Il dramma delle carceri

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«Il Comune di Bologna in collaborazione con il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna ha chiamato a una mobilitazione civile tutta la comunità cittadina, civica, organizzata e singola, per chiedere al Governo e al Parlamento di misurarsi con la drammatica emergenza umanitaria che si consuma nelle carceri ogni giorno sotto gli occhi di tutti, e di assumere con responsabilità scelte urgenti e capaci di farla cessare» (dal Manifesto della mobilitazione). Di seguito l’intervento del cappellano della Casa circondariale e della presidente di AVoC.

Dovrei prender la parola prendendo la Parola dal Vangelo, al quale debbo la mia obbedienza di credente.

Prenderò la parola prendendo le parole dalla Costituzione, alla quale riservo la mia obbedienza di cittadino, consapevole che entrambe sono obbedienza all’umano.

Prima parola: carcere. Nella Costituzione semplicemente non c’è.

Seconda parola: pena. Nella Costituzione non c’è al singolare. C’è al plurale all’art. 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Si parla di pene, non di pena. La prima parola menzognera della quale dobbiamo liberarci come cittadini italiani, ma anche europei e del mondo, è l’equazione pena=carcere. È vero che carcere=pena, ma è bugia il contrario.

Ed è ben noto che il carcere – almeno il carcere così com’è – non riesce ad assolvere la funzione rieducatrice della pena. Al lordo della media dei polli, ogni agente della Polizia penitenziaria ha in carico 1,9 persone detenute, mentre i cosiddetti educatori devono rispondere ciascuno a 129.

Il carcere priva il cittadino riconosciuto colpevole della libertà di movimento e lo obbliga a un tempo adeguato di revisione del proprio passato e di progettazione di un futuro onesto. Poi lo mettiamo in carcere e lo abbandoniamo a sé stesso.

Come se, per la scuola dell’obbligo, noi costringessimo un ragazzo ad andare a scuola e gli assicurassimo soltanto le aule e i collaboratori scolastici (bidelli), ma né libri né insegnanti: potremmo pretendere che funzioni?

E se, nelle aule, stivassimo 50 studenti anziché il massimo di 27? Non possiamo meravigliarci se il carcere non restituisce cittadini migliori.

La terza parola è allora sovraffollamento. I numeri sono già stati citati. Ma io credo che il problema più spinoso non sia il sovraffollamento, per quanto abbia raggiunto proporzioni inaccettabili e non dia segni di deflettere. Più deleterio è il sottoaffollamento, quello affettivo; la concessione residuale di colloqui in presenza e telefonici; la sostanziale e generale mancata applicazione della sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale che intimava di disporre immediatamente la possibilità di colloqui intimi.

La quarta parola che viene di seguito è solitudine. In carcere non c’è solitudine. Magari ci fosse la possibilità di stare da soli, di decidere del proprio tempo! E invece sei costretto a condividere per 20 ore al giorno quella cella, che è stata pensata per uno, con un altro che non hai scelto. Non c’è solitudine e invece c’è troppo isolamento.

Troppo isolamento. Troppo abbandono a sé stessi come se non sapessimo, dal buon senso oltre che dalla nostra Costituzione, che nessuno si salva da solo.

La quinta parola è dunque responsabilità. Il carcere deresponsabilizza, in‌‌fan‌ti‌­lizza a partire dal linguaggio; incoraggia la compiacenza e scoraggia l’assunzione di responsabilità. Adesso è stata criminalizzata perfino la resistenza passiva. Come può essere credibile uno Stato che chiede al colpevole assunzione di responsabilità, ma non si assume la responsabilità di renderla possibile?

La sesta parola è sicurezza. A forza di martellate propagandistiche – e in malafede – è stato fissato il chiodo dell’equazione più carcere + più carceri = più sicurezza. Altra menzogna colossale smentita dagli stessi dati del Ministero della giustizia: per chi esce direttamente dal carcere alla libertà (e dal carcere di Bologna escono mediamente due persone al giorno) la probabilità di ritornarci è statisticamente del 68%. Per chi, almeno nella parte finale dell’esecuzione penale, ha potuto trovare accompagnamento nelle misure alternative al carcere, la recidiva si abbatte al di sotto del 20%.

Se, nella Bologna dell’eccellenza ospedaliera, 7 pazienti su 10 uscissero dagli ospedali più malati di quando sono entrati, non chiederemmo la chiusura immediata di quelle strutture che assorbono ingenti risorse finanziarie e umane senza assolvere al proprio compito?

Se nella Bologna dell’eccellenza universitaria, 7 studenti su 10 non riuscissero a conseguire la laurea saremmo così certi che sia tutta colpa soltanto degli studenti?

Per quale motivo ragionevole siamo disposti a spendere 164 euro al giorno per tenere una persona in carcere e non siamo disposti a destinare nemmeno un euro ai progetti che si occupano di misure alternative? Ci va bene che siano amministrati così i soldi dei contribuenti?

Riconosco e ringrazio per quanto di sostanzioso si sta muovendo a Bologna in questa direzione.

La settima parola è dignità. Quando una persona condannata entra in carcere, la prima azione che subisce è lo spogliamento dei vestiti. Insieme a quei vestiti cadono a terra la sua dignità e la sua identità di persona lasciandole soltanto l’aggettivo sostantivato di “condannato”.

I volontari in primis si adoperano perché la persona detenuta abbia di che rivestirsi e presentarsi dignitosamente. Ma la dignità, quella resta a terra e sulla sua pelle si va a imprimere il marchio indelebile di “pregiudicato”.

L’ultima parola è speranza. Più che parola, è il luogo di incontro tra Vangelo e Costituzione. La dedico agli agenti della Polizia penitenziaria, professione tanto delicata quanto difficile e oltremodo pesante. Sono cappellano – non certo in senso “cirillico” – anche di queste persone che si riconoscono nel motto «Despondere spem est munus nostrum», cioè «Mantenere viva la speranza è il nostro compito». Dobbiamo fare tutto il possibile perché la Polizia penitenziaria possa adempiere al suo compito, libera dalle ombre e dagli sfregi di chi agisce in deroga alla Costituzione.

Il carcere non cambierà per virtù propria. Non cambierà da solo. Dobbiamo volere, pretendere, realizzare il cambiamento noi.

Mi perdonerete il reato di appropriazione indebita dell’arte del maestro Alessandro Bergonzoni: è questa l’unica “piccola rivolta”, la “rivoltella” che ci sentiamo legittimati a impugnare.

Se non sappiamo dare politica a queste parole, la nostra politica sarà soltanto parole.

  • Marcello Matté

 Partirò da una citazione:

«Molte volte, uscita dal carcere, la persona si deve confrontare con un mondo che le è estraneo, e che inoltre non la riconosce degna di fiducia, giungendo persino a escluderla dalla possibilità di lavorare per ottenere un sostentamento dignitoso.
Impedendo alle persone di recuperare il pieno esercizio della loro dignità, queste restano nuovamente esposte ai pericoli che accompagnano la mancanza di opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza».

Le parole che ho appena pronunciato sono quelle di papa Francesco già nel 2019 rivolte ai responsabili regionali e nazionali della pastorale carceraria. Parole che sono state pronunciate prima dell’emergenza da Coronavirus che ha imperversato sul dramma della detenzione, ma che, ancora oggi, risuonano come attuali.

Ma ritorniamo all’estate 2024: mentre i suicidi si susseguivano in modo angosciante, il 7 agosto di quest’anno il Decreto carceri diventava legge. In nome della sicurezza, abbiamo assistito al rifiuto netto dell’attuale Governo di favorire emendamenti sull’emergenza carceri.

È stato detto di No a emendamenti che prevedevano forme di liberazione anticipata speciale, risorse per l’aumento e la formazione del personale, per l’ingresso di psicologi e mediatori culturali.

No a emendamenti che rafforzavano la socialità, il lavoro e la formazione negli istituti, come trattamento teso al recupero e al reinserimento sociale.

No ad altri che rendevano minimamente civile l’affettività in carcere con congiunti e conviventi.

No ad aumentare il numero delle telefonate alle famiglie, a rafforzare Case famiglia e ICAM (Istituto a custodia attenuata per detenute madri), e per cancellare la barbarie dei bambini dietro le sbarre.

Abbiamo aderito come Associazione di Volontari per il carcere AVoC a questa manifestazione pubblica perché convinti che solo abbattendo la recidiva sia possibile generare sicurezza per la società in cui conviviamo noi con “loro”.

Abbiamo esperienza, come volontari, che sperimentare forme di accoglienza e dare possibilità di inserimento lavorativo alle persone in uscita permette di generare fiducia, favorendo percorsi virtuosi.

È un segnale importante degno di attenzione il fatto che il Comune di Bologna in questi anni ci abbia dato la gestione di alloggi per dare accoglienza alle persone in uscita o agli arresti domiciliari, e che ora sia partito il progetto Équipe Esecuzione Penale TPR per l’accoglienza temporanea per le persone soggette a misure di esecuzione penale esterna e dimittende.

I nostri dati ci dicono che le persone che abbiamo ospitato in 13 anni di questa esperienza hanno sperimentato un abbattimento della recidiva tra il 15-20% rispetto alla media nazionale (70% secondo Antigone) delle persone recluse che non hanno la possibilità di un percorso.

E poi c’è l’intervento dei volontari all’interno del carcere che si traduce nello sforzo in direzione ostinata e contraria di chi non si rassegna alla disumanizzazione e alla stigmatizzazione che l’attuale condizione detentiva produce.

Chiudo dando voce a due testimonianze di persone che hanno vissuto l’esperienza del carcere:

«Come ex detenuto, so bene cosa significhi sentirsi intrappolati non solo dalle sbarre, ma da un sistema che, invece di favorire percorsi di riscatto, tende spesso a trattare le persone come problemi da gestire, più che come individui con possibilità di crescita. Nonostante le difficoltà, sono riuscito a laurearmi in carcere, ma è stato un traguardo che ho dovuto conquistare con grande sacrificio personale, più che grazie al supporto di un sistema realmente inclusivo.
Abbattere la recidiva significa dare alle persone una seconda possibilità, e questo si traduce in maggiore sicurezza per tutti noi. Dobbiamo avere il coraggio di costruire un sistema che non si limiti alla punizione, ma che dia priorità alla dignità umana e alla riabilitazione».

E ancora Fabrizio Pomes che ci dice:

«Il reinserimento sociale è un percorso lungo e tortuoso, pieno di ostacoli. Trovare un lavoro è spesso un’impresa ardua, a causa del pregiudizio sociale e del “carico” del passato. Ricostruire i rapporti familiari è un’altra sfida importante, soprattutto se gli anni di detenzione hanno allontanato affetti e amicizie. Trovare casa è arduo in una città come Bologna che già si confronta con la carenza degli affitti per gli universitari.

Ma alcuni ce l’hanno fatta e possono testimoniarlo. È indubbio, però, che lo stigma sociale della società civile e la perdita del diritto di cittadinanza degli ex detenuti rendono il percorso tutto in salita e sta al mondo del volontariato informare in modo corretto e creare le condizioni perché si possa avere un tasso di recidiva più basso e di conseguenza una società più sicura».

Ci sembra utile lasciarvi oggi queste testimonianze, di cui ringrazio Luciano Martucci e Fabrizio Pomes, per non cedere il passo a chi pensa che aumentare le pene e non ampliare l’accesso alla liberazione anticipata favorisca forme di umanità e sicurezza civile.

  1. M. Caterina Bombarda

IL DRAMMA DELLE CARCERI: MOBILITAZIONE PUBBLICA PER DIRE BASTA

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27 Costituzione).
«Il grado di civiltà di un paese si misura osservando le condizioni delle sue carceri» (Voltaire)

  • 81 SUICIDI DI DETENUTI DA INIZIO 2024
  • 7 SUICIDI DI AGENTI DI POLIZIA PENITENZIARIA DA INIZIO 2024
  • 62.110 DETENUTI A FRONTE DI UNA CAPIENZA REGOLAMENTARE DI 51.234 POSTI
  • 14.000 DETENUTI CHE VIVONO IN UNO SPAZIO VITALE TRA I 3 ED I 4 MQ
  • 10.000 ATTI DI AUTOLESIONISMO, COMPRESI TENTATIVI DI SUICIDIO.

Questi solo alcuni dei numeri di una vera e propria emergenza umanitaria che si sta consumando nelle carceri del nostro Paese.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte denunciato le condizioni indecorose delle nostre carceri, definendole non degne di un paese civile, ed ha invocato interventi urgenti non solo per garantire i diritti fondamentali dei detenuti, ma anche per recuperare il significato della pena come speranza, perché una vita senza speranza è una vita senza significato.

Già nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per le condizioni inumane e degradanti in cui erano costretti a vivere migliaia di detenuti nelle carceri italiane, una condanna umiliante per il nostro Paese, che, con i numeri oggi, rischia di ripetersi a breve.

Questa tragica situazione, che colpisce i detenuti e coloro che vivono e lavorano in carcere,

RIGUARDA TUTTI

riguarda la politica, riguarda le istituzioni, ma riguarda anche tutta la società civile, perché un carcere che non garantisce la dignità delle persone, che priva la vita di ogni speranza, non solo tradisce i principi previsti dalla nostra Costituzione, ma si trasforma inesorabilmente in una fabbrica di tortura, in una discarica sociale che ingloba casi psichiatrici e soggetti che necessiterebbero di interventi di altra natura, e da cui usciranno persone tutt’altro che rieducate.

È QUESTA LA VERA RESA PER UNO STATO

È ora di iniziare a pensare ad un modo diverso di affrontare la questione delle pene, di un cambiamento culturale che faccia comprendere come l’attuale sistema di detenzione non solo è contrario al senso di umanità, non solo non rieduca, ma spesso crea le condizioni per la ricaduta nel delitto.

I dati statistici dimostrano infatti come dove si applicano misure alternative alla detenzione carceraria (affidamento in prova, detenzione domiciliare, etc.), dove esiste un lavoro, nei casi in cui si vi è un’assistenza sociale e psicologica adeguata, il tasso di recidiva si abbassa dal 70% al 17%.

Il Comune di Bologna in collaborazione con il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bologna, da sempre impegnati nella tutela dei diritti umani e nel monitoraggio delle condizioni del carcere, intende chiamare ad una mobilitazione civile tutta la comunità cittadina, civica, organizzata e singola, per chiedere con forza al Governo e al Parlamento di misurarsi realmente con questa drammatica emergenza umanitaria che si consuma ogni giorno sotto gli occhi di tutti, e di assumere con responsabilità scelte urgenti, coraggiose e capaci di farla cessare.

Queste alcune proposte su cui crediamo occorra confrontarsi da subito:

  • rendere il carcere uno strumento residuale di esecuzione della pena, una vera extrema ratio come previsto dalla Costituzione;
  • attivare misure deflative e clemenziali urgenti per affrontare nell’immediato l’emergenza del sovraffollamento, con un provvedimento di amnistia e indulto e ampliando i giorni di liberazione anticipata;
  • attivare serie politiche di investimento per:

➢ più risorse ai Tribunali di sorveglianza, potenziando il personale di cancelleria dei e gli uffici di esecuzione penale esterna, per garantire un più rapido ed efficace procedimento applicativo delle misure alternative alla detenzione;

➢ risorse umane per i servizi socio sanitari, psicologici e educativi,

alleviando il lavoro degli operatori delle operatrici e della polizia penitenziaria che operano all’interno delle carceri;

➢ progetti e percorsi di prevenzione e contrasto del disagio psichico e psichiatrico dei soggetti privati della libertà personale;

➢ percorsi di accompagnamento e riscatto che riducano l’utilizzo di psicofarmaci;

➢ sostenere economicamente strutture che consentano di attivare misure alternative di reinserimento con percorsi di accompagnamento adeguati favorendo il calo del sovraffollamento;

➢ progetti lavorativi e in percorsi di studio di ogni grado, compresi quelli universitari, in carcere, perché la detenzione si trasformi in occasione per imparare qualcosa di utile per quando si riacquisterà la libertà e per dare dignità al tempo trascorso in stato detentivo;

➢ processi culturali che aiutino a superare stigmi e a rendere i percorsi lavorativi più accessibili;

➢ strutture penitenziarie più vivibili e che consentano un risparmio

energetico;

➢ strutture che possano ospitare le madri detenute con i propri figli; i bambini non devono stare in carcere!

  • sostenere a livello ministeriale l’inserimento delle comunità terapeutiche a favore di detenuti con problemi di dipendenza patologica;
  • trasferire la gestione delle risorse nazionali utilizzate per il reinserimento e per il sopra-vitto ai comuni, consentendo percorsi tempestivi ed efficaci per fronteggiare le reali esigenze dei territori su cui insistono le strutture penitenziarie;
  • sostenere proposte di legge per trasferire le competenze e le risorse sui percorsi di accoglienza e misure alternative a fine pena ai comuni e maggiori investimenti sull’accompagnamento post carcere;
  • cancellare il c.d. «Decreto Caivano» che sta generando un grave

sovraffollamento nelle strutture penitenziarie minorili;

  • consentire ai detenuti più ore di visite e di colloqui telefonici e telematici con i propri cari;

A tutti coloro che

  • non intendono assistere rassegnati al prossimo suicidio in carcere
  • credono che la certezza della pena non significhi togliere la dignità ad un essere umano
  • credono che sia necessario ed urgente ripensare alla cultura del carcere come unico rimedio alla insicurezza sociale
  • credono nell’importanza di sviluppare un’opinione civica che faccia comprendere che le politiche securitarie hanno un costo più elevato e sono fallimentari in termini di investimenti sicurezza sociale
  • credono nell’importanza di favorire la creazione di una rete di città, sedi di carcere, per l’applicazione dei principi costituzionali della pena chiediamo di sottoscrivere questo documento e manifestare concretamente il proprio impegno partecipando alla manifestazione pubblica che si terrà il 30 novembre 2024, dalle h. 10.30 in piazza Lucio Dalla.
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Un commento

  1. Maria Laura Innocenti 17 dicembre 2024

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