Siamo allo scatto finale delle elezioni, le ultime quattro settimane, il periodo in cui tradizionalmente davvero gli Americani decidono chi scegliere come presidente e il tempo in cui alcuni hanno già cominciato a votare per posta.
I democratici sono in testa nei sondaggi ma sono ancora timorosi per i precedenti del 2016 di Hillary Clinton e Joe Biden nel 2022. Hillary era in testa nei sondaggi, quindi sicura della vittoria, ma perse per il voto di alcuni stati. Biden vinse molto bene ma poi il trasferimento della presidenza fu difficoltoso. Quindi sono ancora molto incerti e spaventati per questo potrebbero sottovalutare il vantaggio che hanno. Infatti, Harris non solo è in vantaggio nei sondaggi ma sta aumentando di giorno in giorno il distacco con l’avversario Trump.
I repubblicani appaiono divisi. Ci sono quelli nel panico per timore di una sconfitta travolgente e altri che credono che in fondo le elezioni si decideranno in tre-quattro contee di tre-quattro stati. Qui c’è una maggioranza repubblicana invincibile. Le contee faranno vincere gli stati chiave e questi, a loro volta, decideranno il risultato per l’unione.
Non so davvero come andrà a finire. Occorre seguire di giorno in giorno e vedere in sostanza il 6 novembre.
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Ci sono poi altri quesiti oggi forse ancora più importanti. Cosa succede se Trump vince di misura? E cosa succede tra quattro anni quando dovrebbe dimettersi in ogni caso per l’attuale costituzione?
I democratici “main stream” dicono che la folla democratica non è riottosa come i repubblicani e, diversamente dai repubblicani, non hanno milizie armate che li fiancheggiano.
Ma anche senza pensare al ritorno a forme di militanza armata come le pantere nere negli anni ’70, si può immaginare uno stallo o difficoltà gravi nel funzionamento della macchina statale con gente che si opporrà a Trump e con Trump che vorrà rimpiazzare migliaia di persone “leali al presidente”. Questi nuovi lealisti funzioneranno poi? Trump ha una storia di assumere e licenziare facilmente personale e la sua nuova amministrazione potrebbe incontrare non pochi ostacoli.
Potrebbe essere anche che Trump, 78 anni, spezzato da una campagna elettorale defatigante, diventi solo una maschera del suo stesso potere e la macchina passi invece ad altri. L’ex segretario di stato Mike Pompeo, 61 anni, oggi candidato a segretario alla difesa, potrebbe essere un uomo chiave. Pompeo dopo le elezioni del 2020 si era schierato contro il tentativo di Trump di non concedere la vittoria a Biden. Quindi potrebbe essere una garanzia di solidità del sistema, tutto sommato.
L’altra eventualità è che Trump perda e nel caso potrebbe perdere male. Qui sembra esserci un consenso sul fatto che se ciò accadesse lui sparirebbe all’orizzonte. Ma non è chiaro cosa accadrebbe alla sua agenda politica.
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La spinta del programma 2025 della Heritage Foundation (repubblicana) e l’opposizione al voto della Corte suprema sulle responsabilità del presidente (democratici) sembrano andare entrambi verso un cambiamento degli equilibri di potere e un aumento delle prerogative del presidente.
In caso di vittoria repubblicana è più chiaro: il presidente avrebbe più poteri e si comincerebbe a scivolare verso una situazione in cui il presidente davvero si erge al di sopra degli altri poteri che in America si contrappongono e bilanciano. Sarebbe poi incerto se Trump tra quattro anni si dimetterà e se i repubblicani vorranno cambiare le regole elettorali favorendo ulteriormente gli stati tradizionalmente repubblicani contro quelli democratici.
In caso di vittoria democratica il cambiamento potrebbe essere più sottile ma ugualmente pervasivo. Ci sono infatti due chiodi da fissare secondo alcuni democratici. Il primo riguarda la Corte Suprema, e qui Biden ha già messo in moto una macchina che ne riduce di fatto i poteri. Però nei fatti se l’ombra del potere della Corte si accorcia quello del presidente si allunga.
L’altro riguarda una ridefinizione dei confini delle contee (gerrymandering, per favorire un candidato un altro) e il peso dei voti degli stati contro il voto popolare. Dai tempi di Bush padre i repubblicani hanno sempre perso il voto popolare. La cosa è considerata iniqua da alcuni democratici e ci potrebbero essere misure di riequilibrio, imponendo, per esempio, l’elezione del presidente solo in base al voto popolare. L’equilibrio del potere sarebbe garantito dal Senato e Congresso, eletti secondo le regole presenti.
Le possibili riforme repubblicane o democratiche cambierebbero comunque l’attuale equilibrio americano, alimentando tensioni e divisioni all’interno della politica e società. Tradizionalmente quando ci sono enormi tensioni interne un modo per unificare il paese è proiettarle all’esterno, chiunque vinca. In una situazione dove ci sono due guerre aperte, in Ucraina e Medio Oriente, e una tensione pesante in Asia sulla Cina, facile che un’America preoccupata e divisa troverebbe in un conflitto uno spirito di unità.
Una vittoria schiacciante della Harris e una sconfitta di Trump, dove il partito repubblicano si riforma, invece forse potrebbe aprire una fase di riconciliazione nazionale dove le parti potrebbero trovare un accordo (che rimarrebbe difficile) anche sulle riforme istituzionali sul tappeto.