«La Riforma non è solo un evento storico ma anche un principio, una protesta perpetua, un processo». Così il teologo protestante Jörg Lauster, dell’Università di Monaco, ha esordito nella giornata di studio che si è svolta a Venezia il 23 febbraio scorso, promossa dall’Istituto di studi ecumenici San Bernardino in collaborazione con la Facoltà teologica del Triveneto, nell’ambito del progetto di ricerca A 500 anni dalla Riforma protestante. Ripensare l’evento, viverlo ecumenicamente.
«Le forme di espressione del cristianesimo devono restare aperte a ciò che è più grande di quanto esse esprimono, altrimenti rimangono in silenzio. Questa intuizione è il nucleo della Riforma» ha sottolineato il pastore protestante, che ha ribadito: «Il cristianesimo è più della nostra storia. È per questo che la Riforma è di tutti».
Valore ecumenico della Riforma
La Riforma come principio e processo ha anche un valore ecumenico. La perdita dell’unità dei cristiani «è una cosa triste, ma alla fine necessaria»; è il risultato di quella protesta eterna che sorge in modo permanente nella storia del cristianesimo: «Con la diversità confessionale abbiamo uno specchio in cui vediamo quello che ci manca nella nostra realizzazione del cristianesimo, sia protestante, cattolica o ortodossa – e che deve necessariamente mancare. Il cristianesimo vive da una forza sacra che è inesauribile. Necessariamente si esprime in una varietà di espressioni e modi di vita».
Se guardare la varietà in base a ciò che abbiamo in comune con le altre confessioni è una buona strada, lo è ancora di più lasciare quello che ci divide nella diversità riconciliata. La più alta arte di teologia ecumenica, secondo Lauster, è «rendere forte l’altro e cogliere manifestazioni della presenza divina nell’altra confessione, che non conosce, che ha perso o che non ha mai avuto la mia forma di cristianesimo». La Riforma, dunque, è un atteggiamento aperto alle varie manifestazioni dello Spirito nella Chiesa, nella storia umana, nella cultura e nella natura, «un atteggiamento che vive da un coraggio instancabile e una fiducia profonda che Dio stesso guida e accompagna la nostra storia».
Accanto alla voce protestante, la voce cattolica è stata portata da Riccardo Battocchio, docente della Facoltà teologica del Triveneto, che innanzitutto ha fatto notare come prima del pontificato di Francesco, pur con qualche eccezione, il termine “riforma” fosse carico di sospetti e reticenze nel mondo ecclesiale (ed ecclesiastico). Il termine è stato sdoganato quando ha assunto un ruolo strategico nella proposta pastorale di papa Francesco.
Sempre e mai
Di fronte al presunto carattere strutturale della riforma, come dimensione permanente della Chiesa – ecclesia sempre reformanda; perennis reformatio), il teologo cattolico ha evidenziato come gli avverbi “sempre” e “mai” con la loro carica di assolutezza non favoriscano l’intelligenza dei problemi e dei processi ecclesiali. Piuttosto l’accento è da porre sul tempo presente dell’azione: nunc ecclesia est reformanda. «Ogni azione ecclesiale, anche quella orientata alla riforma, è un’incompiuta – ha affermato il teologo cattolico, in consonanza con il collega protestante –. Ciò però non significa che non si debba mettere mano ai processi e alle istituzioni ecclesiali che un adeguato discernimento segnala come non in grado di corrispondere alla “forma” della Chiesa, ossia all’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, della misericordia trasformante di Dio. Oggi possiamo dire, insieme, cattolici e luterani: l’annuncio della giustificazione».
Vivere l’esperienza ecclesiale accettando di essere “in stato di riforma” chiede la disponibilità a lasciarsi coinvolgere in una riforma del pensiero, delle dottrine, delle strutture. Le sfide poste dalla complessità del reale non ammettono risposte semplici, lineari e ogni riforma, da quella della curia romana a quella dei seminari a quella dei ministeri ecclesiali, «va attuata nella consapevolezza che oggi l’appartenenza alla Chiesa è una possibilità fra le tante e, anche quando è scelta con convinzione, non cessa di fare i conti con la pluralità delle esperienze. Di qui l’esigenza, già indicata dal Vaticano II, di cercare nello Spirito il consenso su ciò che è centrale nell’annuncio e nella vita della Chiesa».
Come la Chiesa, anche la sua riforma nasce dall’accoglienza del vangelo ed è finalizzata all’annuncio del vangelo, in modo che a chi lo accoglie sia data la possibilità di vivere in modo consapevole e testimoniale la relazione con Gesù Cristo, il vivente. Lo stesso giovane Lutero, ancor prima di diventare riformatore, aveva dichiarato con molta chiarezza qual è la summa di ogni legittima riforma: l’annuncio del vangelo.