Una recente pubblicazione, frutto di alcuni anni di lavoro di tre Istituti Teologici del Triveneto, affronta la questione delicata della penitenza e del suo ripensamento, suscitata dalle prassi «straordinarie» nate durante la pandemia del Covid-19, che hanno portato parecchie diocesi italiane a percorsi di valorizzazione della «terza forma» del sacramento, per far fronte alla sfida imposta dal distanziamento e della profilassi.
Il volume (R. Bischer – A. Toniolo (edd.), Ripensare la penitenza. La terza forma del rito: eccezione o risorsa?, Queriniana, Brescia 2024), al di là della questione specifica, offre l’occasione per una considerazione più generale del rapporto ecclesiale con il IV sacramento e con l’esperienza di perdono del peccato al cui servizio esso esercita la sua definita e non illimitata autorità.
Proprio su questo piano, tuttavia, la lettura di molti dei saggi del testo porta il lettore a scontrarsi con un problema decisivo, che è sia di carattere terminologico, sia di carattere teologico.
Vorrei mostrarne l’urgenza, per il dibattito attuale, mettendo il libro in rapporto con uno dei documenti più interessanti degli ultimi anni, nato dall’esperienza pastorale del Vicariato di Roma, dove si propone, sia pure solo ad experimentum, una ricollocazione del IV sacramento nell’esperienza di iniziazione cristiana, riportandolo, come dice il nome stesso, al «quarto posto».
Ma prima di arrivare a un breve esame di questo testo (che si intitola L’iniziazione cristiana dei bambini a Roma. Vademecum per i catechisti, in due volumi, che si può leggere a questo link) pongo alcune questioni terminologiche e teologiche che normalmente siamo portati a sottovalutare.
Una terminologia equivoca
a) Sia il titolo del volume da cui parto, sia le parole del Vademecum in questione, attestano un uso del termine «penitenza» che resta sorprendentemente equivoco. È giusto dire, infatti, che occorre «ripensare la penitenza», ma bisogna intendersi bene su quale sia l’oggetto del ripensamento. Se leggiamo i primi due testi del volume, constatiamo come tanto mons. Marco Busca, nella Prefazione, usi il termine penitenza come sinonimo di sacramento della penitenza, sia Andrea Toniolo, nel saggio introduttivo, dica che l’oggetto del volume è la «terza forma della penitenza».
Appare evidente che sul piano terminologico, la parola «penitenza», nell’uso comune e anche in testi di ricerca, assume spesso il significato di «sacramento della penitenza». Si nota che anche «riconciliazione» viene spesso utilizzata nello stesso modo: si dice semplicemente riconciliazione, per indicare però il quarto sacramento.
b) Questo modo di parlare, tuttavia, non è casuale. Deriva, infatti, da un fatto storico e teorico, caratterizzato dal progressivo concentrarsi dell’attenzione ecclesiale, pastorale e teologica, sull’identificazione tra penitenza e sacramento della penitenza. Questa tendenza, che potremmo identificare nella recezione graduale del Concilio di Trento, soprattutto nei secoli XIX e XX, ha portato ad un uso disinvolto, e spesso non tematizzato, del termine penitenza come sinonimo del IV sacramento.
c) In realtà, a ben vedere, la tradizione attesta un uso del termine «penitenza» che mostra altri tre diversi significati, mentre oggi queste accezioni tendono invece ad essere risucchiate direttamente nell’area semantica del sacramento. Proviamo ad enumerarle per ordine:
– penitenza significa conversione, pentimento, come termine latino che traduce «metànoia»;
– penitenza significa la virtù donata da battesimo e cresima, e poi alimentata sempre di nuovo dall’eucaristia;
– penitenza significa il terzo atto del penitente, chiamato anche «soddisfazione», richiesto nel sacramento insieme alla contrizione e alla confessione e in relazione all’assoluzione da parte del ministro.
d) Se riletto sullo sfondo di queste accezioni fondamentali, l’uso del termine «penitenza», così identificato con il solo sacramento, costituisce un grave impoverimento della tradizione, probabilmente legato allo sviluppo di una lettura dettata dalla burocrazia giuridica moderna, che tende a identificare l’esperienza pastorale con atti amministrativi validi ed efficaci.
Una svista in un documento coraggioso
Veniamo ora al Vademecum del Vicariato di Roma. Si tratta di un documento che offre un ripensamento importante della tradizione di iniziazione, con una serie di scelte coraggiose, che vanno considerate come una novità nel panorama pastorale attuale. Tuttavia alcune espressioni dedicate all’«iniziazione alla penitenza» rivelano in modo sensibile quella equivocità che ho segnalato sopra. Leggiamo questo testo rivelatore, di cui sottolineo in corsivo il lato problematico:
«Per i bambini, che normalmente sono stati battezzati da piccoli, l’esperienza della catechesi si concentra attorno alla cresima e all’eucaristia, in un cammino di completamento dell’iniziazione cristiana. A questi due sacramenti si è aggiunto poi il sacramento della riconciliazione, che di per sé non fa parte dell’iniziazione (battesimo-cresima-eucaristia), ma che possiamo ormai considerare come un momento iniziatico ineliminabile» (p. 5).
L’analisi è ineccepibile, nell’identificare sia la corretta sequenza dell’iniziazione (cresima-eucaristia), sia l’estraneità del sacramento della penitenza (qui chiamato della riconciliazione) rispetto all’iniziazione. E tuttavia, la aggiunta che completa la frase, come una proposizione avversativa, contiene una svista che non è facile cogliere. In effetti, chi potrebbe negare che sia necessaria al giovane cristiano l’iniziazione alla riconciliazione e alla penitenza?
Proprio qui, però, si apre lo spazio per un supplemento di analisi, che è, allo stesso tempo, terminologico e teologico. Perché mai l’iniziazione cristiana (battesimo-cresima-eucaristia), per essere iniziazione alla riconciliazione e alla penitenza, dovrebbe richiedere un «altro» sacramento? La risposta è semplice: siccome abbiamo identificato la riconciliazione e la penitenza con un «sacramento di guarigione» (e non di iniziazione), crediamo oggi che, per fedeltà alla tradizione, siamo tenuti ad iniziare al IV sacramento i bambini, per completare la loro iniziazione cristiana.
Questo accade perché abbiamo smarrito quel concetto di penitenza e di riconciliazione che è centrale nell’iniziazione cristiana e che riguarda non un sacramento diverso (di guarigione), ma proprio la triade iniziatica. È l’iniziazione battesimale, crismale ed eucaristica a farci vivere la penitenza e la riconciliazione, come esperienza dell’essere perdonati e del poter perdonare. Solo quando perdiamo questa virtù, allora il IV sacramento entra in gioco, come rimedio alla perdita della comunione ecclesiale.
Quel «momento iniziatico ineliminabile», di cui parla il Vademecum, è l’iniziazione alla penitenza e alla riconciliazione come virtù dei sacramenti di iniziazione. Aver confuso questo senso di penitenza e di riconciliazione con il sacramento di guarigione non permette di orientare in modo fondato l’iniziazione alla fede cristiana. La fisiologia cristiana vive di riconciliazione e di penitenza appresa nella vita battesimale, crismale ed eucaristica. Trova nei grandi cicli del lezionario eucaristico il luogo penitenziale più alto, la parola di riconciliazione indimenticabile, che poi la preghiera eucaristica svolge qui ed ora. Solo quando subentra la patologia, quando la comunione è messa in discussione, troviamo il rimedio del IV sacramento, che non è in gioco nell’iniziazione alla fede, ma solo nel rimediare alla sua condizione patologica.
Se di 4 significati di «penitenza» conserviamo solo quello riferito alla guarigione, perdiamo tre quarti della tradizione penitenziale, sia in regime di eccezione, sia nella condizione del normale vissuto di fede. Iniziare alla penitenza e alla riconciliazione non ha a che fare in primo luogo con il sacramento di guarigione, ma con battesimo, cresima ed eucaristia. Il passaggio al IV sacramento non si lascia programmare come un evento iniziatico, ma solo come un rimedio in caso di necessità.
Confondere la virtù con il sacramento significa, precisamente, confondere l’iniziazione con la guarigione: alla virtù si è iniziati per la fisiologia, al sacramento si ricorre in caso di patologia. Per dirla con Tommaso d’Aquino, la prima penitenza è per sé, la seconda è per accidens. Aver confuso ciò che è essenziale con ciò che è accidentale ha segnato a fondo la tradizione penitenziale moderna e contemporanea, anche nel formare i più giovani. Su questo occorre davvero «ripensare la penitenza».
- Pubblicato il 18 Dicembre 2024 nel blog: Come se non