Il n. 384 di Giornale di teologia dell’editrice Queriniana offre un significativo sostegno all’insegnamento sociale di papa Francesco identificando il mercato come il vero potere dei processi di globalizzazione e indicando alle Chiese cristiane e al confronto interreligioso una alleanza per rovesciare il «potere dall’alto» dell’attuale globalizzazione con un «potere dal basso» che esprima la globalizzazione della solidarietà e il protagonismo dei poveri. L’autore del volume Globalizzazione e teologia è Joerg Rieger che insegna alla Southern Methodist Universy di Dallas (USA).
La tesi di fondo chiede alla teologia cristiana di fare i conti con il potere. Il differenziale del potere fra i popoli e all’interno dei popoli è ciò che determina una globalizzazione dall’alto rispetto a quella dal basso. Non basta l’attenzione alla tradizione teologica, non basta il riferimento alla cultura (R. Niebuhr), non basta il richiamo all’ethos comune tra la fedi (H. Kúng), è insufficiente lo sguardo sociologico dell’espansione del cristianesimo al Sud (P. Jenkins), è ambiguo il riferimento al processo di ellenizzazione del cristianesimo (J. Ratzinger) senza affrontare la questione del potere. Non farlo significa «di fatto dare un appoggio ai poteri esistenti» (p. 104). La teologia è parte del processo e conosce da sempre la logica della globalizzazione del messaggio. Non gli è possibile restare neutrale.
Nella storia vi sono esempi assai chiari. È il caso dell’impero romano, il primo esempio di globalizzazione dall’alto, che trova nell’affermazione «Cristo è il Signore» la negazione più radicale del suo cuore ideologico, la divinizzazione dell’imperatore. È il caso della conquista spagnola dei territori americani che, mossa da principi teologici e dalla convinzione di una civiltà superiore, riduce in pochi decenni la popolazione autoctona da 70 a 10 milioni. È il caso del sogno universalistico del fascismo e del nazismo che lascia dietro di sé milioni di morti.
Un contro-potere dal basso è visibile nella forma iniziale del cristianesimo che si impone a partire dai poveri e non dalle elites, percepito dall’impero come uno dei maggiori pericoli e dagli intellettuali come una stoltezza inspiegabile. Analoga la situazione di quanti, come Bartolomé de Las Casas o Francisco de Vitoria, oppongono all’occupazione dura dei conquistatori spagnoli la dignità umana delle popolazioni autoctone e la libera adesione alla fede cristiana. Anche la Dichiarazione di Barmen e la posizione teologia di K. Bart e D. Bonhöffer costituiscono la resistenza cristiana all’idolatria del potere nazista. Una parte della dottrina sociale cattolica come la teologia della liberazione sono ulteriori esempi di come la fede alimenti una globalizzazione dal basso, a vantaggio degli umili e meglio rispondente all’immagine di Dio trasmessa dal Vangelo di Gesù.
Vi sono forme «morbide» della globalizzazione dall’alto, basate più sul condizionamento culturale, economico e tecnologico, che possono oscurare o coprire la struttura di fondo dei rapporti di potere. Alcune teologie ne sono lo specchio: come la teologia dello sviluppo o la teologia della prosperità. Forme culturalmente subalterne, depotenziate dall’istanza critica del Vangelo. Basterebbe guardare con apertura mentale ai milioni di persone operanti nei movimenti alternativi per comprendere i naturali alleati di un cristianesimo non ostaggio del potere. «Il problema oggi non è semplicemente che i cristiani confessino o meno la Trinità o la divinità di Cristo. La questione è cosa confessioni del genere significano nei rispettivi contesi di globalizzazione in termini di potere dall’alto al basso».
Le posizioni di Rieger incrociano alcuni elementi del magistero di Francesco: dalla giudizio sull’ideologia del mercato alla consapevolezza dei processi globali, dalla valorizzazione dei movimenti popolari alla distanza dai poteri internazionali. Ma sono davvero sovrapponibili? Difficile affermarlo. Soprattutto se si evidenza la dimensione della teologia di lode con cui si apre il primo capitolo del documento di Aparecida, l’attenzione alla religiosità e pietà popolare, l’insistenza su un processo di discernimento che è sia per il popolo che per i singoli. La misericordia più che il potere è il cuore del magistero papale.