Gesù invia i suoi discepoli ad annunciare e a mostrare i segni del Regno che viene. Anche noi, con loro, siamo mandati sulle strade del mondo: Mc 6,7-13.
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Far conoscere l’amore
Siamo cristiani perché il Signore ci ha chiamati a sé, nelle tante e varie vicende della nostra vita. Lo siamo perché abbiamo risposto a questa chiamata, abbiamo deciso di seguirlo, di dare fiducia alle sue parole; abbiamo sentito che è bello rimanere con lui, consolante camminare con la sua speranza nel cuore, da discepoli dell’Unico Maestro.
Ma essere cristiani è anche una chiamata ad andare, è un invio, una parola di annuncio messa sulle nostre labbra, un potere consegnato alle nostre mani.
La fede cristiana, come la vita stessa, è una missione: è ricevere per donare, ascoltare per proclamare, essere discepoli per fare discepoli.
Come cristiani, abbiamo la stessa missione di Cristo, quella di far conoscere l’amore del Padre.
Abbiamo anche i suoi stessi mezzi, fatti più di testimonianza che di beni materiali, di fiducia nella semina più che di pretese sul raccolto; assieme a lui viviamo il rischio di essere rifiutati, ma senza la paura del fallimento, la libertà di ricevere e di rimanere ma anche quella di lasciare e di partire.
Non da soli
Da Cristo anche noi, suoi missionari, abbiamo la forza di consolare e persino di guarire alcune ferite della vita, abbiamo la possibilità di vincere vizi, resistenze, cattive abitudini che come demoni ci separano dall’amore di Dio.
Abbiamo questa consapevolezza, sentiamo ancora dentro l’entusiasmo della missione, custodiamo questa vocazione a parlare di Dio? Ci sentiamo donati, chiamati, inviati a mettere quel che siamo a servizio del Vangelo in cui crediamo? Quali sono i luoghi della nostra missione, quali i volti a cui ci rivolgiamo, quali le parole che possiamo dire, gli esempi che possiamo dare?
Siamo missionari del quotidiano, inviati nella famiglia, testimoni sul lavoro, cristiani sempre, in ogni circostanza e in ogni relazione, qualunque sia il contesto in cui ci possiamo trovare.
Lo siamo non come un impegno gravoso che ci mette ansia, ma come un dono che trabocca dal cuore, ci supera e ci coinvolge, alimenta la nostra fantasia di bene, appoggia sulle nostre labbra parole di speranza. Perché il Vangelo è troppo bello per essere tenuto per noi, è una scoperta che contagia e un tesoro che va condiviso.
Siamo missionari, ma non da soli. Il Signore, l’Unico Maestro, ci manda a due a due, per difenderci, incoraggiarci e collaborare, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri e perché solo nella Chiesa il nostro annuncio è custodito ed è credibile, solo insieme possiamo essere popolo che segue e annuncia il suo Signore, nella diversità dei carismi e nella sinfonia della comunione.
La vita di ciascuno è una missione
La missione non è il luogo lontano che ci attende, non è una chiamata per alcuni verso terre remote. La vita di ciascuno è una missione, una parola che Dio vuol dire al mondo attraverso di noi.
Essa non ci aspetta in giorni e posti lontani, ma nel ritmo costante di impegni, legami, scelte della nostra vita, perché il Vangelo sia annunciato anche attraverso di noi, perché possiamo con orgoglio e gioia dirci ed essere riconosciuti come discepoli di un Dio Amore e annunciatori di una Buona Notizia di speranza e di salvezza.