Elogio del racconto

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Le applicazioni di massa dell’intelligenza artificiale pongono molte questioni sulla natura umana del raccontare. Un libro, scritto da autori in carne e ossa, tesse un elogio della narrazione e si propone come invito alla riflessione sulla condizione umana e sulla sua irriducibilità al dispositivo tecnico, alla “macchina”.

Lorenzo Biagi e Stefano Didonè firmano Oltre ChatGPT. Elogio del racconto, pubblicato nella collana Sophia della Facoltà teologica del Triveneto (Praxis. 19, pp. 120, € 15,00) in coedizione con Edizioni Messaggero Padova.

Le due voci, una filosofico-antropologica, l’altra biblico-teologica, evidenziano che ogni racconto umano è espressione delle contraddizioni, della miseria e della nobiltà dell’uomo in quanto creatura pensante, irriducibile a un sistema algoritmico (tecnicamente un chatbot letterario).

«L’essere umano, in quanto essere storico, – spiegano gli autori nell’introduzione – ha bisogno dei racconti per dare forma al senso e al suo mondo di significati. Ogni storia viene raccontata perché l’uomo non accede alla storia in forma neutra, ma attraverso delle narrazioni, che veicolano delle interpretazioni».

L’homo narrans tesse racconti, si riveste di storie, per custodire la propria vita, per dirla con le parole di papa Francesco. I racconti di Dio che popolano la Bibbia introducono il lettore in una foresta di personaggi, fittizi e non, attraverso i quali si dipana la “storia della salvezza”; una storia quasi mai lineare e intrisa di vicende umane drammatiche e fragili, che diventano “salvifiche” nel momento in cui rivivono grazie alla fede di quanti continuano a raccontarle.

Homo narrans: intelligenza ed etica narrativa

Sono due i principali paradigmi generativi di sapere: quello scientifico – che, in fondo in fondo, crediamo sia il solo certo, vero, affidabile, degno del nostro assenso – e quello narrativo – che gli vive accanto ma sottovalutato e svalorizzato nello schema tipicamente moderno di pensiero.

È invece proprio questo secondo sentiero che Lorenzo Biagi percorre nel saggio Homo narrans, partendo dall’evidenza che l’umano «è un vivente in continua ricerca di compiutezza, continuamente immerso in narrazioni (interiori e socioculturali), in “storie” vissute e raccontate che gli permettono di vivere dando un senso e una direzione alla sua ricerca di compiutezza, mai conseguita».

L’autore sottolinea l’urgenza di rimettere al centro l’intelligenza narrativa, senza per questo misconoscere, ma nemmeno assolutizzare, le qualità di quella scientifica. «Il narrare – scrive – ci aiuta a dare un senso, una forma al nostro essere in divenire ed è una dimensione irriducibile della comprensione di sé». La narrazione è una forma produttrice di significato, in un dinamismo vitale che intreccia identità personale e identità sociale.

Se raccontare è interpretare, l’uomo è quell’essere che si autointerpreta (Charles Taylor), «così che l’interpretazione narrativa svolge un ruolo essenziale nel fare di noi ciò che siamo», conclude Biagi passando poi al tema dell’etica narrativa: non c’è narrazione senza una morale. «La narrazione di storie costituisce una parte fondamentale della nostra educazione etica e morale, tanto nell’articolazione della vita personale quanto in quella della vita insieme. L’etica si impara, prima che dai principi, grazie ai racconti di vita o a vite narrate».

La verità ci fa come siamo e le espressioni narrative sono plurali – poiché il vero non è univoco ma polivoco e sinfonico e trascende sempre le nostre possibilità –; perciò i racconti non sono solo cose a cui credono i bambini; anche gli adulti hanno le loro narrazioni, chiamiamole ideologie, utopie, sogni, immaginazioni, credenze religiose, ideali…

Una delle caratteristiche salienti della nostra epoca “post-moderna” è la perdita di credibilità di alcune grandi narrazioni sulle quali è sorta e si è sviluppata la civiltà occidentale (l’idea di Dio e di verità, lo statuto del sapere teorico, le pratiche morali di vita con i loro valori; l’uomo da suddito a cittadino, la visione della storia come crescente cammino di libertà e autonomia dell’uomo…).

«A preoccuparci oggi – sottolinea Biagi – è soprattutto il lento deperimento della narrazione democratica e delle sue traduzioni pratiche di vita culturale, politica, sociale ed economica; altrettanto ci preoccupa lo stato contraddittorio e talora foriero di fondamentalismi e violenze delle narrazioni religiose».

Stiamo imparando che la narrazione è l’originale strada maestra per cercare il senso della vita, per trasformare la vita da fatto biologico in esperienza vissuta. Per quanto i dati siano importanti – e da tenere in conto –, li dobbiamo interpretare, dare loro un senso, inscriverli in una visione di equilibrio e di convivialità interumana e cosmica. «In definitiva, ciò che stiamo cercando, tra mille contraddizioni, e gravi responsabilità anche verso le generazioni future, è una nuova narrazione capace di elevarsi sulle ceneri delle vecchie, molte delle quali sono certamente responsabili del dramma cosmico e sociale che stiamo vivendo».

Un compito che ci attende tutti, da affrontare con desiderio e passione: osare un’immaginazione con la capacità di tenere insieme i destini dell’umanità e il destino della terra. È l’ecologia integrale a cui ci richiama papa Francesco.

Raccontare Dio: la teologia narrativa

Nel saggio Raccontare Dio Stefano Didonè riparte dal paradosso del cosiddetto “paradigma narrativo”, la cui forza (persuasiva) sta nella sua apparente debolezza (argomentativa).

Leggere, ascoltare, raccontare una storia è una dinamica antropologica strutturante l’esistenza dell’uomo, animale narrativo, «che, nel Novecento, ha assunto la forma delle grandi narrazioni ideologiche, mentre oggi si presenta come micronarrazioni stagionali (come le serie sulle piattaforme digitali) o addirittura quotidiane (come le storie su Instagram).

Ma raccontare è necessario – afferma Didonè – anche per l’uomo religioso, per appropriarsi esistenzialmente di un’esperienza attraverso la quale Dio gli parla. La Bibbia è un grande patrimonio per l’umanità e ha «una potenza narrativa inesauribile che oggi, in un’umanità sempre più urbanizzata e tecnologizzata, risalta ancora di più come risorsa di umanizzazione. Almeno a chi si pone in atteggiamento di autentico ascolto sincero».

Inoltre l’autore sottolinea – citando Theobald – come la lettura delle Scritture oggi non è più universalmente “credente”, ma di interesse “culturale”. «Ciò corrisponde ai profondi cambiamenti in atto, per cui l’accesso alla fede da parte degli uomini e delle donne di oggi non avviene una volta per sempre, ma viene continuamente messo in discussione, anche negli stessi credenti».

Non c’è però solo l’avventura personale del singolo lettore o della singola lettrice. Il “corpo a corpo” con il testo è un’esperienza che lascia il segno anche a livello collettivo. I cosiddetti “racconti fondatori” nella Bibbia diventano generativi di nuove storie, spesso di scoperta di un volto inedito di Dio. «Per questo sono annoverabili come racconti di conversione, perché ogni conversione è una nuova generazione, una rinascita».

Un caso emblematico è l’incontro di Elia con Dio nel deserto (1Re 19), che Didonè rilegge alla luce di quella specie di traversata postmoderna del deserto che è stata l’esperienza della pandemia di Covid-19.

Infine, la teologia narrativa che, accanto alla forma enciclopedica dei trattati a racchiudere la dottrina, riconosce oggi l’homo narrans e vede nella “intelligenza narrativa” la principale risorsa dei racconti biblici; un invito a ogni lettore e lettrice a esporsi alla sfida di una relazione da vivere nella storia.

«L’interpretazione credente nasce da un’attribuzione di significato che il lettore compie dopo avere fatto esperienza di un incontro con l’evento che genera il testo»; tramite l’atto del leggere egli diviene così co-attore dell’evento della rivelazione, come esemplifica l’esperienza dell’ascolto delle parabole.

«Le parabole offrono dei percorsi aperti che provocano gli uditori a riposizionarsi nei confronti di Dio rispetto alle loro iniziali attese e valutazioni e rappresentano dei percorsi di educazione dell’umano. Si propongono a tutti, credenti e non credenti, a condizione di imparare a coltivare la propria interiorità, spingendosi fino alla soglia dell’incontro con un Dio sorprendentemente vicino».

D’altra parte, i personaggi evangelici sono “vivi”, evolvono e non corrispondono ad un cliché prestabilito, a differenza di quelli mitologici, imprigionati nel cerchio chiuso del destino.

Raccontare, dunque, non è prima di tutto trasmettere un contenuto, ma condividere l’esperienza di un incontro vissuto nella fede. Alla verità di Dio – conclude Didonè – possiamo accedere solo ermeneuticamente, quindi nella forma narrativa. Per questo, nell’epoca della sempre maggiore interazione con i sistemi artificiali, l’appello è a elaborare nuovi racconti e nuovi paradigmi umani, per «concorrere allo sviluppo umano integrale anche nel campo dell’intelligenza artificiale, coltivando quel principio di responsabilità che rende la “casa comune” ancora ospitale e abitabile».

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