Un vecchio proverbio dice che un cammello è ciò che si ottiene quando un cavallo è stato progettato da un comitato.
Sono arrivato a Roma nella tarda serata di mercoledì della scorsa settimana, proprio mentre il Sinodo si avviava verso una giornata di pausa, giovedì, durante la quale il documento finale veniva preparato dal comitato di redazione. Anche se non è stato un giorno di pausa completo: nel pomeriggio di giovedì, il cardinale Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, ha incontrato infatti i delegati rispondendo alle domande sul quinto gruppo di studio a cui era stato assegnato il tema delle donne diacono.
Non riesco a immaginare una situazione in cui la stesura di un documento, che rappresenta un mese di discussioni tra quasi 400 persone provenienti da ogni angolo del mondo, in più lingue, possa andare perfettamente liscia. Scrivere un editoriale per America con il contributo di tutto il comitato di redazione è già abbastanza difficile con una piccola frazione di quel numero e tutti noi che lavoriamo in inglese.
Anche con questi avvertimenti, è stato affascinante, e profondamente speranzoso, vedere come il sinodo ha lavorato per produrre il suo documento finale, che papa Francesco ha poi adottato in toto, scegliendo di lasciare che il lavoro del sinodo diventasse parte del magistero ordinario piuttosto che scrivere la propria esortazione apostolica per finalizzarlo.
Un paragrafo può servire da microcosmo per spiegare perché questo documento mi sembra pieno di speranza, anche se ha l’aspetto del cammello dovuto alla redazione di una commissione.
Il paragrafo 60, sul ruolo delle donne nella leadership, è un po’ lungo e ingombrante. Inizia riconoscendo che «le donne continuano a incontrare ostacoli» nell’esercitare ruoli di leadership e di ministero all’interno della Chiesa; poi passa in rassegna alcuni di questi ruoli dalle Scritture fino all’esperienza contemporanea. Spesso, durante il sinodo, questo elenco di ruoli è stato dato come un modo per dire «no» alla questione dell’ordinazione delle donne al diaconato, come se dire «vedete in quanti modi le donne possono già svolgere il loro ministero?» risolvesse la questione se Dio chiami o meno alcune di loro a svolgere il loro ministero come diacone.
Ma quel paragrafo prosegue oltre l’elenco. Chiede una «piena attuazione» di tutte le possibilità di leadership femminile già disponibili nel diritto canonico, dicendo che «nessuna ragione o impedimento» dovrebbe impedire alle donne di esercitare tale leadership, perché «ciò che viene dallo Spirito Santo non può essere fermato». E poi va oltre, dicendo che «la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale rimane aperta. Questo discernimento deve continuare».
Non posso fare a meno di chiedermi se questo è ciò che diceva la bozza iniziale. Penso che quasi certamente non sia così, anche se ovviamente noi, al di fuori dell’aula sinodale, non siamo a conoscenza delle specifiche bozze e delle revisioni. Ma sappiamo che questo paragrafo, pur essendo passato con quasi tre quarti dei delegati che hanno votato a favore, ha ottenuto più no di qualsiasi altro nel documento (97 contrari, 258 a favore).
Questo paragrafo non ha soddisfatto pienamente tutti (o forse nessuno). Coloro che pensano che l’ordinazione delle donne, anche al diaconato, sia teologicamente impossibile sono frustrati dal fatto che la questione non sia stata definitivamente chiusa; e molti sostenitori delle donne diacono, insieme a molti osservatori al di fuori della Chiesa, vedono in questo paragrafo un semplice “punting” sulla questione, per usare il linguaggio del titolo del New York Times sul documento.
Ascoltando i delegati, tuttavia, ho sentito qualcosa di molto diverso. Non c’era sufficiente unità intorno alla questione delle donne diacono per risolverla nell’aula sinodale. Anche se ci fosse stata, papa Francesco è stato chiaro nel dire no all’ordinazione delle donne come diaconi, e il cardinale Fernández ha ripetutamente detto che la questione teologica non è «matura».
Dal momento che il sinodo non è un parlamento della Chiesa, una questione come questa non può essere risolta da una maggioranza, o addirittura da una super-maggioranza, che annulla le voci contrarie in una votazione. Tuttavia, poiché la sinodalità è una «dimensione costitutiva» della Chiesa, come si legge nella relazione finale, nemmeno le autorità teologiche o il papa possono ignorare completamente il fatto che il sinodo continui a porre la questione. Infatti, come ha sottolineato il cardinale Jean-Claude Hollerich nella conferenza stampa di presentazione del documento finale, adottandolo nel magistero ordinario il papa ha effettivamente detto che la questione rimane aperta.
Un tema che il documento sinodale richiama più volte è la distinzione tra unità e uniformità, ricordandoci che la Chiesa è chiamata alla prima piuttosto che alla seconda. L’unità è un obiettivo elevato. Richiede un’attenta conservazione dove è già stata realizzata e la pazienza di promuoverla dove non è ancora evidente. Ma l’uniformità non è una scorciatoia per l’unità; non può essere semplicemente imposta prima che quest’ultima sia stata coltivata e sperimentata.
Sul tema delle donne diacono – e anche su altri temi complicati, come l’autorità di insegnamento delle conferenze episcopali o il ministero alle persone escluse a causa della loro «situazione matrimoniale, identità o sessualità» – il sinodo sta cercando l’unità pur riconoscendo che l’esperienza e il giudizio su questi temi non sono uniformi in tutta la Chiesa. Il documento finale è stato in grado di nominare queste realtà senza pretendere di risolverle per via teologica, ecclesiale o sinodale.
Alcuni lo troveranno frustrante o potranno pensare che sia un risultato ridicolo dopo anni di sforzi e consultazioni. Ma quando ieri mi sono seduto nella Basilica di San Pietro per la Messa finale del Sinodo, l’ho trovato una fonte di speranza e un motivo di gratitudine. Questa realtà complicata è il luogo in cui si trova la Chiesa e in cui opera lo Spirito Santo.
Può sembrare il cammello venuto fuori al posto del cavallo che volevamo… ma Dio con esso potrebbe anche essere in grado di attraversare deserti dove un cavallo morirebbe di sete.
- Pubblicato sulla rivista America.
Il Papa ha fatto molto bene a non scrivere un’esortazione apostolica a termine del Sinodo dei vescovi, perché sarebbe stato aggiungere solo parole a parole e quindi un perdere tempo per doverle scrivere. Inoltre, nobilitando a magistero ordinario il documento finale, ha evitato di venir negativamente criticato per eventuali prese di posizione dissonanti da quanto indicato dal Sinodo. Ha poi evitato di entrare in conflitto col suo stesso pensiero, perché ora afferma che non può esserci accesso al diaconato per le donne, ma è stato proprio Lui a iniziare a parlarne una decina di anni fa: se avesse usato un po’ di prudenza, non saremo in questo conflitto.
All’articolista dico che, ben per lui se ha trovato speranza con un solo giorno da osservatore del Sinodo, ma non vorrei che tale tema fosse solo un ritornello superficiale e ripetitivo in preparazione all’imminente anno santo.
Sempre che i muli , cioè le donne , non vadano per altra strada. E allora il deserto , cavallo o cammello , ve lo attraversate da soli !