa «sapere insieme», ad esempio conoscere dall’interno e dall’esterno, acquisire una conoscenza della realtà tutta intera, visibile e invisibile. Importante la dinamica fra mistica e coscienza. La coscienza si dilata attraverso l’esperienza interiore, più si rimette insieme quanto proviene dai sensi esteriori e quanto proviene da dentro. Abbiamo bisogno di trovare unità nel profondo di noi stessi, un radicamento nella parte profonda, altrimenti viviamo nella dispersione.  Coscienza è un concetto che si afferma in epoca moderna. L’equivalente biblico potrebbe essere lev, cuore, centro dell’essere vivente, sede della sapienza da cui scaturisce l’ascolto.

  • Non si tratta di termini piuttosto difficili per la comunicazione contemporanea?

Oggi, visto il grande sviluppo delle scienze umane, si tende a considerare l’anima come oggetto di studio, di ricerca, più che dimensione interiore, luogo di contatto con lo Spirito. Si usa il termine greco, psiche, proprio in relazione agli studi psicologici. La coscienza ha assunto una connotazione prevalentemente morale, inoltre è sempre più considerata come epifenomeno del cervello, quindi nel suo aspetto fisiologico, biologico. I termini anima, spirito, sono sempre meno usati. In realtà il termine coscienza comporta in sé un profondo legame con la dimensione interiore.

  • L’essere umano è spontaneamente in grado di vivere l’esperienza dello spirito?

Quando Meister Eckart parla di «fondo dell’anima» intende il punto di congiunzione dell’anima con lo Spirito. L’anima umana proviene dallo Spirito. Corpo, anima e spirito, sono distinti ma costituiscono un’unità. Ogni essere umano è perfettamente in grado di vivere l’esperienza dello Spirito, di cedere a sé stesso lasciandosi portare nel profondo mistero che custodisce dentro di sé. L’esperienza interiore lascia tracce sensibili, fa conoscere il suo linguaggio che può anche essere comunicato attraverso metafore e simboli.

  • Oggi non sembrerebbe così evidente…

La cultura materialista, razionalista, riduzionista, ha svalorizzato i territori spirituali come illusori, li ha messi ai margini. Proprio per questo oggi ci sono tante persone che avvertono un urgente bisogno di aprirsi alla ricerca interiore, hanno sete di spiritualità. Il diffondersi delle patologie psichiche, fa comprendere che c’è molto disagio, infelicità, tristezza. Per questo incontro tante persone, molte mi vengono a cercare. La vera malattia dell’anima è lo spengersi in essa della memoria della luce dello Spirito. Un tale oblio pregiudica enormemente la qualità della vita. La gioia proviene dal risveglio del desiderio di luce, di bellezza, di meraviglia. Dal contatto tra il corpo, l’anima e lo Spirito.

  • Esperienze mistiche avvengono in tante tradizioni religione: cosa c’è di comune tra loro e cosa differenzia la mistica cristiana?

Proprio perché l’essere umano proviene dal divino, partecipa della divinità; infatti, l’esperienza mistica è comune a tutte le tradizioni religiose. Sappiamo come, specialmente in Oriente, da sempre siano state sviluppate e tramandate pratiche e tecniche meditative. In molte di queste tradizioni, come sappiamo, punto di arrivo è la «nullificazione», il ritorno all’Assoluto, al vuoto. La mistica è quindi innanzitutto un movimento di ritorno all’origine. Ma la mistica cristiana si inserisce pienamente nell’alveo dell’antropologia biblica. La creazione dà luogo alle forme, genera distinzione, dà vita agli esseri viventi, dà quindi valore alla manifestazione, alla bellezza. La creazione è la manifestazione visibile del Dio invisibile. La mistica cristiana è quindi una mistica incarnata. L’esperienza fusionale è la premessa, ma poi quanto è vissuto nel profondo deve emergere nella vita ordinaria, nella vita esistenziale. Gesù è Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, «della stessa sostanza del Padre», è consustanziale a Dio. Partecipa della vita divina e spirituale anche nella sua vita terrena. Ugualmente ogni essere umano porta in sé stesso questa potenzialità. La sostanza divina si riverbera nella vita incarnata, nonostante i nostri tradimenti, disconoscimenti, distorsioni: nonostante, appunto, le nostre malattie dell’anima. La salvezza è forza divina trasformativa, guarisce, sana. Il Mistero di Dio si svela nella nostra vita. La mistica cristiana è mistica incarnata perché il cristianesimo è incarnazione del divino nell’umano.

  • Come stanno insieme molteplicità e unità?

Il monoteismo porta l’idea di un cosmo governato, c’è un’unica sorgente di vita. Nel cristianesimo l’Uno diviene Trino, è relazionale in sé stesso, è amore che genera amore, è Padre e Figlio e Spirito Santo. Il progetto di amore di Dio prevede l’individuazione: c’è un «Io» e un «Tu», due soggetti che si relazionano attraverso l’amore puro, lo Spirito Santo. Nell’amore l’individuazione non separa, fa vivere l’unione. Dio è generativo e creatore, è relazionale. Il punto di partenza è l’amore e il punto di arrivo è l’amore. Bisogna immergerci in questo dinamismo, lasciarsi prendere.

  • La sua personale percezione della Trinità, qual è?

Sant’Agostino, a proposito della SS. Trinità, parla di Amore, Amato, Amante: l’amore è donato e ricevuto in un movimento costante che fluisce. La visione di Dio Uno e Trino allude alla relazione di amore intrinseca alla divinità. Nel battesimo siamo immersi in questa relazione di amore, nella dinamica trinitaria. Partecipando di questo dinamismo siamo chiamati a divenire capaci di amare. Solo così la nostra vita si pacifica e diviene feconda.

  • Perché Gesù è il Figlio dell’uomo?

Gesù si definisce Figlio dell’Uomo, cioè individuo del genere umano. Gli altri lo chiamano Figlio di Dio ed Egli non smentisce: «Tu lo dici». Quanto Gesù dice per sé stesso, in quanto essere umano, vale per tutti, è una potenzialità dell’amore puro che desidera attualizzarsi. La vita cristiana richiede di mettere in atto queste straordinarie potenzialità di amore.

  • Come sperimentare la consustanzialità?

La fisica ci dice che la materia è energia. Anche il nostro corpo è energia. Scendendo e risalendo gli strati più profondi di noi stessi possiamo percepire differenti stati dell’energia che compongono il nostro essere. Questo permette di percepire più profondamente il mistero della resurrezione. San Paolo dice che c’è l’uomo di carne (Adam) e c’è l’uomo celeste (Cristo); il corpo della resurrezione sorge nel nostro corpo carnale più viene liberato dall’egoità, guarito, rigenerato. Inizia con il battesimo, nel qui ed ora della nostra esperienza terrena, attraverso l’amore. Allude alla santità.

  • La risurrezione è in atto?

La risurrezione della carne è quel continuo processo di trasformazione e di purificazione che opera lo Spirito nell’anima sciogliendo pesantezze e realtà rimosse che rendono grave il corpo e producono angoscia e tristezza. La risurrezione della carne, comincia qui nella vita terrena, è la trasformazione che l’amore divino opera nella vita incarnata liberando la psiche dalle sue oscurità, dai suoi egoismi. Una guarigione psicofisica e spirituale. Questa è la salvezza cristiana.

  • Ci è stato detto in maniera piuttosto diversa…

Per secoli ha prevalso una spiritualità tesa a disincarnare, tutta protesa verso l’alto, proiettata fuori dal corpo e dalla materia considerati come ostacoli da rifuggire. In realtà non può darsi risurrezione senza incarnazione. Gesù si è incarnato, si è fatto vedere in carne ed ossa. Ha parlato, ha operato guarigioni, miracoli, cose meravigliose. È il Signore perché ha reso visibile quella pienezza che ognuno vorrebbe realizzare. Egli nobilita la vita umana.

  • Perché i mistici nella Chiesa, spesso, non hanno avuto una buona accoglienza?

I mistici, le mistiche vanno direttamente a Dio, portano novità che mette in discussione lo status quo, mettono in crisi l’istituzione, il potere.

  • A lei è accaduto qualcosa del genere?

Non esattamente. Per 30 anni ho vissuto la mia esperienza in maniera nascosta. Mi dovevo preservare dagli sguardi degli altri, ma anche dai dubbi che scaturivano dentro di me. Potevo solo affidarmi allo Spirito Santo, solo lo Spirito avrebbe potuto aprire degli spiragli. Infatti, poi, senza aver cercato niente, si sono aperte delle vie in maniera del tutto sorprendente. Ho cominciato a pubblicare libri, a rilasciare interviste, scrivo articoli su giornali, sull’Osservatore Romano. Con papa Francesco sono cambiate diverse cose. Anche fra i sacerdoti ci sono quelli che ancora non vedono di buon occhio esperienze di questo tipo, mentre ce ne sono altri molto disponibili. Tuttavia, non c’è ancora molto spazio nella Chiesa per fare percorsi diversi da quelli codificati da secoli.

  • Come parla dalla sua casa delle cose della fede?

Non penso si possa parlare della fede in astratto, cercando confronti ideologici tra fede e ragione: bisogna uscire da questi schemi. Importante è invece partire dal bisogno reale, dal desiderio autentico dell’anima. Tante persone si orientano verso pratiche di meditazione della tradizione orientale, fanno yoga, sono alla ricerca dell’interiorità. La ragione materialista che ci domina, mettendo al bando la spiritualità ha prodotto una frattura interiore, un grande malessere esistenziale. Ha prodotto l’ateismo di massa, lo sradicamento dai piani profondi che sta causando un incremento esponenziale di disagi psicofisici anche tra i giovani. Io stessa, quando ho scoperto il silenzio, mi consideravo non-credente. Il silenzio è stato il veicolo che mi ha permesso di riscoprire la fede. Ogni persona può, a suo modo, ritrovare o riscoprire la fede quando si mette in ascolto del desiderio profondo dell’anima, desiderio di un rapporto autentico con il mistero della vita.

La fede non è «credere» a qualcosa che ci hanno detto, bensì è un’esperienza, l’esperienza di Dio dentro di noi, un’esperienza primaria come respirare. Così avvicino le persone o, meglio, le persone si avvicinano a me. L’aiuto che posso dare è ascoltare, incoraggiare a percorrere certi cammini, a non lasciar perdere questo profondo desiderio.

  • Lei aiuta altri. Altri hanno aiutato lei?

Ad essere sincera personalmente non ho trovato molti aiuti, ho sofferto per l’incomprensione. Ho avuto però grande aiuto dai libri di tanti mistici e mistiche, testimoni autentici dell’esperienza dello Spirito: Meister Eckart, Margherita Porete, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, e per venire ai nostri tempi Simone Weil, Etty Hillesum, etc. Nelle loro testimonianze si sente veicolare quel vento dello Spirito che mai si esaurisce, canali aperti che sempre attraversano il tempo. Importantissimo padre Giovanni Vannucci, che ho appena conosciuto. Vissuto a Firenze come me, Servo di Maria, prima al Convento della Santissima Annunziata di Firenze insieme a padre Turoldo, poi a Panzano, nella zona del Chianti, dove ha fondato l’Eremo di San Pietro alle Stinche che ho frequentato per molti anni.

Ma determinante è stato l’incontro con l’esperienza della pustinia, che significa deserto in lingua russa. Fu un anziano prete di Firenze, monsignor Gino Bonanni, vero uomo del silenzio, che dopo avermi ascoltato, mi donò il libro Pustinia: le comunità del deserto oggi, di Catherine De Hueck Doherty. Più leggevo quel libro, più trovavo corrispondenza con quanto, da tempo, stavo vivendo: una vocazione cristiana al silenzio non istituzionalizzata, nella piena libertà dello Spirito, che non chiedeva niente, se non di lasciarsi portare, di abbandonarsi al profondo richiamo. Vocazione al silenzio nella contemporaneità ma in continuità con l’antica esperienza dei padri e delle madri del deserto.

Quel libro da allora mi ha sempre accompagnata, fortificandomi e incoraggiandomi ad andare avanti come stavo già facendo da anni: immersione nel silenzio senza né regole né orari nella vita ordinaria di tutti i giorni, senza dover rendere conto a nessuno, se non a Dio solo. La mia casa è diventata così una pustinia. Sono trascorsi molti anni prima che uscisse il libro-intervista scritto col giornalista Paolo Rodari, La custode del silenzio (Einaudi). Da allora la pustinia ha cominciato a raggiungere tante altre persone.

  • Chi è Catherine De Hueck Doherty?

Catherine, una russa, fuggita durante la rivoluzione bolscevica e approdata in Canada dove fonda Madonna House, una casa di accoglienza. Qui si rende conto che nel cristianesimo d’Occidente manca la vocazione della pustinia. Comincia così a sperimentarla personalmente, a proporla nella sua comunità e agli ospiti che vi giungevano, aprendo la strada alla diffusione dell’esperienza del deserto in Occidente. Una vera mistica con intuizioni profetiche per il nostro tempo.

  • Lei come prega?

Penso che ognuno debba pregare nel modo che più gli corrisponde. La preghiera è una relazione intima e personale con Dio. Per me pregare è soprattutto stare lì, nel silenzio, senza aspettative. Stare lì, dove si è, chiede la resa, l’abbandono a Dio, l’affidamento totale. Segue l’offerta di tutto ciò che affiora: angoscia, agitazioni, preoccupazioni. In questa preghiera non porto solo me stessa, ma tutto quello che accolgo attorno a me: vicende di persone, fatti della storia che più colpiscono il cuore. In genere inizio con la lettura di un passo dei vangeli, della bibbia, oppure di un autore spirituale, poi mi lascio andare nel silenzio.

  • Come risponde alla obiezione che la mistica allontana dall’impegno nel mondo?

Sento spesso questa obiezione. Rispondo con una contro-domanda: rimanendo identificati con la voce e il rumore del mondo cosa si porta di nuovo e di diverso nella storia? Il cambiamento può scaturire solo dal nuovo che affiora dal profondo, in quanto sempre conforme alla misura originaria. Possiamo offrire il poco che abbiamo; affidandoci diveniamo strumenti attraverso cui può agire la sovrabbondanza della grazia. Si parte da sé stessi.

Portare a Dio il dolore del mondo che soffriamo in noi stessi – per la guerra ad esempio! – è molto più efficace che parlarne giudicando. Il giudizio pone una distanza col dolore vivo, divide, aumenta la spirale dell’odio e della aggressività. Portare nella preghiera il dolore, ma anche il desiderio di pace, è offrire quello che abbiamo, poco o tanto che sia, smuove, partecipa dell’economia della salvezza, diviene canale dell’opera dello Spirito e della grazia.

  • Sulle sorti del mondo, come essere ottimisti?

Dio ha creato buone tutte le cose. Il male è una possibilità, non sta sullo stesso piano del bene. C’è un’immensa sproporzione. Come dire: il bene è l’oceano, il male è un gorgo nell’oceano. Una grande opera spirituale, ancora sotterranea, spinge verso il compimento, verso la pienezza. Aver fede, significa confidare in questa immensa opera in corso che chiama tutti all’appello per aprirci, renderci consapevoli e responsabili. Il senso della salvezza annunciata dai vangeli richiede fede, fiducia nell’azione purificatrice e santificante rivelatasi e manifestatasi nella divina umanità di Gesù come tensione originaria inscritta nel cuore umano. Questo il senso del tempo escatologico, profondamente attivo e dinamico.

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