Congo: memoria per fare la storia

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Il dolore, come la felicità, può essere identificato con un luogo particolare. È difficile dimenticare i luoghi in cui si è sperimentata la disgrazia e anche la felicità. È una sorta di geografia sentimentale.

Quest’ultima è radicata nella memoria individuale e collettiva dei popoli. Chi può cancellare dalla memoria del popolo d’Israele la schiavitù in Egitto e la traversata del Mar Rosso? Cosa potrebbe far dimenticare all’Europa gli orrori delle cosiddette guerre mondiali? Cosa potrebbe far dimenticare agli americani gli eventi dell’11 settembre? Cosa renderebbe la caduta della Bastiglia un luogo comune per i francesi? Cosa farebbe perdere all’Africa il senso degli anni Sessanta? Semplicemente, la geografia sentimentale è una realtà vissuta.

Alla luce di quanto detto, ricordare il drammatico evento del rapimento dei sacerdoti assunzionisti a Mbau è un atto umano, di un cristiano e di un cittadino consapevole che il passato non muore, che illumina il presente e lo guida, e che è il seme della forza e del futuro perché è portatore di verità, la verità che libera.

Quindi tornare indietro non significa solo rimpiangere e piangere. Non è un atto vile. È piuttosto l’esaltazione di un coraggio, di una fede che dalle ceneri si può risorgere. Significa rifiutarsi di morire. Il ricordo diventa così un atto eroico, lievito e fondamento del progresso. Non si dice spesso che per andare avanti bisogna tornare indietro?

Il 19 ottobre 2012, ignoti assalitori fecero irruzione nella canonica della parrocchia assunzionista di Mbau, nel territorio di Beni, sequestrando tre sacerdoti: i padri Edmond Kisughu, Jean-Pierre Ndulani e Anselme Wasukundi. Dal 19 ottobre 2012 al 19 ottobre 2024, questi servi di Dio sono rimasti per quasi dodici anni in un luogo sconosciuto nelle mani dei ribelli islamisti dell’ADF-Nalu.

Questo rapimento e una serie di altri – il rapimento di medici, giornalisti e sacerdoti della parrocchia di Bunyuka – hanno gettato Beni in una psicosi e in un terrore senza precedenti. In effetti, le ragioni c’erano tutte! I rapimenti erano inizialmente rivolti a notabili e intellettuali locali. Non dimentichiamo che sacerdoti, medici e giornalisti restano la bussola in una società in cui l’analfabetismo continua a battere record. Eliminarli significava quindi privare il gregge dei suoi pastori e delle sue guide, seminando così il terrore. Una strategia di morte! Una strategia terroristica!

Da allora, l’attenzione si è spostata dai rapimenti agli attacchi mirati alla popolazione. Massacri. La gente è fuggita dai propri campi, concentrandosi nelle città di Beni e Butembo e nelle loro periferie.

Da un decennio a questa parte, innumerevoli vite sono state stroncate, destini che sono stati condannati all’inferno di una morte atroce, donne e bambini sono stati costretti a vagare, i bambini sono stati reclutati con la forza in questo gruppo di ribelli e trasformati in massacratori dei loro stessi fratelli e sorelle, le donne sono state ridotte in schiavitù sessuale in questi campi di droga… In breve, la morte è qui! Si è imposta.

Chi sta cercando di contrastarla? Il popolo stesso. Si rifiutano di morire. È sorprendente trovare a Oïcha, capitale del territorio di Beni ed epicentro dei massacri, giovani, donne e bambini con uno strano dinamismo, che vanno per i loro campi non senza paura ma con entusiasmo, pregano nelle chiese, si divertono nei bar. . tutto ciò che serve per affermare che a Beni, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, la vita si rifiuta di morire e che ora spetta ai politici rinnovare la loro politica a favore di una politica di verità, la verità che rende liberi.

Nel complesso, mentre preghiamo per il riposo delle anime dei sacerdoti assunzionisti e di tutte le vittime di questa guerra ingiusta, gridiamo quanto segue: SOS a Beni, SOS nell’est del Congo. Si perdono vite nelle acque dell’irresponsabilità nazionale e internazionale.

  • In collaborazione con la rivista africana Je écris, Je crie.

SEMENCE DE TERREUR : KIDNAPPING DES PRETRES ASSOMPTIONNISTES MBAU. DOUZE ANS DE TRISTE MEMOIRE.

La douleur, tout comme le bonheur sait s’identifier a un en undroit donné. Difficilement, l’on oublie les lieux où l’on a vécu le malheur et aussi le bonheur. Une sorte de “géographie sentimentale”, dirait-on! Cette dernière est encrée tant dans la mémoire individuelle que dans celle collective des peuples. Qui effacera, dans la mémoire du peuple d’Israël, l’esclavage en Egypte et la traversée de la Mer Rouge? Qu’est-ce qui pourrait faire oublier à l’Europe les affres des guerres dites mondiales? Qu’est-ce qui effacerait dans la mémoire ded americains l’événement du 11 Septembre? Qu’est-ce qui ferait banaliser, pour un francais, la chutte de la Bastille? Qu’est-ce qui ferait perdre, pour l’Afrique, sens aux années soixante? Tout bonnement, la geographie sentimentale est une réalité vécue.

Eu egard à ce qui précède, faire mémoire de l’événement malheureux du kidnapping des pretres assomptionistes à Mbau est un acte d’humain, de chrétien et de citoyen conscient que le passé ne meurt pas, qu’il éclaire le présent et l’oriente et qu’il est semence de force et d’avenir puisque porteur de vérité, cette vérité qui libère. Partant, revenir en arrière n’est pas seulement regretter, pleurer. Ce n’est donc pas un acte lâche. Bien plus, il s’agit de l’exaltation d’un courage, d’une foi que des cendres, nous pouvons repartir. C’est, partant, refuser de mourrir. Faire mémoire devient donc un acte héroïque, ferment et soubassement du progrès. Ne dit-on pas couramment qu’il faut reculer pour mieux sauter?

En effet, en date du 19 Octobre 2012, des inconnus d’alors font incursion au presbytère de la paroisse assomptioniste de Mbau, en territoire de Beni y kidnappant trois prêtres : les pères Edmond Kisughu, Jean-Pierre Ndulani et Anselme Wasukundi. 19 Octobre 2012, 19 Octobre 2024, voici pratiquement douze ans que ces serviteurs de Dieu sont en destination inconnue d’entre les mains des rebelles islamistes ADF-Nalu. Ce kidnapping et une serie d’autres – kidnapping des medecins, des journalistes, des prêtres de la paroisse de Bunyuka- plongènt Beni dans une psychose, dans une terreur sans précédent. Effectivement, il y avait de quoi! Les enlèvements étaient d’abord orientés vers les notables et intellectuels du milieu. Rappelons que prêtre, médecin, journaliste demeurent des boussoles dans une société où l’analphabétisme continue à battre record. Enlever ces derniers revenait donc à priver le troupeau de leurs pasteurs, de leur guide et , partant, semer la terreur. Une stratégie de la mort! Une stratégie terroriste !

Depuis, on est passé ded kidnapping aux attaques ciblées des populations. Des massacres. Des populations ont fui leurs champs se concentrant dans les villes de Beni et Butembo et dans leurs périphéries. Voici une décennie que des vies inombrables sont fauchées , que des destins sont condamnés à l’enfer d’une mort atroce, que des femmes et enfants sont contraints à l’errance, que des enfants sont enrôlés de force dans ce groupe rebelle et être transformés en massacreurs de leurs propres frères et soeurs, que des femmes sont réduites en esclavage sexuel dans ces camps des drogués,… Bref, la mort est là! Elle s’est imposée. Qui essaie de la repousser? Les populations elles-mêmes. Ces dernières, en effet, refusent de mourrir. Qu’il est étonnant de retrouver à Oïcha, chef-lieu du territoire de Beni et épicentre des massacres, des jeunes, des femmes et des enfants au dynamisme étrange, fréquentant leurs champs non sans peur mais avec enthousiasme, priant dans des églises, se rejouissant dans des bars,… tout ce qu’il faut pour affirmer qu’à Beni, qu’à l’Est de la République Démocratique du Congo, la vie refuse de mourrir et qu’il appartient dorénavant aux politiques de renouveler leur politique pour une politique de la vérité, de cette vérité qui libère.

Somme toute, en priant pour le repos des âmes des pretres assomptionnistes et de tous les trépassés victimes de cette guerre injuste, crions ceci : SOS à Beni, SOS à l’Est de la RDCongo. Des vies coulent dans les eaux de l’irresponsabilité nationale et internationale.

  • En collaboration avec le magazine africain Je écris, Je crie.
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