Tra le molte notizie di morte, paura e sconvolgimenti che arrivano dal Libano già ridotto in condizioni miserrime da chi lo aveva già distrutto economicamente, cioè da chi lo ha governato, molti si sono soffermati su una notizia importante: i molti fuggiaschi dal Libano verso un Paese dove nessuno andrebbe se non per disperazione, la Siria di Assad. Ritrovarsi in un Libano economicamente distrutto, sul lastrico, e ora anche bombardato rende la scelta estrema comprensibile. In tre giorni si parla di 30mila fuggiaschi, l’80% siriani e il 20% libanesi, secondo quanto reso noto il 27 settembre dall’UNHCR.
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Il Libano nelle ore trascorse ha aperto le sue frontiere con la Siria: chiunque volesse fuggire poteva farlo senza problemi, anche chi dalla Siria fosse entrato illegalmente in Libano. Si tratta di una scelta coerente con il noto desiderio libanese di liberarsi dei profughi siriani, con un piano per l’espulsione di 30mila di loro che secondo l’agenzia di stampa libanese verrà definito nelle prossime settimane.
Dunque, tutti i siriani che si sono rifugiati in Libano, non solo di quelli registrati ma anche i clandestini, vecchi e nuovi, possono volendo rientrare in Siria. Il loro numero in Libano è enorme, si considera che tra ufficiali e clandestini sarebbero quasi due milioni.
Il numero dei fuggiaschi non è impressionante ma comunque significativo. Il punto è: i siriani sono entrati tutti in Siria? Alla domanda nessuno può rispondere, ma secondo alcuni siti siriani basati all’estero, come il Damas Post, la situazione sarebbe questa: i libanesi entrerebbero senza problemi, visto che a loro viene richiesto solo il passaporto valido. Non altrettanto accade per i siriani, che devono anche in questa circostanza cambiare 100 dollari statunitensi a testa al posto di frontiera prima di essere ammessi nel loro Paese, nella insignificante valuta locale, per aumentare la valuta forte nelle casse dello Stato ed essere così ammessi in Siria. E diversi di loro non li avrebbero, come è logico.
Cento dollari a testa, nel Libano di oggi, è un capitale inaccessibile a molte famiglie numerose. Ci sono famiglie ancora ferme, all’aperto, nella terra di nessuno tra Siria e Libano, impossibilitate a entrare? Di certo tutti i siriani devono fare file di ore per pagare. Uno di loro ha detto al Damas Post: «In Siria è normale che un autoctono sia trattato come uno straniero e uno straniero sia trattato come un autoctono».
Queste parole non sono esagerate, o un attacco al regime di Assad. Prima della guerra la Siria aveva 25 milioni di abitanti, di questi 7,5 vivono in campi profughi interni come sfollati, altre sette sono stati deportati o costretti o comunque forzati per diversi motivi a fuggire. È più del 50% della popolazione.
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E i libanesi? Anche qui abbiamo poche notizie, ma si può dire che si tratti di quei nuclei familiari che risiedono nelle zone controllate da Hezbollah, che con il regime siriano, dopo il grande impegno profuso dal suo braccio armato per salvare il regime, mantiene relazione amicali, sebbene l’uomo forte di Damasco non sia nelle condizioni di impegnarsi per loro militarmente e politicamente.
Questa supposizione è confermata dalla testimonianza fornita dagli osservatori presenti ai valichi di confine libanesi che hanno riferito come molti di loro fossero feriti, quindi con maggiore facilità provenienti dal Sud del Libano o da Beirut Sud, le zone più colpite dai bombardamenti israeliani. Sono tra i più sfortunati e si può immaginare senza casa e senza lavoro.
Inoltre alcuni organi di stampa aggiungono che sono segnalati passaggi dai valichi di confine illegali, facilitati da agenti siriani.
Nell’attesa che fonti autorevoli chiariscano cosa accade realmente ai valichi di frontiera siriani, considerando che ancora nelle scorse settimane alcuni siriani che rientravano in Siria sarebbero stati ammessi e subito dopo arrestati, sembra confermata un’impressione, oltre alla drammaticità della situazione libanese: sperare di poter risolvere il problema dei profughi siriani normalizzando le relazioni con Damasco è una speranza ancora non suffragata dai fatti.
Non tanto perché i profughi non vorrebbero tornare, se gli fosse garantito un rientro in sicurezza, ma perché è il regime che non intende consentire un loro rientro sicuro. E questo forse spiega perché il numero di siriani che hanno preso o cercato di prendere la via di Damasco non è poi così consistente, considerando le presenze totali.
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Lo conferma anche il tentativo sin qui non andato bene di normalizzazione dei rapporti con Damasco messo in atto dalla Lega Araba. Assad è stato riammesso nella Lega in cambio di alcune promesse, tra le quali l’impegno di facilitare il ritorno dei profughi e di sospendere la produzione della droga sintetica, il captagon, con cui sta destabilizzando intere società. Al riguardo gli impegni non sono stati mantenuti.
Ma che regime è oggi il regime di Damasco? Questa domanda è molto difficile per ciò che riguarda i suoi allineamenti internazionali, meno per quel che riguarda la sua politica di «sicurezza interna».
Tra il molto che non si dice spicca una notizia; la visita di questi giorni dell’ex ministro della difesa russo, Sergei Shoigu, a Damasco. Che la Russia abbia una poderosa presenza militare in Siria è noto da quando Mosca è intervenuta militarmente in Siria in difesa di Assad. Ma di comunicati o commenti su questa visita non se ne hanno, al di là dell’ufficiale dichiarazione di «desiderio di rafforzare le relazioni bilaterali». Alcune fonti non ufficiali però parlano di un colloquio lunghissimo e teso.