Tolkien diceva che per una buona vita è necessario pulire le finestre.
Può essere recepita come una frase suggestiva con il sottinteso, nemmeno troppo sottile, che la vita è altro.
Potrebbe, invece, istigare una piccola grande rivoluzione: pulire lo sguardo, rivolgerlo alla vita in modo diverso, riempirla di significato altro.
La sfida della gentilezza
Cortesia. Pratiche di gentilezza quotidiana (Claudiana, Torino 2016, pp. 104, € 8,00) scritto da Elio Meloni, non è un manualetto pieno di buone intenzioni, edificanti e consolatorie. È un piccolo libro provocatorio.
È diviso in due parti: Percorsi, otto tappe corredate da esercizi pratici e Letture condivise, una bibliografia ragionata sui vari temi del libro.
La trama del mondo sembra essere tessuta in buona parte da violenza e sopraffazione; “abitare” la terra suona un verbo coniugabile spesso come sinonimo di sfruttamento, il rapporto con l’altro non raramente è animato da sopraffazione, quando non è meramente funzionale.
Di fronte a questo suona impegnativa, se non impossibile, la sfida di recuperare la gentilezza come habitus di chi osa un modo altro di vivere, alla ricerca di pace e giustizia.
La lettura del libro chiarisce subito che non si tratta di un insieme di atteggiamenti di stampo buonista o moralista. Si tratta di un vero e proprio percorso: declinare nella realtà intuizioni apparentemente difficili da tradurre.
Ridefinire il linguaggio
L’autore introduce subito la necessità di ridefinire il linguaggio, spesso usato per manipolare e offendere, modalità gravemente amplificate dai social; sottolinea inoltre l’importanza di recuperare il rapporto parole–cose e la necessità di un linguaggio non separato dall’esperienza.
Una cultura definisce le regole per sopravvivere, la buona educazione consente di utilizzarle con vantaggio di tutti. La gentilezza tra pari (non quella che si riferisce al rispetto o alla compiacenza che si crea nel rapporto superiore/inferiore), migliora il sistema, pulisce gli ingranaggi.
Percorsi
I percorsi proposti conducono ad analizzare il rapporto con l’altro, sempre potenzialmente conflittuale. Il pericolo che si profila è vedere non quello che c’è, ma quello che si pensa o si vuole vedere. In altre parole, tra visione e azione c’è l’aspettativa che può guastare un fragile equilibrio. L’altro è una persona in carne e ossa, una storia, non è come immagino o come vorrei che fosse.
L’incontro–scontro si evidenzia in modo particolarmente delicato in ambito educativo, un lungo percorso che permette al “piccolo” di partire e di fare i suoi incontri in una strada che non può prescindere da un diritto inalienabile: la felicità.
Non c’è possibilità di cambiamento senza libertà, che si ottiene scrollandosi di dosso la brama di possesso e di potere, sulle persone e sulle cose. La gentilezza, come riportato negli esempi in cui sono citati tra gli altri Karl Barth e Dietrich Bonhöffer, è un potente strumento di discernimento per individuare la via che conduce alla libertà perché capace di favorire uno sguardo nuovo sulla propria esistenza.
Lo spazio necessario
Libertà significa anche perdere il controllo, lasciarsi andare. È accogliere, accettare, esserci per l’altro. In fondo l’amore è accogliere un estraneo nel proprio spazio vitale.
Lo spazio è necessario alla nascita delle cose, all’amore. Anche il passaggio su questa terra ci vede ospiti transitanti che trovano e lasciano spazio. Trattenere la vita significa perderla, donarla è guadagnarla. Cristo non ha promesso l’immortalità ma la vita eterna.
Il cammino non si compie da soli. La gentilezza è una delle strade maestre verso il riconoscimento del volto di uno sconosciuto che rivela la sua verità. Suona forte la suggestione del filosofo Emmanuel Levinas: «il volto dell’altro m’interpella, non posso rimanere indifferente».
Nell’altro ci si specchia, si vedono le proprie ombre, ci si riconosce compagni di viaggio. Fare posto, come direbbe Dietrich Bonhöffer, è una grazia a caro prezzo che richiede grande disponibilità.
Il richiamo all’allargamento del cuore, intuito dai padri della Chiesa, permette gli incontri e fa intuire che la felicità profonda non è possibile da soli. La gentilezza è uno strumento potente per allargare lo spazio, le relazioni e cogliere la profonda interconnessione con gli altri essere viventi, tutti gli esseri viventi. Suona profondo l’eco delle parole di Paolo agli Efesini «…possiate conoscere ampiezza, lunghezza, altezza, profondità dell’amore di Cristo», l’amore “altro” per eccellenza.
Lavoro e profitto
Una parte importante del percorso riguarda il lavoro, che non può prescindere dal rispetto per la madre Terra.
Il profitto sfrenato, che genera le aberranti diseguaglianze ogni giorno sotto i nostri occhi, è la realtà da combattere, investendo in cooperazione e condivisione. Un’idea possibile che passa dal successo al ben fatto; che punta a essere migliori, non i migliori. Un rimedio anti idolatrico al lavoro visto come religione, che porta lontano da quella paziente costruzione di condivisione, necessaria per tentare rapporti autentici e non inquinati da interessi.
La suggestione con cui l’autore provoca è affermare che lavorare bene è condividere il lavoro di Dio, che vediamo all’opera nella natura, dove tutto, costantemente si trasforma. E ricordare, in fondo, un segno di alleanza che ci vede, in quanto uomini, parte di una rete meravigliosa.
Si tratta percorrere spazi, favorire connessioni, lavorare per oltrepassare confini.
Gli esercizi proposti dall’autore alla fine di ogni capitolo, che possono eseguirsi da soli o in un gruppo, sono un ottimo strumento per iniziare a sperimentare la possibilità di un percorso.
Ridisegnare i rapporti
Certo, è difficile pensando alla complessità della realtà, anche nella coniugazione spicciola. La fascinazione di quelle che sembrano utopie può disegnare cammini straordinari. L’invito che viene da questo libro, dalla lettura agile e coinvolgente, è considerare la cortesia, la gentilezza non come un atteggiamento buono, ma come una dinamica fondamentale per ridisegnare i rapporti e tracciare una strada. Un’opera strutturale. Un po’ come, per tentare un paragone impegnativo, la misericordia citata continuamente da papa Francesco. Non un pio atteggiamento spirituale, ma una fondante forma ecclesiale.