In un bell’intervento, nel quale manifesta le sue riserve rispetto ad alcune reazioni apparse su Avvenire, il prof. Pierluigi Consorti, canonista dell’Università di Pisa, mette in rilievo alcune questioni di fondo, sulle quali un vero approfondimento all’interno della Chiesa cattolica attende ancora uno sviluppo significativo. Vorrei riproporre il testo di Consorti (Lo sguardo etico sul diritto laico), al quale farei seguire una serie di osservazioni, utili a continuare un dibattito necessario.
I punti-chiave che meritano attenzione in questa analisi sono tre:
a) La “posizione cattolica” – almeno per come appare espressa su Avvenire – sembra inclinare alla pretesa di una prassi giudiziaria che non tenga conto di condizioni di fatto significative. Se è vero, infatti, che l’ordinamento voluto dal legislatore nulla dice intorno ai diritti di “filiazione” di coppie dello stesso sesso, è altrettanto vero che il giudice debba procedere “per analogia” a tutelare i diritti dei figli ad avere un riferimento parentale stabile. Certo, nel caso della “maternità surrogata” vi sono questioni non piccole, che possono condurre ad uno “scontro tra diritti” che appare drammatico. Ma lo scandalo per il provvedimento dei giudici risulta, da questo punto di vista, poco realistico. Ignorare la realtà non è un buon modo per onorarne le istanze, per quanto esse possano apparire problematiche e ambigue. E mettere sullo stesso piano diritti di coppie omoparentali, questioni sulla “teoria del gender” in ambito educativo, possibilità di eutanasia, obiezione di coscienza e offese al sentimento religioso non sembra una scelta efficace. Tende ad un “discredito dell’individualismo moderno” che è, quanto meno, unil
b) L’esperienza nazionale – che l’Italia ha già conosciuto almeno in tre casi (divorzio, aborto e fecondazione assistita) – segnala l’esigenza di un’accurata distinzione tra ciò che è moralmente raccomandabile o preferibile e ciò che sul piano giuridico può essere riconosciuto e tutelato. Saper comprendere questa differenza e saperla declinare nella storia diviene oggi una esigenza fondamentale per il dialogo con la cultura contemporanea. Famiglia, matrimonio, adozione, filiazione sono termini che si declinano anche analogicamente. Questa analogia non è semplicemente un modo di “distruggere” la famiglia, il matrimonio e la filiazione, ma un modo di “viverlo diversamente”. Che il diverso non sia il nemico è un insegnamento che la Chiesa dovrebbe aver ben chiaro, piuttosto che farselo insegnare dalla cultura moderna. Ma, lo ripeto, un approccio apologetico “antimoderno” non è utile e perde molte distinzioni, alle quali il giurista non può rinunciare. Questo non significa non rilevare molti punti critici della situazione normativa ed etica del nostro tempo: ma pretendere di giudicarla sommariamente non aiuta ad essere più saggi e lungimiranti.
c) Una concezione esclusivamente “pedagogica” della legge tende a pensare che i diritti scaturiscano solo dalla legge. E che quindi ci si debba opporre alle leggi che fanno sorgere “diritti sbagliati”. Consorti ricorda, in conclusione, che il luogo sorgivo dei diritti sono sempre anche i “bisogni degli uomini e delle donne”: questo è un punto che qualifica tutta la storia dell’epoca tardo-moderna. La Chiesa ha avuto spesso la tendenza a leggere i diritti come “minacce per l’autorità”, prima che come risposte a nuove possibilità di vita e di esperienza. Un accurato discernimento delle “ferite” dovrebbe indurre a più moderate reazioni. Un ordinamento istituzionale composito, fatto di parlamento, governo e magistratura, trova di volta in volta equilibri nuovi per rispondere adeguatamente a bisogni nuovi. Come dice Amoris lætitia (n. 304), pretendere di giudicare ogni persona e ogni situazione solo sulla base della legge oggettiva, senza tener conto delle circostanze, è una soluzione “meschina”. Non vorrei che, dopo aver letto questo grande testo, e averlo anche lodato, tutti noi continuassimo a fare come se queste alte parole – che certo implicano un svolta culturale non piccola – non fossero in grado di incidere sul modo con cui giudichiamo non solo le pastorali familiari di una Chiesa, ma anche le politiche familiari di una nazione. Le quali hanno bisogno di un approccio capace di nuovo slancio, di coraggio, di autentica lungimiranza, ma non possono mai alimentarsi né di resistenze integralistiche né di argomentazioni fondamentalistiche.
Pubblicato il 13 marzo 2017 nel blog: Come se non
Grazie della segnalazione e delle sue riflessioni: sono temi davvero delicati sui quali l’unico modo per contrapporsi alle facili semplificazioni dei media mi pare sia proprio l’approfondimento che si sforza di mettere da parte i pre-giudizi… anche per orientarci nel confronto con la realtà. Da un po’ di tempo mi domando come reagirei se scoprissi che tra i compagni di scuola dei miei figli ce n’è uno con due mamme o due papà… come risponderei alle domande che sicuramente i miei figli mi farebbero?