Tra le cose che fin dall’inizio erano chiare – e che subito dopo la lettura di Amoris lætitia sono state segnalate – vi era l’effetto profondo che AL avrebbe fatto sul profilo e sull’identità non tanto del diritto canonico quanto dei canonisti. Solo pochi tra di loro, infatti, si sono resi conto della portata che AL avrebbe rappresentato non solo per pensare la tradizione canonica, ma per rivedere luoghi comuni e prassi acquisite della professione del canonista. Quel giudizio reciso – “è meschino” – che si legge all’inizio del n. 304 di AL, e che i canonisti competenti hanno letto con gusto e con piacere, è caduta come una doccia fredda sui canonisti che si sono cullati nell’idea di poter sostituire vescovi, pastori e moralisti nell’identificazione della “prassi giusta” della Chiesa.
Per comprendere che cosa sia in gioco, in questa svolta, vorrei brevemente rifarmi al dialogo avvenuto, su una rivista scientifica, tra uno dei pochi canonisti che ha fatto propria in modo convinto la parola di papa Francesco sulla “Chiesa in uscita” e la risposta di un canonista indisponibile a questa parola, che si arrocca in modo piuttosto scomposto e poco accademico in una serie di ironie e di luoghi comuni che non fanno certo onore al suo titolo. Mi riferisco rispettivamente a Pierluigi Consorti (Pisa) e a Andrea Zanotti (Bologna), che sono intervenuti sulla rivista Stato, Chiese e pluralismo confessionale, all’interno della Rubrica “A chiare lettere”. Tutto era cominciato da un articolo che il prof. Consorti aveva scritto per la rivista Quaderni di diritto e politica ecclesiastica con il titolo «Per un diritto canonico periferico», nel quale l’autore entrava in modo competente nelle prospettive di profondo rinnovamento che il pontificato di Francesco chiede e ancor più chiederà allo strumento legislativo, per accompagnare efficacemente una Chiesa in uscita. Lo strumento istituzionale deve diventare duttile, deve ripensare forme e contenuti, deve assecondare conversioni e riforme. Per farlo deve uscire dalla autoreferenzialità. Deve diventare disciplina critica e profetica.
Le ottime idee di Consorti sembrano bestemmie alle orecchie del canonista clericale. Perché il clericalismo non è pericoloso solo quando indossa il colletto romano, ma ancor più quando mette giacca e cravatta. Il prof. Zanotti, quando pretende di replicare a Consorti, non resiste all’intemperanza e sbotta. E purtroppo è evidente che il suo obiettivo polemico non è Pierluigi Consorti, ma Jorge Mario Bergoglio. E il giurista, contraddicendo la sua professione, infila, uno per uno, tutti i pregiudizi, le insolenze e i luoghi comuni antibergogliani che gli spiriti più reazionari abbiano saputo creare negli ultimi anni.
A beneficio del lettore ne elenco qui solo alcuni: la legge sarebbe, per il cristianesimo, quasi il cuore del Vangelo; l’incarnazione sarebbe il titolo con cui il giurista canonico paralizza la storia; il diritto divino, concluso nella rivelazione, sarebbe immodificabile e completo; la coerenza con la tradizione sarebbe la logica decisiva del canonista; e questa riposerebbe su un’intelaiatura dogmatica solo da rispettare; papa Francesco non sembra nutrire simpatia per teologi e giuristi; egli contrapporrebbe misericordia a dogma e legge; addirittura userebbe due pesi e due misure tra affermazioni sulla collegialità e procedimenti assolutistici.
In queste considerazioni davvero scomposte anche un professore come Andrea Zanotti si permette di avvalorare il suo dire con “fonti scientifiche” di grande peso come le “voci di corridoio”. Così, sulla base di queste voci, che probabilmente lo stesso Zanotti ha provveduto a diffondere in perfetto stile clericale, egli si permette di mettere in discussione le nomine degli uffici di curia, le designazioni dei membri del Sinodo, le attribuzioni delle berrette cardinalizie. Così, nobilitando con il titolo di canonista il pettegolezzo degli esclusi di curia, Zanotti preferisce il mestiere del chiacchierone e del mormoratore a quello del professore. Ed è un vero scandalo che un professore ordinario dia credibilità alle “voci di corridoio” di insulto al papa, senza alcun controllo critico e cioè rinunciando al proprio mestiere.
Va aggiunto che altre forme di falsificazione Zanotti propone anche a proposito del Sinodo sulla famiglia, dove pur di gettar fango su Francesco, non esita a mentire sulla natura delle esortazioni apostoliche precedenti per screditare AL, cui il fine giurista, accecato dalla rabbia reazionaria, attribuisce addirittura intenti di “destabilizzazione”.
Ma quale credibilità pensa di avere procedendo in questo modo? Potrà forse pensare che uno solo possa credere al suo uso disinvolto dell’opinione personalissima come se fosse “diritto divino”, al solo scopo di custodire uno “status quo” che egli sembra identificare con il Vangelo? A quali abissi di ignoranza della tradizione deve essere condizionata questa strana forma di arrogante competenza canonica? Che si indigna perché un papa gli complica gli schemini facili facili con cui spiegare come lucrare le indulgenze? Da quale sacrestia impolverata parla il nostro azzeccagarbugli tridentino?
Sarebbe questa la “parresia” di cui ha bisogno la Chiesa? O questa è semplicemente l’arroganza intemperante di chi pensa la Chiesa funzionale al diritto canonico e non viceversa?
A me sembra che questo scambio di idee, tra lo stile garbato e assennato di Consorti e l’intemperanza e la maleducazione di Zanotti, sia un ottimo specchio dei tempi. E rappresenti, in modo significativo, una delle sfide più alte che il pontificato di Francesco ha messo in moto. La riforma della Chiesa ha sempre avuto i suoi oppositori. Oggi trova un’opposizione forte e viscerale nella “lobby dei canonisti”. Non certo tutti, ma buona parte sono figli di una disperazione: hanno ritenuto di poter giuridicamente controllare la Chiesa, di renderla autoreferenziale, di chiuderla in un recinto e di addomesticarla alle ragioni borghesi dell’ordine pubblico. Francesco ha capito, con molta lucidità, che questo “potere dei canonisti” doveva essere fermamente ridimensionato. I canonisti lungimiranti sanno di poter restare decisivi solo in una Chiesa in uscita. I canonisti miopi pensano che una Chiesa in uscita farà a meno di loro. Il che è vero se pretendono di restarne immuni.
Non vi è dubbio che la sgangherata reazione di Zanotti al pontificato di Francesco dia molto da pensare. E anzitutto rimandi all’inadeguatezza di non pochi canonisti rispetto alla vita della Chiesa reale. E al bisogno che sentono di demonizzare ad oltranza ogni azione di papa Francesco, pur di difendere quello straccio di identità a cui hanno ridotto il diritto canonico.
Tanto più ammirevole mi sembra l’opera di ripensamento e di riabilitazione che del diritto canonico tentano giuristi autorevoli come Consorti, sia pure nel mare agitato di una disciplina in giusta evoluzione. E che AL costringe a un profondo “redde rationem”.
Pubblicato il 1 marzo 2017 nel blog: Come se non.