Il patriarcato, la nostra casa

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donne

Il patriarcato è la casa in cui tutti e tutte siamo nati, in cui tutti e tutte abitiamo. Ogni giorno ne respiriamo l’aria, ci intridiamo dei suoi umori. Ci adattiamo alla sua forma senza neanche rendercene conto, la facciamo nostra senza saperlo. Forse non è una casa confortevole, forse per tutti (per tutte) non è proprio così comoda, ma tant’è, l’essere umano, prima e più che un animale politico, è un animale adattabile e abitudinario, che riesce a vivere tanto ai poli quanto all’equatore e trova modo di aggiustarsi un minimum vitale anche nelle ristrettezze più anguste e nelle situazioni di maggior deprivazione.

Il patriarcato è la nostra casa. Ci abitiamo da ormai così tanti anni, secoli, millenni, che pensare di cambiarla è un pensiero che fatichiamo a contemplare. Forse non è la casa migliore, forse non è la più bella – forse è brutta, brutta davvero. Ma, che volete mai, ci si è fatta l’abitudine, dopo tutto questo tempo, e va bene così. Va bene così, e guai a chi ci chiede di cambiare.

Ora, la parola «patriarcato», di per sé, non è che ci piaccia molto e preferiremmo non venisse utilizzata. È una parola che ha la forma e il peso di un’accusa, e noi, per noi, proprio non vorremmo incriminazioni, soprattutto per questioni di questo genere. Meglio dire che il patriarcato non ci riguarda più, che è storia vecchia, d’altri tempi, d’altri luoghi, d’altre religioni; meglio ribadire che «patriarcato» è parola che può star bene solo se parliamo degli antichi, dei greci, dei romani, degli ebrei del tempo che fu, o degli «altri» di oggi, i musulmani che in Iran e in Afghanistan impongono il velo alle donne e impediscono alle bambine di studiare.

Meglio argomentare che qui, nella civile casa europea, il patriarcato è finito da più di duecento anni, quando è nato il Romanticismo e nuove idee sulla donna e sull’amore hanno iniziato a circolare (idee che, ça va sans dire, secondo il classico schema patriarcale soltanto gli uomini possono concepire). Meglio precisare che il patriarcato, in Italia, ha concluso la sua parabola ormai sono cinquant’anni fa, con la riforma del diritto di famiglia, quando alla famiglia fondata sulla gerarchia si è sostituita la famiglia fondata sull’uguaglianza.

Che ingenuità. Come non sapessimo che la storia viaggia secondo differenti velocità, come non avessimo imparato a distinguere, al di sotto del tumultuoso livello evenemenziale di superficie, l’onda lenta e placida della lunga durata. A pelo d’acqua si susseguono i singoli accadimenti storici – i provvedimenti legislativi, le riforme – e i fenomeni di breve durata – la nascita del movimento romantico, la nuova concezione dell’amore; ma sotto sotto, sul fondo della storia, ad attraversare e congiungere secoli infinitamente lontani fra di loro, scorre e si distende la lunga durata, la struttura secolare che plasma il nostro immaginario e suggestiona, condiziona e dà forma al nostro sentire più profondo.

Ci vuole ben altro che un provvedimento di legge per scardinare questa struttura secolare, ci vuole ben più di un moto dello spirito di qualche anima bella per smantellare le fondamenta e i muri portanti della casa in cui tutti e tutte, da secoli, da millenni ormai, abitiamo. Perché il patriarcato non è un’ideologia, un teorema astratto, un pensiero senza costrutto, l’invenzione di qualche estremista. Il patriarcato è una casa, la grande casa che ci ha visto nascere, la grande casa in cui abitiamo, mettiamo al mondo i nostri figli e figlie, li vediamo crescere e li educhiamo.

Certo, a questa casa abbiamo rinfrescato le pareti, ne abbiamo rimodernato la cucina, rinnovato la biancheria della camera da letto. Abbiamo imparato ad aprire le finestre e ogni giorno facciamo entrare un po’ di luce. Ma anche se le pareti non sono più oscure e opache come un tempo – per lo meno qui, per noi, in questo hic et nunc che non possiamo garantirci eterno –, anche se guardando in alto, verso il soffitto, riusciamo a vedere il cielo, le pareti ci sono ancora tutte e c’è ancora il soffitto, là in alto, sempre più in alto.

Ci illudiamo d’averla cambiata, questa casa, ci illudiamo che non ci sia più. Ma non è che una grande illusione. Perché il patriarcato non è un’ideologia che si possa spazzare con un colpo di ramazza. È il simbolico che ci modella fin dalle midolla, l’abitudine abitata che, divenuta habitus mentale ed esistenziale, ci ottunde il pensiero e la vista e ci spegne l’immaginazione.

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