Donne e diaconato: non possumus

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grillo-donne

Una serie di 10 gruppi di lavoro e di studio, istituiti in parallelo al lavoro sinodale da papa Francesco, hanno riferito all’inizio della Assemblea sinodale sullo stato dei lavori. Tra i gruppi, il 5^ ha attirato la attenzione, non solo per il suo tema (le “forme ministeriali specifiche”), ma per l’annuncio di un documento, in preparazione da parte del Dicastero per la dottrina dela fede, sulla partecipazione della donna al ministero della Chiesa.

Senza lavorare e senza studiare, si sarebbero potute scrivere in mezz’oretta le due paginette che sono state presentate in Assemblea. Del “cambio di paradigma”, che per tre anni è stato ripetuto continuamente come basso continuo del processo sinodale, non trapela traccia alcuna. Il breve testo, senza troppe pretese, si compone di 4 numeri e offre un quadro del tutto bloccato della riflessione ecclesiale sul tema. Vorrei presentarne brevemente il contenuto, per poi esaminare quattro “cambi di paradigma” mancati, sebbene accompagnati qua e là da piccole frasi di paradossale apertura.

La sequenza delle affermazioni della relazione

Il n. 1 della relazione precisa i temi che struttureranno l’annunciato documento:

la specificità del potere sacramentale; il rapporto esistente tra il potere sacramentale (in particolare quello che scaturisce dal potere di celebrare l’Eucaristia) e i ministeri ecclesiali per la custodia e per la crescita del Santo Popolo di Dio in vista della missione; l’origine dei ministeri; la dimensione carismatica della vita ecclesiale; le funzioni e i ministeri ecclesiali che non richiedono il sacramento dell’ordine; l’Ordine sacro come disposizione al servizio e i problemi legati a una concezione erronea della autorità ecclesiale.

Si aggiunge, alla fine, il riferimento ad alcuni numeri di tre documenti del pontificato di Francesco (Evangelii gaudium 103-104, Querida Amazonia 99-103, Antiquum Ministerium 3) nei quali viene toccato il tema della partecipazione delle donne al governo delle comunità e ai processi decisionali.

Il n. 2 contiene le affermazioni più nette, che sembrano emergere da un orizzonte in cui nessun ascolto sinodale è stato effettivamente registrato circa l’accesso della donna al ministero del diaconato:

Su quest’ultimo punto bisogna precisare anzitutto che, sulla base dell’analisi effettuata finora, che tiene anche conto del lavoro realizzato dalle due Commissioni istituite da Papa Francesco sul tema del diaconato femminile (le cui conclusioni più utili saranno comunicate nela versione finale del documento), il Dicastero ritiene che non vi sia ancora spazio per una decisione positiva del Magistero sull’accesso delle donne al diaconato come grado del sacramento dell’Ordine. Si tratta di una considerazione che è stata recentemente confermata pubblicamente dallo stesso Pontefice. In ogni caso, secondo il Dicastero, la opportunità di proseguire il lavoro di approfondimento resta aperta.

Il n. 3 indica, in parallelo a questa esclusione piuttosto recisa, ma non assoluta, la via di una valorizzazione della “storia delle donne ecclesialmente autorevoli”, anche se è chiaro come quella storia sia maturata per una valorizzazione dei carismi legati al battesimo e alla cresima, senza alcun legame con il sacramento dell’ordine. Da Matilde di Canossa a Dorothy Day, si tratterebbe di studiare quelle donne che:

hanno esercitato una autorità e un potere reale in favore della missione della Chiesa. Non si tratterebbe di una autorità o di un potere legato a una consacrazione sacramentale, come avverrebbe invece, almeno oggi, con la ordinazione diaconale. Questo è vero. Ma in alcuni casi, l’intuizione è che si tratterebbe di un “esercizio” di potere e di autorità di grande valore e fecondità per la vitalità del popolo di Dio. Si tratta dunque di completare una riflessione sulla espansione della dimensione ministeriale della Chiesa alla luce della sua dimesione carismatica, capace di suggerire il riconoscimento di carismi o la istituzione di servizi ecclesiali, che non sono immediatamente legati al potere sacramentale, ma che trovano le loro radici nei sacramenti del battesimo e della confermazione.

La lettura di questa “storia della autorità femminile” avrebbe la capacità di “riconsiderare la questione dell’accesso al diaconato”, di fatto sostituendola con carismi e ministeri diversi da quelli ordinati.

Il n. 4 si limita a precisare che il progettato documento sarà steso in relazione con tutti gli organi del Dicastero per la Dottrina della fede, per essere poi sottoposto alla approvazione del Papa.

Cambio di paradigma 1: la competenza teologica e giuridica

Come dicevo all’inizio, è evidente che il Gruppo (che si occupa di “questioni teologiche e giuridiche”) sembra essersi immunizzato dal Sinodo. Se un gruppo “lavora e studia” deve porre sul tavolo la questione nel suo complesso. Il n. 2, invece, sembra scritto con una sorta di “scissione” tra sapere canonistico e sapere dogmatico. Il diritto dell’ultimo secolo ha assolutizzato sul piano giuridico la “riserva maschile”: possono essere ordinati solo uomini maschi. Prima il diritto ecclesiale non aveva bisogno neppure di dirlo: le donne per secoli non potevano avvicinarsi all’altare, non potevano stare a capo scoperto, non potevano parlare, ecc. ecc.

D’altra parte il sapere teologico ha identificato tra gli anni 70 e gli anni 90 del XX secolo la “riserva maschile” soltanto per la “ordinazione sacerdotale”. Di questa sfasatura tra sapere giuridico e sapere dogmatico, che lascia aperta la questione del diaconato, su cui si sarebbe potuto lavorare e studiare, non vi è traccia. Per questo la istruzione della questione è sistematicamente difettosa.

In teologia la cosa più importante è formulare bene la domanda, che qui appare invece comandata da un pregiudizio, risolvendo perciò il problema prima ancora che sia posto: la donna è collocata, senza dimostrarlo, al di fuori del ministero ordinato, direi quasi “per natura”, per creazione e redenzione. Si è sempre fatto così, questa è la ratio. Su questo punto nessun lavoro e nessuno studio sembra sia stato compiuto. Il paradigma utilizzato è quello vecchio, che non funziona più da almeno 60 anni.

Cambio di paradigma 2: la grande chiusura e la piccola apertura

La conseguenza del primo “cambio mancato” ha sùbito il suo impatto sul piano della sintesi. Anche qui l’ascolto sinodale, questa arte dell’aprirsi alla domanda che scaturisce dal popolo di Dio, viene sostituita dai risultati delle due Commissioni sul diaconato femminile e da alcune parole del papa. Solo questa sordità strutturale, e direi di metodo, può arrivare a quella affermazione apodittica a proposito del “non esservi ancora spazio per una decisione positiva del Magistero circa l’accesso delle donne al diaconato inteso come terzo grado del sacramento dell’ordine”. L’affermazione ricalca le classiche affermazioni a proposito della ordinazione sacerdotale, aggiungendo, però, due elementi.

Non è assolutamente tassativa, sia dal punto di vista temporale (“ancora”), sia dal punto di vista sistematico (“diaconato inteso come accesso…”). Ciò che manca, in maniera vistosa e imbarazzante, è proprio quel frutto del lavoro e dello studio che si chiama “argomentazione”. Anche in questo caso la posizione è fondata semplicemente su un principio di autorità. Salvo aggiungere, come una piccola nota dissonante finale, l’auspicio verso un “approfondimento che resta aperto”.

Dal testo, nonostante il lavoro e lo studio che sta nel titolo del gruppo, non trapela alcuna consapevolezza sulla mancanza di rispetto per le donne che derivera dal lasciar intendere, indirettamente, che alle donne potrebbe essere riservato, chissà quando, un “diaconato diverso”, un “diaconato minore”, un “diaconato minorato”, come qualche teologo ha avuto il coraggio (o meglio la sfrontatezza) di teorizzare negli ultimi anni: questa ipotesi sarebbe un disastro sistematico e un pasticcio giuridico senza precedenti. La differenza femminile non riguarda l’esercizio della autorità: di questo dato, che era così sorprendentemente chiaro nel 1962 al morente papa Giovanni XXIII, non si trova qui alcuna traccia.

Cambio di paradigma 3: il servizio del Dicastero e il Magistero papale

Un terzo “cambio mancato” consiste nel riferimento alle “fonti”. Ovviamente la pretesa verso due paginette non può essere esagerata. Ma ci sono due spie interessanti del modo di “lavorare e studiare”: da un lato il fatto che si citino sul tema solo documenti di papa Francesco; dall’altro che si chiuda la frase più apodittica richiamando le “recenti conferme pubbliche” da parte del Pontefice. Un gruppo di lavoro e di studio, nell’ambito di un processo sinodale, che semplifichi in questo modo il proprio lavoro, avendo sia come premesse sia come conseguenze solo le parole di Francesco sul tema “donna”, mi pare che stia esagerando in modo vistoso.

Le “conferme pubbliche recenti” a che cosa si riferiscono? Alle barzellette sulle zitelle e sulle suocere? O alle interviste a 10.000 metri di altezza? In che modo un documento di lavoro e di studio può cavarsela, di fronte ad un tema così complesso, con riferimenti così scarsi, così rapsodici e così privi di argomentazioni? Siccome il Prefetto Fernandez ha già usato almeno in due occasioni questo argomento (“questo vuole il Papa”), mi pare che così egli finisca anche per dimenticare la lettera che lo stesso papa gli ha indirizzato per la sua nomina.

Nella quale il “cambio di paradigma” significava anche un Dicastero che sapesse “fare teologia”, che sapesse confrontarsi con la cultura, che volesse aprire prospettive veramente nuove e non solo affannarsi a fare da altoparlante del principio di autorità. Al posto di un nuovo paradigma vedo solo l’accentuarsi, un po’ smaccato, di un vecchio vizio.

Cambio di paradigma 4: la storia delle donne, ma riletta con un occhio solo

Infine, quella “storia della autorità femminile”, che il documento dovrà stendere, sembra un passaggio in cui si può superare la comprensione della donna come “esterna” al compito apostolico della Chiesa. Ma quella storia, per l’intera sua campata, da Matilde di Canossa a Madeleine Delbrel, sta tutta integralmente prima del riconoscimento, come “segno dei tempi”, della donna che entra nello spazio pubblico.

Se leggiamo quella storia come se questo passaggio fosse soltanto una “moda passeggera”, una tentazione cui resistere o addirittura un “errore”, e non un cambiamento di paradigma, perdiamo una occasione storica. Questo cambio di paradigma è forse il più delicato e il più impegnativo. Bisogna molto lavorare e molto studiare per non cadere nel “luogo comune”, tanto comodo e tanto ingiusto, che ritiene che “le donne non devono fare gli uomini”.

Tradotto in modo volgare: non possono essere ordinate per restare se stesse. Confondere con un delirio di confusione la legittima aspettativa delle donne di non essere discriminate nell’esercizio della autorità, e di essere valorizzate al di qua e al di là di ogni “riserva maschile”, fuori e dentro la chiesa, non si risolve con una carrellata di “donne autorevoli”, senza cambiare il paradigma di comprensione della loro autorità.

Proprio l’accesso al ministero ordinato non può essere “escluso per principio” se si vuole davvero lavorare e studiare sul tema. Altrimenti, con la necessaria parresia, sarebbe più opportuno chiamare il soggetto di questo testo semplicemente “gruppo” e lasciar perdere lavoro e studio, almeno nel titolo: una rinuncia al registro retorico potrebbe essere un non trascurabile frutto sinodale.

Di questi 4 cambi di paradigma, che a parole la Chiesa cattolica ha di recente ricominciato a cercare con giusta urgenza, nelle 2 paginette del Gruppo 5, non trovo traccia. Qualche segnale maggiore appare nel lavoro di altri gruppi (in particolare nel gruppo 9, sulle “questioni controverse”). La speranza, diceva San Paolo, ha per oggetto ciò che non si vede. Un supplemento di speranza ci è chiesto di fronte a questa totale mancanza di visibilità e di percezione della radicalità della questione in gioco.

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