In principio omnes creature viruerunt, in medio flores floruerunt; postea viriditas descendit. Et istud vir proeliator vidit et dixit: «Hoc scio, sed aureus numerus nondum est plenus. Tu ergo, paternum speculum, aspice: in corpore meo fatigationem sustineo, parvuli etiam mei deficiunt. Nunc memor esto, quod plenitudo, quae in primo facta est, arescere non debuit et tunc te habuisti quod oculus tuus numquam cederet usque dum corpus meum videres plenum gemmarum. Nam me fatigat quod omnia membra mea in irrisionem vadunt. Pater, vide, vulnera mea tibi ostendo». Ergo nunc, omnes homines, genua vestra ad patrem vestrum flectite, ut vobis manum suam porrigat. |
In principio tutta la creazione verdeggiava e nel mezzo i fiori fiorivano; poi la viriditas iniziò ad appassire. E il combattente vide e disse: «Lo so, ma il numero aureo non ancora è compiuto. Tu dunque, specchio del Padre, guardami: nel mio corpo soffro fatica, anche i miei piccoli vengono meno. Ora ricordati che la pienezza, che fu creata in principio, non doveva inaridirsi e che Tu stabilisti che il tuo occhio non cedesse mai finché ti fosse dato vedere il mio corpo ricoperto di gemme. Perché mi duole che tutte le mie membra siano esposte allo scherno. Padre, guarda, ti mostro le mie ferite». Ora dunque, uomini tutti, piegate le ginocchia al vostro Padre, ché lui possa porgervi la mano. |
È il brano conclusivo dell’Ordo Virtutum di Ildegarda di Bingen, straordinaria protagonista della letteratura, della musica e della teologia del XII secolo. Pensato da Ildegarda per le monache del suo monastero, l’Ordo Virtutum sostanzia di altissimo valore spirituale una raffinata operazione drammaturgica: perché «Il cammino di Anima verso la Salvezza» − come recita il sottotitolo dell’opera − potesse essere vissuto dalle sorelle come una esperienza profonda di meditazione e di contatto con il Divino, la Badessa di Bingen diede forma non solo al testo poetico e alla musica del suo dramma musicale, ma ne curò anche la messa in scena, l’organizzazione dello spazio e dei costumi, e la coreografia.
L’Ordo Virtutum, un gioiello spirituale
Opera della piena maturità, l’Ordo Virtutum si propone, già a partire dall’intreccio semantico delle parole del titolo, come una intensa meditazione sul senso del vivere e del credere. Nel titolo ildegardiano, infatti, Ordo non è da intendersi alla stregua di espressioni come “Ordine dei Medici” o “Ordine dei Farmacisti”, dove “Ordine” indica semplicemente un “insieme giustapposto”; allo stesso modo, la parola Virtutes non deve essere appiattita in una accezione banalmente moralistica.
Come sempre, l’etimologia ci aiuta a penetrare nel senso primo e profondo delle parole.
Ordo, innanzi tutto. La parola latina ordo è generata dalla radice or-, presente nel verbo orior (nasco, sorgo; prendo origine) e nel verbo ordior (preparo i fili dell’ordito, tendo i fili sul telaio). L’ordine non si dà come stasi, ma come movimento: un movimento che, prendendo le mosse da un’origine, procede seguendo l’ordito, cioè una disposizione armonica, ordinata, appunto, di passaggi. Nella parola ordine è ricompreso sia il modo di procedere (i numerali ordinali indicano la posizione nello spazio e nel tempo), sia l’esito di questo procedere (ciò che fa sì che ogni cosa venga a trovarsi al proprio posto, in ordine, appunto). Ordo Virtutum è, dunque, da intendersi come vincolo solidale e armonico di reciproca cooperazione fra le Virtutes.
Ma cosa sono le Virtutes? L’accezione moralistica rischia di farci perdere il potenziale dirompente contenuto nella parola latina virtus, che deve sempre essere pensata alla luce del suo legame con la radice indoeuropea *vi-. Questa radice, che porta in sé l’idea della forza vitale e del principio energetico che agisce e opera nella natura e attraverso la natura, nel mondo e nell’umanità, si estrinseca in una ricchissima famiglia lessicale che ricomprende, oltre a Virtutes, anche un’altra parola fondamentale per la riflessione teologica ildegardiana, ossia Viriditas, il principio verdeggiante che anima e vivifica di sé macro e microcosmo.
Dell’Albero della fede e della Gemma vivente, le cui radici sono i Patriarchi e i Profeti, le Virtù sono i rami e i frutti. Potenzialità vive e vivificanti iscritte nel cuore stesso della nostra umanità, esse cooperano insieme per guidare Anima nel suo cammino di ricerca di quella Salvezza che, sola, è pienezza di vita, di armonia e di libertà.
Cercare Dio nei pertugi e nelle crepe
Tempi duri, il XII secolo, molto duri. La fatica del vivere quotidiano si rispecchiava nel dramma della Storia, con i suoi conflitti laceranti, le guerre, le ingiustizie, i soprusi. Cercare Dio nei pertugi e nelle crepe: è questo ciò che fa Ildegarda, sullo sfondo di quei tempi difficili e doloranti, così simili al tempo nebuloso e fosco che anche noi, oggi, viviamo.
Se il Diabolus, la tentazione del grigiore, della tristezza, della passiva rassegnazione al nulla, se i cedimenti e lo sconforto, l’apatia, il cinismo, la rabbia, l’esacerbazione, l’inasprirsi del respiro e del cuore, sembrano avere il sopravvento, le Virtutes possono attivare le risorse che ciascuna e ciascuno di noi custodisce dentro di sé. Ecco allora Scientia Dei, Humilitas, Caritas, Timor Dei, Obedientia, Fides, Spes, Castitas, Innocentia, Contemptus Mundi, Amor Caelestis, Disciplina, Verecundia, Misericordia, Victoria, Discretio, Patientia, sostegno alla nostra vita nell’impegnativo cammino attraverso le tortuose oscurità del mondo, guida sicura verso la luce.
Una luce che tante volte fatichiamo a vedere, ma che non dobbiamo mai smettere di cercare. Perché, come canta Leonard Cohen in Anthem, «There is a crack, a crack in everything: That’s how the light gets in» − C’è una crepa in ogni cosa e da lì passa la luce.
Pregare con l’Ordo Virtutum
Ciascuna parola di questo intenso e ispirato capolavoro meriterebbe di essere meditata a lungo. Su tutte, meraviglioso il pensiero musicale e poetico finale – una preghiera altissima in cui la riflessione teologica ildegardiana s’intreccia con echi del Canto del Servo di Isaia.
In principio la Viriditas, l’energia buona che permette al creato tutto di verdeggiare ed esprimersi in pienezza di vitalità. In principio il bene e il buono. Quando la linfa vitale diminuisce, il Mediatore prende parola per ricordare al Padre la sua promessa di pienezza: plenitudo … in primo facta est. Cristo è, per Ildegarda, il vir proeliator, il combattente, di Isaia 42,13: «Dominus sicut fortis egredietur, sicut vir proeliator suscitabit zelum» − Il Signore avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore.
La pienezza che fu fatta in principio non deve disseccarsi, inaridirsi, diventare sterile: il corpo di Cristo plenum gemmarum, ricoperto di gemme, è l’albero della Vita che non muore mai, il virgultum di Isaia 53,2 − garanzia di viriditas e di vita per tutte e tutti noi: «È cresciuto come un virgulto davanti a lui, e come una radice in terra arida».
Nell’uomo dei dolori che ben conosce il patire, trafitto per le nostre iniquità − vulneratus propter iniquitates nostras, Ildegarda riconosce Cristo che si rivolge al Padre dicendogli: Pater, vide, vulnera mea tibi ostendo.
È grazie alla parola e al gesto di Cristo albero vivo che possiamo continuamente tornare a sentirci creature: le nostre ginocchia piegate – segno di quella virtù dell’Humilitas che proprio nel sentimento della creaturalità trova la sua radice prima – ci permettono di rivolgere lo sguardo alla mano che il Padre tende verso di noi.
Ut vobis manum suam porrigat: è questo il messaggio che Ildegarda ci affida nell’epilogo dell’Ordo Virtutum, la meditazione che ci invita a far risuonare nelle profondità della nostra anima e dentro la nostra vita. Un lunghissimo melisma melodico di trentasette note, articolato sulla prima sillaba del porrigat conclusivo, suggella la chiusa dell’opera: pura essenza vocale che raffigura l’accogliente e vitale protendersi della mano di Dio verso di noi, sue creature.