Halík: il sogno di un nuovo mattino del cristianesimo

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alba

Foto di Thang Ha da Pixabay

«In un libro precedente ho parlato di questo tempo come della soglia del pomeriggio del cristianesimo [cf. qui su SettimanaNews], un tempo di maturità, un possibile inizio di un nuovo tratto di storia, e non solo della storia della Chiesa cattolica. Sono convinto che papa Francesco, con il suo appello al rinnovamento sinodale, abbia portato il cristianesimo alla soglia di una nuova tappa della sua storia, alla soglia di un nuovo progetto spirituale più ampio e finora sconosciuto. Esplorare questo paesaggio e ambientarsi in esso sarà compito della Chiesa, incoraggiata dal ministero di molti dei suoi successori».

Ad affermarlo nell’introduzione (pp. 15-16) del suo ultimo libro, Il sogno di un nuovo mattino. Lettere al papa (Vita e Pensiero, Milano 2024), è Tomáš Halík, teologo, filosofo, sociologo e psicologo della Repubblica Ceca.

Scritto nei mesi estivi e autunnali del 2023 «in un momento in cui nella Chiesa cattolica erano al culmine i preparativi per il primo dei due sinodi mondiali a Roma, un momento di grandi aspettative di cambiamento» (p. 15), il saggio è uscito simultaneamente nella Repubblica Ceca, in Italia, in Germania, in Portogallo, in Spagna e in Polonia.

Se il pomeriggio del cristianesimo è il tempo di una maggiore maturità della fede e dell’approfondimento della sua dimensione spirituale, il nuovo mattino è il tempo dei sogni e dell’immaginazione creativa per un rinnovamento della Chiesa.

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Il testo, infatti, riprende e rielabora alcune idee già esplicitate dall’autore ne Il pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Vita e Pensiero, Milano 2022), con uno sguardo particolare al processo sinodale in atto voluto da papa Francesco, «il papa più popolare al di fuori della Chiesa nella storia del papato e il più attaccato da alcuni circoli cattolici» (p. 15), ma nel cui magistero sono combinate in modo straordinario l’autorità gerarchica, pastorale e magisteriale e la missione profetica (p. 21).

Tomáš Halík sogna il nuovo mattino del cristianesimo immaginando di indirizzare dodici (come il numero degli Apostoli!) lettere ad un nuovo vescovo di Roma che ha scelto di chiamarsi Raffaele che significa «medicina di Dio» o «Dio guarisce» (p. 9): come a dire che, in tempi di crisi globali, è necessario risvegliare soprattutto le potenzialità terapeutiche e salvifiche della fede in Dio.

«Riscoprire e far rivivere il cristianesimo come sale della terra»

Uno dei temi chiave delle dodici lettere è la questione di come passare da una riforma della Chiesa «intesa come mero cambiamento esteriore di forme a una trasformazione, un mutamento interiore del cuore della questione», che consiste essenzialmente nel «come riscoprire e far rivivere ciò che costituisce l’identità del cristianesimo, ciò che lo rende sale della terra e lievito per il pane fresco di domani» (p. 16), in un momento storico in cui il cristianesimo nel contesto sociale euro-atlantico «non sta scomparendo, ma non sta nemmeno tornando alle sue forme precedenti. È ancora qui, ma sta cambiando» (p. 11).

Numerosi e rilevanti i sintomi di tale cambiamento: parole, riti e istituzioni religiose incapaci di intercettare il dinamismo della vita spirituale del nostro tempo; proposte religiose troppo stereotipate, poco comprensibili e non abbastanza convincenti, che non tengono conto delle reali aspirazioni spirituali, dei desideri, delle domande e dei bisogni degli uomini e delle donne di oggi; numero crescente di persone che, pur dichiarando di non appartenere ad alcuna religione, cercano sinceramente un rapporto con il trascendente della vita ma non trovano nelle forme religiose loro proposte una strada percorribile per raggiungerlo; numero crescente di persone che si definiscono spirituali non religiose; persone che si considerano atee non tanto rispetto alla fede cristiana ma ad una sua certa interpretazione teista (pp. 11-12).

Volendo evidenziare ciò che costituisce l’identità del cristianesimo e ciò che lo rende sale della terra, mi piace richiamare i contenuti di alcune delle dodici lettere indirizzate da Tomáš Halík al papa immaginario Raffaele.

Stile e metodo sinodale: missione di tutta la futura storia del cristianesimo

Nella prima lettera il teologo praghese, convinto sostenitore del processo riformatore in atto delle istituzioni ecclesiali (p. 59), ci incoraggia ad unirci al sogno di papa Francesco di una Chiesa rinnovata in senso sinodale (p. 19).

Oggi, infatti, Dio sta «risvegliando nella Chiesa il coraggio di chiedersi quale forma di cristianesimo Egli sogni per la nostra epoca» e l’appello di papa Francesco al rinnovamento sinodale della Chiesa va considerato alla stregua di «una risposta a uno dei grandi sogni di Dio, sogni profetici che spronano la Chiesa e il mondo del futuro (p. 21). Questa «è la missione di tutta la futura storia del cristianesimo» (p. 23).

Il rinnovamento sinodale della Chiesa richiede, tra l’altro, che venga decisamente superato il clericalismo. Se esso è una «malattia» che fa dei ministri ordinati «una classe superiore sovraordinata» che ama distinguersi dalle altre persone facenti parte del popolo di Dio e dal mondo, anche «attraverso cose esteriori (abbigliamento, comportamento, abitazione, titoli), proprio come facevano i loro predecessori, i farisei, che Gesù ha criticato», non di meno risulta essere una mentalità nella quale possono cadere i laici e le laiche quando, con la loro passività o rassegnazione, legittimano modalità mondane, cioè non evangeliche, dell’esercizio dell’autorità da parte dei ministri ordinati (pp. 26-27).

L’appello ad una prassi e ad uno stile di vita sinodale dovrebbe riguardare non solo la Chiesa ma, con il contributo dei cristiani, l’intera famiglia umana. «Il principio della sinodalità, dell’ascolto reciproco, della compatibilità nelle diversità e del processo decisionale comune dev’essere introdotto nelle relazioni tra nazioni, culture e religioni. L’ascolto e il rispetto devono far parte anche del rapporto delle persone con il pianeta che abitano» (p. 21). L’uno e l’altro potrebbero «portare buoni frutti anche nelle deliberazioni e nelle decisioni di molte istituzioni secolari» (p. 23).

Il compito profetico affidato ai discepoli e alle discepole di Gesù

Ai discepoli e alle discepole di Gesù oggi è affidato un compito profetico particolarmente impegnativo: sviluppare l’arte del discernimento spirituale, analizzando con attenzione «ciò che accade dentro di noi in risposta agli stimoli della vita quotidiana e mondana e ai momenti di crisi e di criticità della storia» (p. 49) e cercare di interpretare come Dio, nella concretezza delle situazioni storiche, si manifesta oggi a noi «negli atti umani di fede, speranza e amore» (p. 51). È il contenuto della terza e della quarta lettera.

Attraverso il discernimento spirituale, è possibile «distinguere due fenomeni a volte interconnessi, ma nella sostanza diversi: lo spirito del tempo e i segni dei tempi» (p. 49).

Mentre «lo spirito del tempo offre spesso notizie sensazionali, voci, pettegolezzi, disinformazioni, fake news e, più recentemente, falsi di ogni genere prodotti dall’intelligenza artificiale», i segni dei tempi «sono il linguaggio di Dio, il suo modo di esprimersi attraverso gli eventi della società e della cultura» e «si manifestano soprattutto nei momenti di crisi e di transizione, nei momenti di attraversamento delle soglie, di cambio di paradigma»: per comprenderli è necessaria «l’arte del silenzio e della contemplazione» (p. 49).

Analizzare con atteggiamento orante ciò che questi eventi fanno risuonare in noi e ciò che lasciano in noi se permettiamo che entrino nel nostro cuore, costituisce «il primo e imprescindibile passo della riflessione teologica» (p. 48).

Ma la lettura e l’interpretazione dei segni dei tempi «presuppone una comprensione più profonda della fede e del mistero che noi chiamiamo Dio» (p. 50) nel quale, come si legge nel libro degli Atti degli apostoli (17,28), viviamo, ci muoviamo e siamo (p. 51).

Il Dio della Bibbia «non è un deus ex machina, ma abita e agisce in mezzo al suo popolo» (p. 52). La sua presenza e la sua azione nella storia non vanno, pertanto, intese «in senso eteronomo, cioè come semplici interventi dall’esterno». Il Dio di cui parla la Bibbia agisce nella storia, animandola e trasformandola continuamente con il suo Spirito.

«La presenza di Dio non è statica, ma dinamica: essa è un processo. Questa concezione di Dio è il punto di partenza per un’interpretazione processuale anche del fenomeno del cristianesimo il quale, se vivente, è sempre in movimento (p. 52).

«Il tesoro si trova in profondità»

Per indagare il mistero di Dio, è necessario fare spazio alle emozioni. Ne parla la quinta lettera che prospetta l’esigenza di tenere unite ortodossia, ortoprassi e ortopatia.

La Chiesa cattolica per secoli ha tenuto molto in considerazione soprattutto l’ortodossia, cioè la corretta dottrina. Con la sua azione pastorale e con la liturgia ha messo in evidenza l’importanza dell’ortopatia, cioè della condotta morale. Tuttavia, è rimasto in ombra l’aspetto più profondo, cioè la cura dell’ortopathos, la passione e il calore della fede, l’esperienza della onniavvolgente presenza divina. Se le Chiese trascurano il loro insostituibile compito di alimentare lo sviluppo della vita spirituale e interiore delle persone diventano incapaci anche di arricchire e influenzare il mondo esterno secolarizzato (p. 72).

Il necessario rinnovamento della Chiesa potrà avvenire grazie soprattutto all’approfondimento della spiritualità che, alla fede, aggiunge passione, vitalità, attrattiva, ardore. «Il tesoro si trova in profondità, non in superficie» (p. 80).

Porre «l’accento sulla spiritualità e sulla dimensione profonda della fede non significa in alcun modo un allontanamento dalla responsabilità e dall’impegno sociale dei cristiani. Al contrario: la spiritualità è la fonte dell’energia e della qualità dell’impegno attivo nella società, nella cultura e nella politica: contemplazione e azione devono andare di pari passo» (pp. 75-76). La spiritualità cristiana, infatti, «non porta a cercare Dio in un mondo altro e lontano, esoterico, al di là delle realtà quotidiane della nostra vita.

Dio non è da qualche parte al di là del mondo della nostra vita, ma abita in esso, è la sua profondità» (p. 78). «L’approccio contemplativo, il cammino nel profondo, consiste nella conversione dalla superficialità all’interiorità». Il segreto della forza terapeutica e della vitalità della fede cristiana sta «nel rapporto con la costante antropologica, con ciò che rende l’uomo uomo, vale a dire la sua capacità di apertura, di superamento di sé» (p. 79). Ha potere terapeutico solo una fede che attinge alla sua dimensione più profonda, cioè alla sua spiritualità.

«L’apertura ecumenica come caratteristica essenziale della cattolicità»

Consapevoli che «la Bibbia intende la salvezza come un evento cosmico, la trasformazione di tutto e di tutti, che produrrà una nuova terra e un nuovo cielo» (p. 85), i cristiani hanno il compito e la missione di «elaborare a fondo e sviluppare appieno la cattolicità del cristianesimo» (p. 83) prendendosi «cura non solo dell’unità della Chiesa, ma anche dell’unità dell’umanità» (p. 85), aprendo porte e costruendo ponti a servizio dell’intera famiglia umana (p. 87), stigmatizzando la privatizzazione «della comprensione della salvezza» (p. 85). Lo evidenziano la sesta e settima lettera.

Oggi i cristiani sono chiamati a compiere passi coraggiosi e inediti nei confronti di quattro tipologie di ecumenismo:

– lavorare per l’unità dei cristiani, disposti anche a mettere tra parentesi (p. 90) le differenze dottrinali che ostacolano l’unità (primo ecumenismo), dal momento che, se aspettiamo che i teologi si mettano d’accordo, l’unità non arriverà mai (p. 89);

– avvicinarsi ai credenti di altre religioni (secondo ecumenismo), ponendo attenzione al fatto che «il concetto di religione è un’invenzione occidentale» e che «le lingue non occidentali non hanno un equivalente esatto per questa parola» (p. 92);

– relazionarsi alle persone senza fede religiosa (terzo ecumenismo) nella convinzione che «la fede e il dubbio non solo possono vivere fianco a fianco, ma possono anche aiutarsi a vicenda in modo significativo» (p. 93);

– ascoltare il grido della terra (quarto ecumenismo) e acquisire la «consapevolezza della profonda interdipendenza della famiglia umana e della sua sorte con l’ambiente in senso lato» (p. 95), in quanto «credere significa entrare in una relazione dialogica con Dio che ci parla nei modi più diversi attraverso tutta la realtà, proprio come ha parlato a san Francesco non solo attraverso le sorelle e i fratelli umani, ma anche attraverso sorella terra, attraverso gli animali e i fiori, attraverso fratello sole e sorella luna» (p. 96).

La Chiesa cattolica deve passare da una forma confessionale ristretta (cattolicismo) a una cattolicità spalancata, non perdendo, ma comprendendo la sua identità in un modo nuovo e più profondo. La cattolicità – come l’unità, la santità e l’apostolicità – è un compito incorporato in forma embrionale nell’essenza stessa della Chiesa che deve svilupparsi nel corso della storia fino alla sua perfetta realizzazione escatologica (p. 109).

La cattolicità non va confusa con il cattolicismo che è la «deformazione della Chiesa in un sistema chiuso in cui la fede e la teologia si trasformano in ideologia» (p. 110).

«La cattolicità della Chiesa sta nella sua apertura nel senso dell’autotrascendenza, dell’essere con e per gli altri. L’ideologia del cattolicismo egocentrico deve essere sostituita da un’altra visione: la convinzione che la missione della Chiesa e l’espressione ultima della fede e dell’amore per Dio e per gli uomini sia il perseguimento del bene comune» che si realizza «lavorando insieme per creare un mondo in cui tutti possano sviluppare pienamente e in modo solidale i propri carismi e in cui siano rispettati non solo la dignità di ogni persona umana, ma anche il bene dell’intero pianeta, di tutta la creazione» (p. 111).

«La verità si dona a chi ama»

L’ottava lettera è dedicata al potere salvifico dell’amore. Porre l’accento sulla pratica della fede e non sottovalutarne contenuto e oggetto è certamente doveroso. Ma a garantirne l’autenticità sarà sempre e solo l’amore. Alla domanda che cosa credere e che cosa non credere per essere cristiani il nostro autore ritiene che si possa rispondere con le parole provocatorie e rischiose di sant’Agostino: «ama Gesù veramente e appassionatamente e credi come vuoi» (p. 121).

Affermare che a garantire l’autenticità della fede è l’amore non significa «credere ciò che si vuole», ma piuttosto porre l’accento sulla pratica della fede, sul come una persona crede, sul come la fede modella e rimodella la sua vita. Non si sottovaluta né contenuto né oggetto della fede, ma li si mette «educatamente e rispettosamente tra parentesi» (p. 121).

«La cristianità del cristianesimo, l’identità del cristianesimo, sta nella relazione d’amore con Cristo» (p. 121), la cui presenza anonima, peraltro, è «al di là del cristianesimo» (p. 122). I cristiani, infatti, non hanno «il monopolio di Cristo», il quale «ha molti discepoli sconosciuti» dal momento che altre persone, altri popoli e altre culture lo cercano, lo conoscono, lo confessano in modi diversi dai nostri (p. 121).

La fede senza l’amore non ha potere salvifico. È solo un bronzo che risuona (1Cor 13,1). È solo convinzione religiosa o una visione del mondo, che può degenerare in ideologia cristiana (p. 124). «La verità si dona a chi ama» (p.123).

Un inferno da svuotare per incoraggiare la nostra speranza

La penultima lettera affronta un tema decisamente intrigante: «credere nell’inferno?» (p. 140), «dov’è l’inferno perché possa crederci?» (p. 142), cosa intendere per credere e per inferno nel contesto della dura realtà del nostro tempo caratterizzata da guerre mondiali, genocidi, campi di concentramento, terrorismo? (p. 143).

A questo proposito, Tomáš Halík dichiara che lo stile del suo pensiero «non rifiuta, ma si limita a mettere tra rispettose parentesi ciò di cui la teologia basata sulla metafisica antica, medioevale e moderna, ci ha da tempo saturati». Esso «si basa su un approccio fenomenologico ed ermeneutico: cerca di interpretare come il mistero chiamato Dio si mostra a noi» (p. 148).

Dal momento che dalla lettura del Vangelo esce rafforzata l’intuizione che Gesù annunci «un regno in cui l’amore misericordioso alla fine prevarrà sempre sulla fredda giustizia», si può affermare che lo Spirito e il cuore di Gesù siano «più vicini ai teologi che, a partire da Origene, non dicono un sì duro alla dottrina dell’eternità dell’inferno, ma lasciano una sorta di spiraglio di speranza nell’onnipotenza della misericordia di Dio (p. 150).

La fede in Dio, legata all’amore e aperta alla speranza, induce pertanto il teologo ceco ad affermare: «non credo nell’inferno – voglio che non sia o che sia vuoto, anche se ammetto che potrebbe non essere così» (p. 151).

In ogni caso, dal momento che «la Scrittura e il Credo degli apostoli non ci dicono nulla sulla struttura dell’inferno» (p. 148), nulla ci impedisce di pensare che, dopo il passaggio di Gesù all’inferno («discese agli inferi», professiamo nel Credo), questo sia vuoto, fermo restando che «l’inferno oltre i confini della nostra esperienza […] rimane per noi un mistero inaccessibile» (p. 143).

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