Sulle questioni riguardanti la preghiera con i cristiani di altre confessioni: è il titolo di una bozza di documento che l’ufficio sinodale per la presenza inter-conciliare sul diritto ecclesiastico ha messo on-line all’inizio di ottobre sul sito ufficiale del patriarcato di Mosca.
Si invitano pope e fedeli a intervenire per verificare e completare il testo, entro il 1° dicembre 2024. Quella della consultazione è una prassi a cui si ricorre per documenti su pratiche pastorali considerate non particolarmente rilevanti e già teologicamente definite. Sono ancora in discussione, ad esempio, alcuni testi sul terrorismo, sulla fecondazione in vitro e sull’esorcismo.
L’attuale bozza, sviluppata in sette punti, affronta la modalità della preghiera in occasione di incontri ecumenici confermando alcune prassi acquisite, ma con un tono e una preoccupazione di fissare confini e confermare interdetti.
In alcuni paragrafi iniziali si ricorda la tradizionale pena della scomunica per chi partecipa alla preghiera con gli eretici e, in particolare, l’inammissibilità della concelebrazione e dell’intercomunione. In ogni caso, è necessario il prudente giudizio del sinodo diocesano per evitare scandali e confusioni presso i fedeli.
Non recitare con gli altri
Si possono invitare non ortodossi al servizio del culto per facilitare l’avvicinamento alla Chiesa. È ammissibile, quindi, la presenza di persone non ortodosse, come anche rispondere a un invito analogo di altre confessioni.
Un chierico non ortodosso può essere presente, ma senza abiti liturgici e in un luogo che non lasci dubbi circa il suo coinvolgimento nel rito. Così il clero ortodosso non può vestire gli abiti liturgici quando è ospite di altre confessioni. Il pope dovrà alzarsi quando l’assemblea prega, ma non manifestare la sua partecipazione (stare zitto). In occasione di eventi caritativi, l’ortodosso potrà pronunciare una preghiera, ma non partecipare a quella comune.
Appartiene alla consuetudine il pellegrinaggio di ortodossi a luoghi di culto della tradizione cristiana indivisa (san Nicola a Bari o san Pietro a Roma) anche in occasioni di celebrazioni. In questo caso, la presenza ortodossa non è considerata partecipazione alla preghiera comune.
Esclusa in ogni caso la condivisione della comunione eucaristica, si dovranno evitare letture condivise di preghiere e celebrazioni liturgiche comuni.
Diversa la questione dei matrimoni misti e del culto relativo. Il matrimonio con cattolici, orientali e protestanti è celebrabile, ma a patto che gli sposi si impegnino a educare i figli nell’obbedienza ortodossa. Non è accettabile che un sacerdote non ortodosso benedica gli sposi durante la celebrazione ortodossa. Nel caso del battesimo dei figli, non si dovranno accettare non ortodossi nel ruolo di padrini o madrine.
In una delle note si cita un passaggio dei Principi fondamentali sull’atteggiamento della Chiesa ortodossa russa nei confronti delle confessioni non ortodosse: «L’unità della Chiesa è anzitutto una unità e una comunione nei sacramenti. Ma la vera comunione sacramentale non ha niente a che vedere con la pratica dell’intercomunione. L’unità non può realizzarsi che nell’identità dell’esperienza e della vita sacramentale, nella fede della Chiesa, nella pienezza della vita sacramentale nello Spirito Santo».
Queste disposizioni non sono una novità: sanciscono una prassi già in uso nel patriarcato di Mosca da parecchi decenni e che differenziano ancora di più la Chiesa russa da quella costantinopolitana, mentre la llineano alle posizioni delle Chiese ortodosse più rigorose nell’osservanza di quegli antichi canoni che proibiscono la preghiera con gli eretici, comel la greca (ma il punto è: questi antichi canoni non potevano ontemplare i Latini, che allora erano con i Greci, un’unica Chiesa). Si tratta di una tragica involuzione se si pensa che aagli inizi degli ’70 del secolo scorso, il Santo Sinodo russo, sotto il patriarca Alessio I (Simanskij) e su sollecitazione del metropolita di Leningrado Nikodim (Rotov), autorizzò l’ammissione dei cattolici alla comunione eucaristia (senza nemmeno nominare lo stato di necessià spirituale), disposizione che il patriarca Pimen, una volta morto Nikodim, hanno congelato.
Più che una “frenata ecumenica” mi sembra una “franata ecumenica”. Mi dispiace, ma non mi sorprende anche considerata l’evoluzione (o l’involuzione?) della gerarchia ecclesiastica russo-ortodossa