Etica e politica

di:

meditazione

La società scristianizzata afferma, non saprei dire se con ragione, di non amare i «sacerdoti»: di sicuro, essa si affida volentieri a «oracoli» di varia specie, con base in questo o quel tempio della scienza, chiamati ad ammannire i loro responsi a beneficio della «plebe» bisognosa di Verità.

Negli ultimi anni, data l’aria che tira nel Pianeta, è particolarmente gettonato, tra questi aruspici, il «geopolitico». Egli o ella ci spiega come funziona veramente il mondo, al di là delle ideologie e della propaganda, utilizzando per tale missione tutta la gamma dei media, dalle riviste specializzate a YouTube.

Per quanto metodologicamente secolare, come ogni scienza che si rispetti, la geopolitica ha i suoi dogmi. Il principale sembra essere il seguente: nelle relazioni internazionali (ma anche in politica interna), non valgono considerazioni etiche, bensì soltanto interessi e rapporti di forza.

Il discorso che si presenta come «valoriale» è pura e semplice chiacchiera e il geopolitico ci spiega (in termini, va detto, non privi di aspetti salutari), che ciò non vale solo per Vladimir Putin e Xi Jinping, ma anche per Kamala Harris e per l’Unione europea.

Naturalmente, è una novità: noi italiani tendiamo a pensare anzitutto a messer Niccolò Machiavelli, ma si potrebbe risalire almeno fino a Tucidide. Nell’orizzonte globale, sembra che l’unico apostolo della dimensione etica sia il pontefice romano. Egli percorre il mondo, mediatico e non, predicando la Misericordia e l’Amore nonché, su quello che viene presentato come il registro «laico», la Pace e la Giustizia. Questo ruolo di «Capo degli Uomini Buoni» (l’espressione è di Stefano Benni) è di solito accolto volentieri dagli altri potenti della terra, ma solo sul piano del minuetto parapolitico.

La quantità di Bene così generosamente dispensata, infatti, è tale da passare sopra o accanto alla concretezza della politica. In tal modo, nonostante l’ossequio formale regolarmente incassato, questo tipo di «profezia» (il termine è addirittura inflazionato in tale contesto) rischia di sottolineare ulteriormente, come se ce ne fosse bisogno, l’incapacità dell’orizzonte etico, per non parlare di quello religioso, di intercettare significativamente la realtà. Anzi, anche qui arriva il geopolitico, che spiega come la stessa Santa Sede (proprio in politica la si chiama così, transitando impavidamente di fronte all’ironia involontaria) abbia le sue strategie, perseguite dalle divisioni del papa, che esistono eccome, anche se non sono quelle alle quali pensava Stalin.

Sia permesso però a chi non è geopolitico e non parla da finestre anch’esse romane trasmesse in mondovisione, di porre una domanda ingenua: è realmente possibile una politica senza etica? Platone pensava di no, ma il geopolitico, insieme a Karl Popper o semplicemente alla persona di buon senso, obietterà che l’Idea del Bene non ha avuto un grandissimo successo nella costruzione di relazioni umane pacifiche e sicure.

Forse il profilo, non tanto della domanda, quanto della risposta, potrebbe essere abbassato. Provo a riformulare così: perché una democrazia sgangherata e inquinata da pulsioni fascistoidi come quella italiana è comunque assai «migliore», per fare un paio di esempi, del sistema politico della Corea del Nord, o anche della Repubblica Cinese detta «popolare»?

Forse perché alcune convinzioni morali, magari indicate con la minuscola, per nulla sacre, costantemente contraddette, esercitano una (troppo) limitata ma reale influenza. Se tali convinzioni siano riconducibili o meno, indirettamente, alla predicazione di Gesù è questione meno decisiva di quanto a volte le Chiese sembrino pensare.

Potrebbe però darsi che anche le cristiane e i cristiani abbiano un modesto ruolo non nell’enunciare sommi principi, la cui irrilevanza è in proporzione diretta al loro carattere roboante, bensì frammenti di etica quotidiana, in assenza dei quali la politica è una cosa orrenda.

Tucidide, dicevamo, la descriveva bene: ma nell’immaginarsi, assai realisticamente, il dialogo tra gli Ateniesi e gli abitanti di Melo, il suo realismo è intriso di disperazione, tanto più efficace perché implicita. Almeno chi è cristiano non è convinto del fatto che, 2.500 anni dopo, ci si debba fermare lì.

Fulvio Ferrario è professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Pubblicato sulla rivista Confronti il 1° ottobre 2024

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