La tragicità è il centro dell’esistenza umana e l’ateismo filosofico (diverso da quello scientifico, che non ritiene pronunciabile un discorso sul tema) ha avuto buon gioco a porre in dubbio l’esistenza di un Dio buono per la sua inattività rispetto al male nel mondo.
Di fronte a ciò la religione cristiana presenta una via d’uscita geniale: l’incarnazione di Dio in un uomo che soffre con gli altri esseri umani – e che così facendo ne condivide il destino, prima di dolore e poi di riscatto, attraverso la sua resurrezione annuncio della resurrezione di tutti/e.
Questo è possibile sin dall’inizio della Creazione perché, come ci dice il prologo del vangelo di Giovanni, il Figlio-Logos è da subito protagonista dell’azione creatrice del mondo e vista l’imperfezione della stessa vuole correggerla con la sua incarnazione e risurrezione.
Questo racconto è simbolicamente molto importante e, se non passa il vaglio della ragione moderna perché mitico e può essere ritenuto valido solo alla luce della Fede, può altresì essere reso compatibile con la ragione stessa attraverso la sua conversione filosofica, spersonalizzandolo e rendendolo universale, con una storia dell’Essere che traduce l’incarnazione e resurrezione del Dio in un processo cosmico che vede una teogonia che attraversa tre momenti essenziali: 1) l’Essere originario che 2) si pluralizza, attraverso l’emanazione nella creazione e giunge attraverso l’evoluzione naturale alla presenza umana, che si caratterizza per essere divisa tra due mondi, la biosfera e la noosfera. 3) La Noosfera è quella dimensione precipua dell’umanità e prelude a un nuovo salto evolutivo delle coscienze umane a una vita solo coscienziale dopo la morte.
Questa può essere possibile perché tutto il cosmo è pieno della sostanza pensante che viene definita Logos.
Quindi l’idea cristiana di incarnazione e resurrezione non ha più il carattere particolare di una storia singolare che si universalizza con il mito, ma è universale sin dall’inizio e il Dio che soffre è tutto quello che vive e che in noi ci fa, attraverso il logos (Spirito Santo), tutti Figli di Dio.
È interessante che nella disputa tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa sul Filioque, il cattolicesimo marchi come Dio sia da subito Figlio nella sua azione e lo Spirito Santo prosegua anche da esso.
Se tradotta così la geniale costruzione cristiana assume, a mio parere, un valore che difficilmente un ateo filosofico potrebbe contestare, perché cade tutta l’impalcatura del Dio personale separato dal mondo, ma non più in chiave di racconto mitologico ma in chiave di razionalità filosofica che si affida a una processualità del Tutto che, contro il divenire caotico di certe filosofie atee, è un divenire orientato, tragico sì, ma con una prospettiva di futuro che si può cominciare a vivere da subito in vista di quella che Capitini chiamava la Realtà Liberata.
- Andrea Billau, giornalista di Radio Radicale, nel 2020 ha ricevuto il premio “Acquaformosa che accoglie” per il suo impegno sui temi dell’immigrazione e dell’antirazzismo. In campo filosofico-religioso ha scritto Cercando un altro Dio. La condizione tragica dell’esistenza e la religione aperta, Apollo Edizioni, Cosenza 2020.
In questo discorso sulla Trinità, il processo cosmico di Dio che vede una teogonia che attraversa Tre momenti essenziali, dall’Essere originario alla noosfera, mi sembra un rimpasto abbastanza simile alla teoria delle Tre ere nella teologia trinitaria di Gioacchino da Fiore.Dall’era originaria del Padre all’era dello Spirito, ove questa ultima, per molti, era stata individuata anche con la giunta della dottrina islamica.
Non molto originale.
Non volevo essere originale nella forma e in un’altra risposta ho citato le mie fonti a cui potrei aggiungere volentieri anche Gioacchino da Fiore, ma il mio intento era ed è quello di stimolare una modernizzazione del discorso teologico adatto ai nostri tempi ed i miei interlocutori sono da una parte il Cristianesimo di cui se pur espressa in forma mitica condivido la sua processualità, dall’altra la cultura laica prevalente che, a mio avviso, è sclerotizzata in una posizione atea che a me appare come una diversa forma di fede
L’articolista si rapporta agli ‘atei filosofici’ senza avvedersi di cosa si possa trattare. Può essere una strategia per evitare Dio con l’apertura di orizzonti sempre diversi o una tattica per starne meno lontano cercando una via di saggezza e un oltre. Cercare di non farsi smentire da questa ambiguità è come chiedere a un animale anfibio di fare una scelta definitiva tra terra e acqua. Per questo il discorso dell’articolista è alterato ma ha pure un potere alterante, perché egli non vive la sua situazione nella percezione dell’esistenza di ciò che può ingannarlo e l’illude. Come quando si sta per bere un bicchiere di amaro senza saperlo, temendo l’amarezza di un incontro che non avverrà mai veramente o avverrà diversamente…
Io rispetto profondamente chi non la pensa come me, ma questo non mi esime dal poterlo contestare nelle sue argomentazioni quando queste mi appaiono incomplete. Sul piano poi dei sentimenti che muovono a formulare alcune tesi non mi pronuncio, la mia è una prospettiva filosofica anche se all’autore del commento non sembra
Non intendevo fornire argomentazioni complete, ma invitare alla riflessione, senza escludere l’autore stesso. Non si tratta di un giudizio da parte mia, ma di un invito a salire un gradino più su.
Il fatto che io poi abbia un mio modo di considerare i valori, questo non significa un attacco verso gli altri.
Ciascuna vita ha i propri pensieri secondo le proprie situazioni.
La forte polemica che si avverte nelle mie parole ha anche una dimensione politica e si sa che le divergenze politiche sono accompagnate assai spesso da discorsi forti.
Forse se l’autore avesse specificato i suoi contesti avrei commentato diversamente.
Interessante ma certamente poco intuitivo. Solo per atei che hanno voglia di pensare. Visto che ormai l’ateismo di massa dei nostri giorni non è dialettico né pensante perché si basa sul fatto che è inutile ragionare su ciò che non si vede, temo che non sarà attraverso il ragionamento che i nuovi atei troveranno convincente la nostra fede. E su questo hanno ragione gli ortodossi che non trovano la via razionale la via migliore per arrivare a Dio ma preferiscono il sentimento. Perché Dio si ama innanzi tutto poi possiamo anche provare a pensarlo sapendo che di Dio possiamo dire con qualche margine di sicurezza solo quello che ci ha fatto capire Gesù.
Capisco la sua prospettiva, ma nella tradizione cristiana c’è un intreccio forte tra fede e filosofia, un esempio su tutti Tommaso D’Aquino, anche se nel caso della filosofia medioevale la filosofia veniva vista ancella della teologia cristiana; io, più modernamente, penso che persino la teologia può essere laica, cioè autonoma da qualsiasi fede rivelata, ma naturalmente il confronto con le fedi è necessario così come con la cultura laica prevalente