L’opera lirica La forza del destino ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala di Milano lo scorso 7 dicembre. Giordano Cavallari ha posto a Carla Dalfrate – direttore d’orchestra in numerosi teatri e docente al Conservatorio di Parma – alcune domande sull’opera verdiana.
- Gentilissima Carla, può brevemente ricordare la genesi di questa opera di Verdi?
Verdi scrive quest’opera su commissione del Teatro Imperiale di San Pietroburgo in Russia e debutta, dopo varie vicissitudini, nel 1862. Si pone al culmine della sfolgorante carriera di Verdi. È la sua ventiquattresima opera, la quintultima, contando dal Falstaff all’indietro. La sua fama era ormai pari alla sua scrupolosità e all’incisività nella cura delle rappresentazioni estese a tutto il mondo teatrale.
Il soggetto è tratto da un testo di Angel de Saavedra, Duca di Rivas, poeta e drammaturgo spagnolo della prima metà dell’800: Don Alvaro o la fuerza del sino. Ed ecco da dove viene il titolo che Verdi fa suo: La forza del destino. Curerà in seguito il rifacimento dell’opera per il Teatro alla Scala di Milano nel 1869 giungendo alla versione che noi oggi ascoltiamo. Sarà in quella occasione che Verdi comporrà la celebre Sinfonia e modificherà in modo sostanziale il finale. In questa seconda e definitiva elaborazione sarà aiutato dal librettista Antonio Ghislanzoni poiché, nel frattempo, il suo fedelissimo collaboratore Francesco Maria Piave cadeva irrimediabilmente malato. Verdi contribuì non poco ad aiutarlo in una situazione anche economicamente molto difficile. La filantropia del Maestro è cosa ben nota.
- Perché la celebre sinfonia rende bene, musicalmente, questo titolo?
La Sinfonia è brano simbolo dell’espressività verdiana: dopo i tre «mi naturali» degli ottoni che bussano alla porta del dramma, Verdi utilizza il motivo ritmico circolare (la, si, do, mi ripetuto e trasposto) che nella sua poetica evoca il senso di inesorabilità del destino – utilizzato peraltro anche in altre opere come, ad esempio, in Macbeth – che poi ricompare al quarto atto, nel preludio dell’aria di Leonora «Pace mio Dio», in cui il soprano espone, in un crescendo emotivo, anche il tema del duetto col padre Guardiano. Dunque, la Sinfonia espone vari temi che si incontrano nell’opera. La modernità di tale brano è riscontrabile nella potente carica introduttiva, una potenza che la farà restare nel repertorio universale delle orchestre mondiali quale brano emblematico e intramontabile della produzione verdiana (cf. qui su YouTube).
- Vicende personali in grandi storie di guerra: come sono coniugati questi piani da librettista e compositore de La forza del destino?
La commistione tra relazioni personali ed eventi storici in cui sono collocate, è la premessa di tutta l’opera verdiana. Egli rivolge il suo interesse su soggetti che presentano caratteristiche ben definite e tratta i loro tormenti umani ben inserendoli nel contesto storico. Questa è la grandezza di Verdi. Perché Verdi è universalmente capito? Perché parla all’uomo dell’uomo di ogni tempo. Ossia tocca le nostre corde emotive: ciascuno di noi si può riconoscere in uno dei suoi personaggi. Non c’è «prevalenza» di un piano sull’altro: essi interagiscono al fine di coinvolgerci totalmente nella narrazione lirica.
- Vuole presentare-commentare, in particolare il celebre brano «rataplan»?
Il «rataplan», nella chiusura del terzo atto – luogo deputato ad un grande brano d’assieme –, è un pezzo di grande difficoltà per gli interpreti coinvolti (Preziosilla e coro). Si tratta infatti di un canto ritmico «a cappella» ossia senza orchestra. L’utilizzo di questo espediente – la sottrazione dell’orchestra, cardine dell’ossatura operistica – crea nell’ascoltatore un senso di sospensione e nell’esecutore un senso di abbandono a sé, che tocca corde emotive profonde. Per di più questo brano – a differenza delle numerose circostanze in cui Verdi utilizza brani «a cappella» in altre opere – si focalizza sull’aspetto ritmico e percussivo: le voci, a un certo punto, mimano il suono del tamburo, come un’onomatopea continua e crescente, sempre più, che porta ad un parossismo esasperato: è il parossismo della guerra! (cf. qui su YouTube).
- Che pensiero sulla guerra viene, dunque, da quest’opera e dal suo autore?
È questo parossismo a «mostrare» quanto l’anelito di guerra, in Verdi, sia cosa assurda: una follia! Come può l’umanità arrivare a desiderare una tale assurdità?
- «Pace, pace mio Dio» è una preghiera intima o un grido collettivo?
L’aria di Leonora del quarto atto arriva dopo pesanti e penose vicissitudini degli attori coinvolti, a creare un’oasi di lirismo, teso alla ricerca del conforto nella religione. Ma l’incanto dura poco: il «misero pane» riporta crudelmente Leonora a ricordare la «maledizione» a cui deve suo malgrado sottostare. Il conforto, nella sua espiazione, non la esimerà dall’esito tragico della tragedia incombente. Non penso, quindi, si tratti di un grido di pace, in qualche modo, collettivo, bensì di un ultimo, disperato, tentativo personale di supplica al divino (cf. qui su YouTube).
- Riguardo alla interpretazione del Teatro alla Scala nella sua «prima», quale valutazione esprime?
Esecuzione di alto livello in tutte le sue componenti, come il più importante teatro d’opera al mondo può e deve fare.
- Anche l’altra sera, 7 dicembre 2024, alle porte del teatro premeva la storia, con le sue sofferenze, contraddizioni, contestazioni anche violente: quali pensieri in lei, importante direttore in teatri nazionali e internazionali e docente di giovani musicisti?
L’altra sera era molto difficile scansare un senso di disagio che quest’opera, inevitabilmente, procura in questo tempo così percosso dalle guerre che ci circondano. Non credo che gli autori di questo progetto potessero prevedere che si sarebbero trovati in questa condizione: le inaugurazioni di stagione a Milano, e non solo, vengono programmate con anni di anticipo. Diciamo che nessuno poteva prevedere la situazione attuale, per lo meno, nessuno di noi musicisti che non abbiamo competenze di geopolitica mondiale. È inevitabile, quindi, che i tanti riferimenti alla guerra e alle guerre, insiti particolarmente in quest’opera, ci coinvolgano in modo molto forte. Personalmente ho apprezzato gli sforzi che la regia, il direttore e tutti gli attori hanno profuso per lanciare un messaggio di pace.
Non sempre mi sono sentita confortata dai loro tentativi, ma mi resta una convinzione: l’opera, la musica, il teatro, tutte le forme della espressione e della creatività artistica ci fanno riflettere. Non ci danno solo consolazione o conforto, ma anche impulso. Il messaggio dell’opera è importante e può e deve stimolare reazioni intellettuali, perché l’umanità può reagire alle guerre. L’arte serve a distillare il nostro senso più profondo di umanità. Siamo noi a decidere del nostro «destino» e noi dobbiamo agire per contrastare il male. Con «forza» e con determinazione.
Anni fa ho diretto La forza del destino e questo è il messaggio che l’importante partitura mi ha lasciato e sempre trasmette, insieme a un profondo senso di gratitudine verso il Suo Autore.